Marco Ventura, Corriere della Sera La Lettura 27/7/2014, 27 luglio 2014
LA PRETESSA
Il reverendo Helen Hall è parroco a Newport, nel Galles meridionale. Non ancora trentenne, Helen è stata ordinata prete della Chiesa del Galles, una delle trentotto Chiese riunite nella Comunione anglicana. Helen è appassionata di questioni giuridiche: ha studiato legge, ha un dottorato in Diritto canonico, si batte per i diritti degli animali. Sotto la sua guida, un gruppo di preghiera animalista si riunisce regolarmente nella cattedrale di Gloucester. Vive per la vita in tutte le sue forme, il reverendo Hall, tenendo insieme sentimenti e realtà. Nel suo sermone al funerale di Nikitta Grender, Helen disse che la diciannovenne stuprata e pugnalata al nono mese di gravidanza e la figlia uccisa prima di nascere «avevano ogni ragione per vivere», che «avrebbero potuto fare, essere e dare così tanto». Ma non si limitò ai sentimenti: invitò l’assemblea a riconoscere che «l’ombra del male» e di una «terribile ingiustizia» gravava sulla comunità, e che non era possibile «far finta che fosse altrimenti».
Anche la trentacinquenne Floriane Chinsky vive le gioie e i dolori di chi dirige una comunità. Parigina, dottorato in Sociologia del diritto, Floriane si è trasferita a Gerusalemme per studiare le fonti ebraiche e diventare rabbino. Nel 2005 la Comunità israelitica liberale del Belgio le ha affidato una sinagoga a Bruxelles. Cinque anni dopo, per ragioni mai dichiarate, è stata licenziata. Floriane si è allora rimboccata le maniche, ha continuato a credere nella propria missione di madre e di rabbino, di donna che vuole cambiare la società. «Faccio quello che posso, concretamente», dice. Oggi è rabbino in due sinagoghe del movimento Masorti, a Bruxelles e in Francia, a Saint Germain en Laye.
Alla discussione sull’accesso delle donne al rabbinato risponde il dibattito sulle donne imam. Mary Teasley, figlia di un pastore metodista afroamericano del Maryland, si è convertita all’islam nel 1972. Oggi si chiama Amina Wadud, ha 62 anni, e rivendica il diritto di guidare la preghiera. Molte femministe musulmane lavorano sui testi sacri e scavano nella storia alla ricerca di legittimazione. Il loro seguito nella comunità islamica mondiale è ancora scarso. Proprio un anno fa, l’università indiana di Madras ha cancellato una conferenza di Amina sulla riforma dell’islam per timore delle proteste islamiche.
In Oriente, le fonti sembrano attestare il consenso del Buddha all’ordinazione femminile, ma per millenni nel buddhismo Theravada, le monache, le bhikkhuni, non sono state ammesse. Le cose sono cambiate negli ultimi anni. Nell’agosto 2010 Ajahn Thanasanti, nata in California da una famiglia ebrea, è stata ordinata bhikkhuni. Ci sono volute in noviziato di dodici anni e molte tensioni con le autorità religiose.
In Cina Beatrice Leung Kit Fun rappresenta un ulteriore esempio di leadership religiosa femminile. Beatrice è una suora cattolica della Congregazione del preziosissimo sangue. Dopo un dottorato alla London School of Economics, suor Beatrice è divenuta professore a Hong Kong e a Macao, e si è imposta come uno dei più autorevoli osservatori delle tensioni religiose in Cina. A differenza di Helen, Floriane e Amina, donne prete, rabbino e imam, suor Beatrice non aspira a un ruolo religioso controverso. Come Helen e Floriane, come Amina e Ajahn, suor Beatrice sfida la società e la religione.
