Sergio Rizzo, Corriere della Sera 27/7/2014, 27 luglio 2014
SICILIA, L’ESERCITO (DI LUSSO) DELLE PARTECIPATE REGIONALI
Ancora la Sicilia: è come sparare sulla Croce Rossa, qualcuno dirà. Tacere però sul buco nero delle società partecipate da quella Regione, per come è descritto dai magistrati contabili nel documento per l’audizione sullo stato dei conti pubblici all’assemblea regionale, è davvero impossibile. Il rapporto di cui parliamo, che farebbe venire i brividi anche al commissario della spending review Carlo Cottarelli, delinea un «quadro complessivo di devianza da basilari principi di economicità e razionalità» con la «presenza di gravi criticità» su «stato di salute delle società, relazioni finanziarie con la Regione, governance, sistema dei controlli…» Il tutto reso ancora più problematico dalle dimensioni. Perché la Sicilia non solo ha il record delle partecipazioni societarie fra tutte le Regioni, ma anche quello dei loro costi. La Corte dei conti ha appurato che nei quattro anni dal 2009 al 2012 la sola spesa per il personale ha raggiunto un miliardo e 89 milioni. Del resto, le società partecipate stipendiano qualcosa come 7.300 persone: numero, sottolineano i magistrati, «che non ha pari nel resto delle Regioni italiane». Senza contare gli oneri legati alle irregolarità nelle assunzioni a termine che inevitabilmente sfociano, per decisione del tribunale o in seguito a transazioni, in rapporti di lavoro a tempo indeterminato: soltanto per la Multiservizi, che si trova attualmente in liquidazione, pendono 211 ricorsi. Ma non basta. Alla spesa per il personale si deve poi sommare quella necessaria a far fronte ai compensi di una pletora di amministratori: e sono altri 87 milioni di euro in quattro anni. «In media, ogni società nel quadriennio oggetto di rilevamento», rivela il documento, «ha assorbito risorse per 718.700 euro solo per la corresponsione di emolumenti agli organi sociali».
E poi le perdite. Fra il 2009 e il 2012 quelle società hanno accumulato un rosso di 75 milioni, mentre la Regione versava nelle loro casse la bellezza di un miliardo e 91 milioni, «in gran parte riconducibili a corrispettivi per commesse pubbliche, mentre è emerso il non corretto rilevamento da parte della Regione dei flussi finalizzati a copertura di disavanzi, nonché il ricorso reiterato e improprio a interventi di mero soccorso finanziario a società prive di valide prospettive di risanamento». Il 41 per cento delle aziende regionali «registra nell’arco del quadriennio perdite d’esercizio addirittura per tre esercizi consecutivi», e «tutte le società a capitale interamente pubblico mostrano costanti e rilevanti perdite». Il fatto è che la Regione ha continuato a tirare fuori soldi soltanto per tamponare le medesime perdite «e le inefficienze gestionali in una perversa logica di salvataggio a tutti i costi di soggetti in evidente stato di crisi, senza valutazioni sulle prospettive di risanamento. In taluni casi», sottolineano i giudici, «gli interventi sul capitale sono stati disposti addirittura in prossimità della messa in liquidazione della società». Le 12 (dodici) gestioni liquidatorie sono poi un altro capitolo: pesano per il 18 per cento sul patrimonio societario regionale (pari in tutto a oltre 530 milioni), per il 45 per cento sulle perdite e «si trascinano nel tempo senza giungere a chiusura». Come per esempio la Siace spa, in liquidazione dal 1985. Siace significa Società per l’industria agricola cartaria editoriale.
Sono circostanze e numeri che rendono bene l’idea dei problemi che dovrà affrontare il piano di riordino avviato dalla giunta di Rosario Crocetta. E nemmeno qui mancano le osservazioni della Corte dei conti. Per esempio sulla necessità che la Regione vigili attentamente su alcune disposizioni, fra cui il divieto di assunzione. Senza che saltino fuori le solite furbizie, come la deroga a quel divieto introdotta per il personale delle aziende in liquidazione. Provvidenzialmente sventata dal commissario di Stato, che l’ha impugnata.