Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 27/7/2014, 27 luglio 2014
LA SIGNORA ELEGANTE IN FUGA DA SE STESSA
L’avevo già incrociata lo scorso inverno. Era avvolta in un piumino blu di buona fattura e calzava un bel cappello di feltro a tesa larga, come quelli delle signore tirolesi. La nota stonata era una carrozzina degli anni Cinquanta, in lamiera smaltata, beige e marrone, come la carrozzeria di un’auto, che lei sospingeva lentamente. La cappottina era alzata e le tendine chiuse, a proteggere dal freddo il piccolo ospite che forse dormiva.
La ritrovo ora in pieno agosto, mentre sto rincasando dalla solita camminata mattutina. È seduta su una panchina dei giardinetti che affacciano sulla scuola di via Bottego, dove ho frequentato le elementari.
La riconosco per via della carrozzina da «mercato dell’usato», anche se tenuta molto bene. Adesso indossa un camicione di lino immacolato. Sui piedi curatissimi, con le unghie smaltate di rosso, calza costosissime infradito Manolo Blahnik che io, pur desiderandone di simili, non ho mai acquistato, perché mi sembrano uno schiaffo alla miseria. Ai polsi ostenta l’ultimo modello di orologio Bulgari e una serie di bellissimi bracciali. Il taglio dei capelli candidi è opera di un maestro.
Decido di fermarmi per riprendere fiato e mi siedo sulla panchina accanto a lei. Osservandola da vicino, mi rendo conto che la signora anziana ha molti più anni di quanto avessi immaginato. Il viso diafano è solcato da rughe profonde. Sta leggendo un libro con l’ausilio di una lente. La carrozzina è vuota e, per quanto tirata a lucido e con l’interno foderato di lenzuolini bianchi bordati di pizzo, continua a essere una nota stonata.
Sono quasi le otto e il tasso di umidità nell’aria inizia a salire. Sale anche lo sguardo della signora, dalla pagina del libro al prato circostante, dove un bassotto marrone a pelo raso si rotola nell’erba, saltella e scodinzola.
Chiude il libro di scatto e leggo il titolo di copertina: La mia famiglia e altri animali . È una storia intrisa di humour molto inglese, tutta da godere. È tra le mie letture amene.
La signora schiude le labbra in un sorriso e chiama il cane.
«Piccolino, vieni dalla mamma».
Il bassotto fa finta di non sentirla. Uggiola inseguendo una farfallina bianca che lo provoca svolazzando intorno al suo muso.
«Smettila di fare lo sciocchino e ubbidisci», lo rimprovera dolcemente.
La farfallina se ne va e lui si accosta alla signora dimenando la coda. Posa sul suo grembo il musetto appuntito e lei lo accarezza, mentre gli dice: «È ora di tornare a casa, piccolino».
Lui, agilissimo, salta dentro la carrozzina.
«È un gran bel cane», commento io.
«Ma molto disubbidiente», replica lei.
«Tutti i bassotti lo sono. Lo so, perché anch’io ne ho avuti», aggiungo.
«Comunque, io amo gli animali molto più degli umani, che mi hanno sempre delusa. Pensi che, quando ero a San Vittore, in mancanza d’altro avevo adottato un topolino che era entrato nella mia cella», spiega.
A quel punto trattengo il respiro e aspetto che la signora continui a raccontare. Intanto, il bassotto scosta il lenzuolino e ci si infila sotto. Lei appiana soavemente le pieghe del risvolto e prosegue: «Pensi che quel topolino veniva a prendere il cibo dalla mia mano, e di notte dormiva sul mio cuscino. La guardia e le mie compagne non hanno mai osato fare storie, perché sapevano che non le avrei tollerate. È stato con me per due anni. Un giorno è sparito e io ho pianto».
Tace e allora le domando perché il suo cane, che mi sembra in ottima forma, debba essere portato in giro in carrozzina.
La mia domanda la irrita e sibila, con disprezzo: «Evidentemente, lei non ha nessuna pratica di cuccioli».
L’istinto mi suggerisce di non contraddirla e cambio argomento.
«Posso chiederle come mai una signora come lei si aggira in un quartiere tanto popolare e, in quanto a sicurezza, poco raccomandabile?».
Lei mi offre un sorriso maligno e replica: «Posso chiederle come mai una signora come lei non è in vacanza nella sua villa di Positano?».
«Non ho nessuna villa a Positano e vivo qui da quando sono nata. E soprattutto amo stare in città quando Milano si svuota e diventa bellissima, anche se da alcuni anni c’è sempre più gente che non può più permettersi di fare l’estate altrove», rispondo.
«Io, invece, ci vivo perché costretta dai miei parenti che non vogliono incrociarmi né nei luoghi di vacanza né in centro città dove sono nata e vissuta fino a quarant’anni fa. Pensi che, per liberarsi di me, mi hanno fatta condannare a trent’anni di carcere, scesi a venti per buona condotta, con l’accusa d’aver ammazzato il mio bambino. Tutto per motivi di interesse, mi creda. Infatti, come può constatare, il mio bambino è qui che se la dorme beato nella sua carrozzina».