La leadership religiosa delle donne, l’interpretazione femminile del potere di Dio muta nella storia. Si reinterpretano le scritture, si riscrive la teologia, si rinnovano le norme. Cambiano il proprio tempo, le donne, cambiando il proprio posto in chiesa, nel tempio, in sinagoga, in moschea. Le terre di suor Beatrice sono decisive per la storia delle donne nelle istituzioni religiose. Nel 1944, la circolazione dei preti anglicani è impedita dall’occupazione giapponese di Hong Kong. Nessun sacerdote riesce a raggiungere Macao, dove la diaconessa Florence Li Tim-Oi fronteggia da sola, rischiando la vita, i bisogni pastorali della comunità. All’epoca, nelle chiese anglicane, le diaconesse non erano più una novità. La prima era stata nominata negli Stati Uniti, a Baltimora, nel 1855. A Macao nel 1944, Florence fa il prete senza esserlo. Il vescovo Ronald Hall di Hong Kong rompe gli indugi e procede all’ordinazione sacerdotale di Florence Li Tim-Oi: «Il lavoro di Dio darà frutti migliori — dichiara Hall — se Florence potrà fregiarsi del titolo di prete». È la prima volta nella storia dell’anglicanesimo. L’eco è enorme. Quattro anni dopo, la Lambeth Conference del 1948 affronta la questione. I contrari ottengono soddisfazione. L’ordinazione di Florence Li Tim-Oi non è riconosciuta; l’esperimento cinese è dichiarato contrario «alla tradizione e all’ordine».
Sessantacinque anni dopo, tutto è cambiato. Donne prete e donne vescovo sono largamente accettate. La chiesa madre della Comunione anglicana, quella Chiesa d’Inghilterra di cui Enrico VIII si proclamò capo nel 1534, sottraendola al Papa, ha votato lo scorso 14 luglio che anche le donne potranno essere consacrate vescovo. Quando la misura sarà divenuta esecutiva e la prima donna vescovo sarà ordinata, le sue prerogative saranno identiche a quelle di un uomo vescovo.
Il crescendo è stato continuo da quando la Lambeth Conference del 1968 riconobbe che «gli argomenti teologici non consentono di concludere né contro né a favore dell’ordinazione femminile». Nel 1975 la Chiesa d’Inghilterra statuì che non esistevano «obiezioni fondamentali» all’ordinazione di donne. Erano state nel frattempo ordinate le prime donne prete in Canada, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda, ancora a Hong Kong. Nel 1976 le chiese anglicane del Canada e degli Stati Uniti riconobbero la legittimità delle donne prete. Nel 1986, la parificazione tra uomini e donne mondò la terminologia degli ultimi residui maschilisti. Non si sarebbe più parlato di «diaconesse», ma di diaconi. Così come non si parla di «pretesse», ma di preti. La Lambeth Conference del 1988 aprì all’ordinazione episcopale femminile. Nel 1989 le prime donne vescovo furono consacrate nel Massachusetts e in Nuova Zelanda. Solo nel 1993 anche la Chiesa d’Inghilterra accettò l’ordinazione di preti donna. E solo ora, dopo venti anni di preparazione, giunge il via libera alle donne vescovo.
Come per le chiese protestanti, dove i pastori di sesso femminile sono la normalità, l’esperienza anglicana è segnata dal principio di parità tra uomo e donna. Anche nella chiesa, le donne chiedono e ottengono le stesse opportunità e gli stessi ruoli degli uomini. L’arcivescovo Desmond Tutu, già primate della Chiesa anglicana del Sudafrica, è stato tra i più energici in favore di una piena parità. Richiesto di un commento dalla «Lettura», Tutu si dice felice della decisione della Chiesa d’Inghilterra sull’episcopato femminile, ma è severo col ritardo dei
confratelli inglesi: «Sono al settimo cielo. La Chiesa d’Inghilterra deve chiedersi perché è stata così sciocca tanto a lungo, pur avendo sperimentato i frutti straordinari portati dalle donne, e di cui la Chiesa si è privata per troppo tempo. Discriminare in base al sesso è altrettanto sbagliato come discriminare in base alla razza, alla classe, alla cultura o all’orientamento sessuale». Viene dal continente del premio Nobel antiapartheid la maggiore resistenza all’interno della Comunione anglicana. Le Chiese di Nigeria e Centrafrica dicono no all’ordinazione femminile tout court. Kenya e Uganda sono tra le diciannove Chiese che rifiutano ancora l’accesso di donne all’episcopato. Gli oppositori della parità hanno il diritto di rifiutarsi di ricevere la Comunione da un prete donna, ma esercitare una tale obiezione di coscienza è sempre più difficile. In futuro, negare l’obbedienza a un vescovo donna sarà ancora più arduo. Alcuni hanno abbandonato l’anglicanesimo e sono entrati nella Chiesa di Roma, approfittando di una riforma del diritto canonico romano. Dal 2009 possono essere create strutture, gli ordinariati per gli anglicani, che consentono di farsi cattolici romani mantenendo gli usi anglicani e, nel caso di preti sposati, conservando le mogli.
