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 2014  luglio 26 Sabato calendario

SPIE USA ANTIFASCISTE – [LE CARTE SEGRETE DELL’OSS A ROMA SU MONARCHIA E PCI]


AMERICANI A ROMA, 1944. NON SOLO GLENN MILLER E BOOGIE BOOGIE. MA ANCHE TANTO ANTIFASCISMO A STELLE E A STRISCE. DOVE E COME? CON L’INTELLIGENCE AMERICANA: L’OSS, PRECURSORE DELLA CIA. Mentre la guerra continua e lo stato italiano è ancora da ricostruire, inclusi i servizi segreti. C’è il governo Badoglio e poi quello Bonomi, coi comunisti dentro, dopo la svolta di Salerno, che ha riunificato l’antifascismo. E c’è la Monarchia. Con la Luogotenenza del Principe Umberto. E gli inglesi? filomonarchici, sono padroni del campo col generale Alexander. Perché l’asse strategico Usa si sposta in Normandia.
Ma a Roma gli americani lavorano coperti e non vogliono lasciare l’iniziativa politica né agli inglesi né alla Corona. E qui comincia il nostro racconto. Da un dattiloscritto originale top-secret, proveniente dai «Washington Archives» o mai inoltrato negli Usa, e in possesso de l’Unità. Autentico per motivi filologici e di contenuto. Anche perché conforme a materiali analoghi studiati dagli esperti di queste cose e usciti in questi ultimi anni dagli archivi Usa.
In tutto circa 200 pagine con doppia stampigliatura «secret» su resoconti dal 4 settembre 1944 ai primi di gennaio del 1945. Mesi cruciali, che gli agenti americani raccontano con fonti, sotto-fonti e microspie, piazzate nei luoghi chiave del potere. L’operazione si chiama «Giuliana Project», viene seguita dall’edificio dell’ex teatro delle Arti in Via Sicilia 59 e inoltrata da Roma a Washington dall’agente Frank Fortunato. Al Colonnello W.P. Maddox, con le seguenti diciture-indirizzo: «Maddox, Hqs. Co., 2677th Regt. Oss (Prov) Apo 534, U.s. Army».
CIMICI, FONTI E SOTTOFONTI
Fin dal primo report, del 4 settembre 1944, compaiono coordinate, scopo e metodo dell’operazione. I numeri usati dal Quirinale per comunicare con l’ambasciata britannica sono: 43951 e 484415. L’Oss li ha messi sotto controllo. Lì passano le relazioni telefoniche tra la Casa Reale e gli inglesi. E con ogni c’è una cimice in una centralina sulla Piazza Quirinale, secondo un sistema già usato dal vecchio Sim. Dunque una messe di informazioni da coordinare con «fonti» e «sottofonti», parlanti. Per comporre il mosaico politico che si svolge dietro le quinte ufficiali. Sfilano monsignori, militari, politici, aiutanti di campo, l’entourage familiare e privato del Principe Umberto. Subito gli americani si mettono in pari con le «puntate antecedenti».
E infatti a partire da un report del 10 ottobre 1944 gli agenti ricostruiscono quel che avviene il fatidico 25 luglio 1943. Il tramestio, l’arrivo del Duce dopo il Gran Consiglio. L’incontro col Re e lo stupore di Mussolini quando viene «prelevato» a Villa Savoia. Venti minuti di colloquio col Sovrano, con la zona circondata dai carabinieri. Mussolini si scopre arrestato alle 17 e 43, dopo che il suo autista è stato fermato e che il segretario De Cesare è stato bloccato dai militi. «Dov’è la mia macchina! dov’è la mia macchina!», impreca. Ma a quel punto si avvicina un capitano dei carabinieri che gli parla sottovoce: «Ho capito», dice bruscamente Mussolini. E vien fatto salire sull’ambulanza col prefetto De Cesare. Mussolini pensava a un «rimpasto», e invece capì che era la fine. Poi il colloquio di Acquarone – Ministro della Real Casa – con l’ambasciatore tedesco Von Mackensen, che chiede di parlare con Mussolini. E ricevutone un rifiuto con una scusa (misure di ordine pubblico contro eventuali subbugli) mette giù irritato il telefono: «Molto bene. Allora domani alle 9 vedrò Badoglio».
COMUNISTI, CHI SONO COSTORO?
