Piero Ostellino, Corriere della Sera 26/7/2014, 26 luglio 2014
IL TRISTE SPETTACOLO DI UNA RIFORMA SBAGLIATA
Se un uomo politico nega di avere tentazioni autoritarie, c’è il sospetto che le l’abbia davvero. Giorgio Napolitano — che ribadisce l’assenza di tentazioni autoritarie da parte del mondo politico — fa il suo rassicurante mestiere di capo dello Stato. Ma non si vede perché gli si dovrebbe credere. Come (supposto) garante dell’assetto istituzionale, non potrebbe fare altrimenti e fa bene a farlo; come comunista, aveva coltivato l’abitudine — che forse (forse) non ha perso del tutto — di negare persino l’evidenza se ciò conveniva alla «causa». La causa è cambiata e certe abitudini di ieri sembrano diventate, oggi, prassi istituzionale.
Lo spettacolo offerto dal mondo politico col cosiddetto dibattito parlamentare sulla riforma del Senato — che è, poi, la sua eliminazione a favore delle autonomie locali, ricettacolo di sprechi e di corruzione — è francamente penoso. L’ostracismo delle opposizioni non è un buon esempio di corretta interpretazione della funzione di controllo da parte della minoranza; la mannaia calata dalla maggioranza sui tempi del dibattito giustifica le reazioni contro l’autoritarismo. Per eliminare le lungaggini del bicameralismo perfetto sarebbe stato sufficiente modificare i regolamenti parlamentari.
Il governo Renzi — l’ircocervo costituito da Silvio Berlusconi, il padre-padrone di Forza Italia, concentrato sulla propria vocazione monopolistica di imprenditore e dal furbo e cinico ex democristiano che ha scalato il vertice del Partito democratico con il marketing della rottamazione del vecchio e logoro apparato già comunista e ha raggiunto la presidenza del Consiglio grazie alla regola, nata col governo Monti, che si possa governare una democrazia rappresentativa anche senza aver vinto le elezioni — si sta rivelando la continuazione di vecchie e cattive abitudini.
Certo è ridicolo parlare di inclinazioni all’autoritarismo da parte di un governo che, invece di fare, galleggia sulle chiacchiere, addormentando un’opinione pubblica già insonnolita dal conformismo. Ma una riflessione sullo stato delle cose, se non da parte della classe politica, almeno del sistema informativo, non sarebbe inutile. «Una grande quantità di sentimentalismo politico si basa sull’illusione che l’aumento della spesa pubblica non pregiudicherebbe la maggior parte della popolazione, perché i ricchi possono essere tassati più pesantemente» (Kenneth Minogue, Breve introduzione alla politica , ed. Ibl libri). Ma il pauperismo della cultura di sinistra e la voracità fiscale del governo considerano «ricchi» anche i pensionati con 3.000 euro mensili (1.500 netti, dopo le tasse)! Questo Stato sociale è un imbroglio, una dispersione di risorse, il fardello del sistema produttivo, di impedimento alla modernizzazione e allo sviluppo, che penalizza soprattutto i poveri, al servizio di una classe politica cialtrona e incapace. Caro Renzi, invece di insistere sull’eliminazione del Senato — un pasticcio al servizio di quanto di peggio ha prodotto la nostra pessima cultura politica — vogliamo parlarne?