Le «pretesse» ridisegnano la mappa religiosa. Nel mondo nord-occidentale e anglosassone, l’evoluzione della società e del diritto e le riforme religiose vanno di pari passo. Il più autorevole esperto di diritto anglicano, il professor Norman Doe dell’università di Cardiff, spiega alla «Lettura» l’importanza dello «stimolo dello Stato e della società» nella decisione del sinodo della Chiesa d’Inghilterra. Chi da secoli ha avuto una regina come «governatore supremo» della Chiesa, non si stupisce che l’odierna legislazione britannica sull’eguaglianza tra uomo e donna influenzi le istituzioni ecclesiastiche.
Altrove, il modello è diverso. Per ortodossi e cattolici romani la pari dignità tra uomo e donna non implica ruoli eguali nella Chiesa. Rispondendo alle ordinazioni femminili anglicane, nel 1994 Giovanni Paolo II dichiarò che il sacerdozio ministeriale femminile contraddice la volontà divina quale espressa nelle scritture e osservata
nella tradizione: «La Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale», stabilì il Pontefice polacco e intimò «che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». L’anno successivo il cardinale Ratzinger zittì le voci critiche e rincarò: tale insegnamento infallibile deve tenersi «sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede».
Chiusa la porta del sacerdozio ministeriale, le donne cattoliche cercano altrimenti il loro spazio, in nome del sacerdozio comune di tutti i battezzati. Distribuiscono l’eucaristia, sono giudici nei tribunali, sovrintendono la catechesi, dirigono case editrici, scuole, ospedali e ordini religiosi. I due modelli della «pretessa» da un lato e della laica o della suora dall’altro coesistono in una società italiana multiconfessionale, grazie soprattutto all’esempio dei valdesi, presso i quali è donna il trenta per cento dei pastori.
La decisione del 14 luglio sulle donne vescovo è coincisa con lo storico riconoscimento della Chiesa d’Inghilterra quale ente di culto in Italia. Il vicario generale Jonathan Boardman, presidente dell’ente, ricorda alla «Lettura» che le donne prete anglicane operano nella penisola fin dagli anni Novanta. Non mancano le difficoltà nei rapporti ecumenici, dice Boardman, ma i fedeli cattolici romani di norma «reagiscono con favore» alle donne prete.
Sul posto della donna, Chiese e religioni si dividono tra loro e ciascuna al suo interno. È scomoda l’ascesa delle donne a posizioni di responsabilità. Se una donna non può essere prete, cosa significa essere prete? In un mondo sempre più multireligioso, crescono le ibridazioni, gli scambi. Quando Helen Hall è entrata in contatto con alcune famiglie polacche venute a vivere nella sua parrocchia gallese, si è resa conto che queste non riuscivano a integrarsi nella comunità romano cattolica del quartiere, il cui parroco diffidava degli immigrati. Helen ha pregato i polacchi di restare fedeli a Roma, ma li ha invitati nella sua chiesa, ha fatto spazio per loro. «Pretesse», pastori, suore, laiche, imam, monache, rabbini, le donne rispondono alla chiamata di Dio. Inventandosi un ruolo sempre nuovo.