Claudio Del Frate, Corriere della Sera 27/7/2014, 27 luglio 2014
«A UCCIDERE LA RAGAZZA SCOUT FU IL KILLER DELLE MANI MOZZATE»
Tabula rasa su 27 anni di indagini: Lidia Macchi, la studentessa di Comunione e Liberazione trovata accoltellata nel 1987 in un bosco in provincia di Varese, non è stata uccisa dal sacerdote don Antonio Costabile, fino a ieri unico indagato per il delitto. La procura generale di Milano ha chiuso invece le indagini accusando formalmente Giuseppe Piccolomo, che già sconta l’ergastolo per il cosiddetto «omicidio delle mani mozzate», la crudele uccisione di un’ottantenne, Carla Molinari, a cui vennero tagliate di netto le mani.
«È un’indagine indiziaria, ma a meno di clamorose novità chiederemo di processare Piccolomo per omicidio» dice la procuratrice generale di Milano Carmen Manfredda nel confermare la notizia. La svolta è clamorosa: per un quarto di secolo le indagini avevano coltivato tutt’altra pista (il delitto commesso da un conoscente di Lidia per motivi passionali) rivelatasi un vicolo cieco. La studentessa universitaria, uccisa a 23 anni, sarebbe rimasta invece vittima di un’aggressione a sfondo sessuale da parte di un uno che per lei era un perfetto sconosciuto.
La sera del 5 gennaio ‘87 Lidia era uscita dalla sua casa di Varese per andare a trovare un’amica, Paola Bonari, ricoverata all’ospedale di Cittiglio, a 20 chilometri dalla città lombarda. Due giorni dopo, la ragazza era stata trovata uccisa con 29 coltellate, abbandonata a bordo della sua Panda in un bosco a poche centinaia di metri dall’ospedale. Pochi mesi dopo, il sospettato numero uno diventa un sacerdote di cui Lidia era amica, don Antonio Costabile, che finisce indagato e sottoposto a uno dei primi tentativi di esame del Dna. Dna che non aveva dato però nessun esito lasciando per oltre un ventennio il prete nel limbo dei presunti colpevoli.
La svolta arriva tre anni fa, quando Piccolomo viene condannato per il delitto dell’anziana; le figlie di lui, Cinzia e Tina, da anni in rotta con il padre raccontano agli inquirenti: «Nostro padre per terrorizzarci ci diceva: “Vi faccio fare la fine che ho fatto fare a Lidia Macchi!”». Solo la truce minaccia di un padre - padrone? La procura generale di Milano non lascia cadere una pista che all’inizio pareva fantascienza, avoca il fascicolo sul delitto Macchi da anni fermo alla procura di Varese e rispolvera una serie di spunti investigativi tralasciati.
Uno in particolare: il 3 e 4 gennaio dell’87, cioè nei giorni immediatamente precedenti alla tragedia di Lidia, ben quattro donne denunciano di essere state aggredite da uno sconosciuto, tutte nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio. Una di queste si vede l’uomo fare irruzione dentro l’auto, un’altra si trova le gomme tagliate, un’altra ancora viene avvicinata con la scusa di una sigaretta. Sorprendono le coincidenze con la fine di Lidia : stesso luogo, stessi orari. Le indagini fanno «bingo» subito dopo, quando l’identikit dello sconosciuto viene messo a confronto con una foto dell’epoca di Piccolomo: analogia perfetta e sorprendente fin in dettagli come il disegno delle labbra o l’attaccatura dei capelli. Lidia sarebbe dunque rimasta vittima di un bruto che ha abusato di lei, l’ha finita a coltellate e l’ha abbandonata in un bosco. Ospedale, bosco e casa dell’accusato si trovano in un raggio di poche centinaia di metri.
E la pista del delitto commesso da un amico di Lidia? Non regge, dicono ora gli inquirenti: la ragazza decise di andare all’improvviso all’ospedale perché i genitori quel giorno erano rientrati in anticipo da una vacanza, con l’amica Paola si trattiene per oltre un’ora e a quei tempi, senza i cellulari, era difficilissimo organizzare un rendez vous sui due piedi. E così, dopo 27 anni, viene restituito l’onore a don Costabile, per il quale la pm Manfredda ha chiesto la definitiva archiviazione.
Piccolomo è dunque un serial killer? Affermazione grave e prematura. Anche se l’uomo, 64 anni, oltre a essere condannato per il delitto Molinari e formalmente accusato per quello di Lidia è indiziato per un terzo caso: la morte della prima moglie Marisa Maldera, finita carbonizzata nel 2002 nella sua auto: caso inizialmente archiviato come incidente stradale ma ora ritornato a galla col sospetto che si tratti di omicidio. Commesso sempre da Piccolomo.