Fin qui i preliminari. Ma ora gli americani hanno un problema: i comunisti. Che gente sono? Quanto sono pericolosi? E come neutralizzarli? A spiare, oltre a Frank Fortunato, ci sono Vincent J. Scamporino («chief» dal 19 dicembre 1944) e Peter Tompkins. Progressista il secondo, d’apparato il primo. Non corre buon sangue tra i due, che a partire dal novembre 1944 saranno defenestrati da James Angleton, uomo della guerra fredda, artefice dei primi servizi deviati italiani e riciclatore di fascisti. Al momento, tra le fonti (inconsapevole o istruito dal Pci?) c’è Umberto Sbarbaro. Famoso critico cinematografico al Centro Sperimentale, comunista, «che conosce il russo ed è in contatto con i vertici del Pci». A metà ottobre – riferisce il Marchese della Torre, diplomatico di Corte in Vaticano – Sbarbaro dice «Che Togliatti ha ricevuto l’ordine da Mosca di non interferire con la politica anglo-americana in Italia». Negli stessi giorni «Portius» – sottofonte di «Torre» – spiega che Pio XII si rallegra per il forte contrasto angloamericano a Stalin, ma esprime preoccupazione per il ruolo del Pci. E per l’arrivo futuro degli ispettori sovietici a Bari: «un’avanguardia di rivoluzione». E in contemporanea però il solito Della Torre (codice Torre) riferisce che Furio Diaz, storico, e sindaco di Livorno, uomo del Pci a quel tempo, «ha detto che il Pci e Togliatti intendono collaborare dentro il governo, evitare colpi di testa e ripristinare la normalità democratica». Dunque la politica togliattiana va avanti, e anche con strane giravolte. Occorre semmai neutralizzare i colpi di testa del nemico: il ritorno dei monarco-fascisti, e la riabilitazione degli ex di regime (polizia e militari) nelle maglie del nuovo stato. Sicché il 27 novembre 1944 Togliatti va a colloquio con Umberto: 45 minuti senza testimoni. Col Marchese Tupini e il Marchese Teodori fuori in anticamera. In ballo c’è il Ministero per i territori occupati al comunista Scoccimarro (osteggiato da Inglesi, Americani e monarchici). E l’accettazione della stessa Svolta di Salerno dentro il Pci a guerra non finita (al nord ci sono i «radicali» Longo e Secchia).
A un certo punto però ci si imbatte in una stranezza, che fa impazzire gli americani: il Pci è filo-inglese e antiamericano. Il 6 novembre 1944 Torre racconta tramite Portius che Togliatti aveva dichiarato «che oggi c’è un solo nemico: gli americani». E che andava «contrastata la penetrazione economica e politica degli Usa nella penisola». Alla base ci sono le confidenze di Franco Rodano, esponente di punta dei cattolici-comunisti, che così fa apparire Togliatti filo-inglese. Il 9 novembre gli agenti Usa teorizzano una distinzione tra Pci e catto-comunisti, parlando di anti-americanismo e tradizionalismo tipici dei secondi. Ma gli americani hanno comunque il sentore che il Pci voglia apparire filo-inglese e antiamericano di fronte agli anglo-monarchici (Chiesa inclusa), proprio perché calcola i rapporti di forza e i pericoli a suo sfavore.
Altra cosa a cui le spie Usa sono attente: il riciclaggio degli ex fascisti, intellettuali compresi. Come Mosca e Missiroli: gli agenti ne parlano come veri voltagabbana. E il tema torna a proposito dell’ingegner Paganelli delle Terni, amico dell’ufficale inglese Cameroun Kerry a Roma. Kerry dice all’amico ex fascista che «gli inglesi si sono pentiti di aver rovesciato il fascismo e che intendono utilizzarne gli elementi che già hanno lavorato con loro».
Infine tra fine 1944 e 1945 ecco due punti di rilievo nel «Giuliana Project», che la dicono lunga. Lo spazio dato ai giudizi di incapacità su Umberto di Savoia. Espressi da Mons. Borgoncini Duca, Nunzio apostolico presso il Governo italiano: «Sfuggente, non mi dà l’impressione dell’homo sapiens...». E poi l’ampio resoconto a sostegno del mondo cattolico, anche ecclesiastico, critico con l’anticomunismo di Pio XII. E favorevole ad un centrosinistra Dc con socialisti, azionisti e laici per isolare democraticamente il Pci ma senza clerico-fascismo. Insomma, le spie americane antifasciste e antimonarchiche, alle prese con quel Pci anomalo e democratico, appoggiavano questa linea. Un po’ come quando la Cia si mostrò non ostile al compromesso storico di Berlinguer. Ma in entrambi i casi, malgrado la prudenza del Pci, la storia andò in modo diverso. Le spie democratiche «persero» e furono sostituite. Arrivarono gli Angleton e gli Hoover. E ad Est la cortina di ferro. Dopo Yalta vinse la guerra fredda e fu tutta un’«altra» storia.