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 2014  luglio 16 Mercoledì calendario

DICE IL GURU: «LAVORA MENO E SARAI PIU’ FELICE». MA CHI CI GUADAGNA

Quando uno come Larry Page, fondatore di Google, il colosso di Mountain View, e 19° imprenditore più ricco degli States, dice la sua, occorre leggere e riflettere. Sono loro i nuovi maître à penser, almeno da quando la finanza ha scavalcato la politica, le nuove chiese sono i megastore e i sacerdoti non sono più gli stessi di una volta. Se poi il Socrate in questione, in una recente intervista, sostiene che «bisogna lavorare meno per essere più felici», bisogna drizzare bene le orecchie. Che sta succedendo nell’epicentro del capitalismo liberista? L’unica cerimonia lì è il lavoro e l’unica religione è il denaro! Che si siano ravveduti e stiano cambiando rotta? Non credo. Se vogliamo essere precisi, Larry Page arriva buon ultimo nell’elenco di chi contrasta il modello “lavoro- guadagno-spendo-spreco”. Che non funzioni più e non generi gioia lo dicono in parecchi, da tempo, come Robert Reich, segretario di stato sotto la presidenza Clinton, antesignano del downshifting (letteralmente “rallentare, scalare marcia”), che decise di dimettersi per dedicarsi alla famiglia. In Australia, il fenomeno aveva già preso piede col nome di Sea-Change, dal titolo di una serie televisiva in cui la protagonista abbandonava il suo stressante lavoro per vivere sul mare. Libri inglesi, americani e orgogliosamente nostrani hanno sviscerato l’argomento e generato un fenomeno di massa, con casi eccellenti di abbandoni della carriera e un gran dibattito tra gli aspiranti.

Le cose di cui si ha bisogno per essere felici - ha spiegato Larry Page nell’intervista - sono casa, sicurezza e opportunità per i figli. Non è difficile per noi provvedere a queste cose». Dopo questi basics, il resto possiamo anche non rincorrerlo, perché costa più di quanto rende. Coi suoi 40 milioni di dollari annui di stipendio Page può permettersi qualunque semplificazione. Dalle nostre parti, grazie al cielo, la visione del fenomeno è più profonda, e il rapporto tra lavoro e benessere si modifica attraverso cambiamento interiore e decrescita dei consumi (Serge Latouche). Page strizza l’occhio a questa visione europea quando aggiunge: «L’idea che tutti debbano lavorare freneticamente per soddisfare le esigenze delle persone è semplicemente non vera».

Tuttavia, nel ragionamento di Page (a destra con i google glass) c’è qualcosa che merita attenzione. Il Seneca di Mountain View sostiene, infatti, che ipertrofizzare lo spazio lavorativo e contrarre lo spazio umano «riduce i momenti in cui una persona può dedicarsi alle proprie passioni» con l’effetto di abbattere la creatività e dunque la qualità del lavoro. Ora tutto torna. Dunque è di questo che hanno paura ai piani alti di Wall Street. Di aver tirato troppo la corda, di averci chiesto troppo, di aver ammazzato la vacca, come si dice in campagna. Niente mucca, niente latte. Per come conosco questo capitalismo, deve essere andata così: un sociologo ha svolto una ricerca sul clima aziendale, e i dati devono essere parsi preoccupanti: zero energie, gente stressata, solo voglia di fuggire. «Questo non è bene per il business» deve aver pensato Page rivelando lungimiranza. «Prima o poi qui ci lasciano tutti».

Basta parlare con i nostri colleghi e chiedergliene conto. L’ho chiesto a Federica Balestrieri, storica giornalista Rai oggi al Tg1, in aspettativa da meno di un mese. Una giornalista che si mette in aspettativa dalla redazione più ambita d’Italia?! «Correvo sempre, dietro a notizie inesistenti, weekend compresi, ossessionata dall’Auditel. Quanto potevo durare?». Federica ha lasciato per tentare l’autenticità, per vivere meglio, e quello che ci rimette (un anno di stipendio) intende farlo tornare sotto forma di benessere. «Sono anni ancora buoni. Vorrei vivere più sobriamente, imparando ad ascoltare e a rallentare, a pensare senza limiti di tempo, a dedicarmi a chi amo». Brava Federica. E bravi anche tutti quelli che non daranno retta a Larry Page, che è solo preoccupato per la sopravvivenza della mucca. Il problema non è la produttività, ma la vita. Quella cosa che non dura per sempre e che spenderla solo a lavorare è semplicemente una follia contemporanea.