Pierluigi Battista, Corriere della Sera 28/7/2014, 28 luglio 2014
IL MANTRA GIUSTIZIALISTA E LA PAROLA «ASSOLTO»
Attenzione a queste due parole: assolto; assoluzione. Tra un po’ la macchina della nebbia informativa comincerà con i commi, i distinguo, i chiaroscuri, le eccezioni, i però, i tuttavia, le rettifiche, le correzioni, le ombre e le penombre per dire che no, «motivazioni della sentenza alla mano», Berlusconi non è stato davvero assolto, non è successo veramente che il giudice ha pronunciato le parole «il fatto non sussiste» e «il fatto non costituisce reato». Eccepiranno, scruteranno con attenzione ogni risvolto. Quella parola, «assoluzione», appare a loro così indigesta, così inaccettabile, che chiederanno alle parole dei giudici nelle loro sacrali «motivazioni» un appiglio per dimenticarla. Oggi sono scossi da un brivido di scoramento: «assolto». Domani faranno in modo che «assolto» sia cancellato dalla memoria collettiva, per imporre la loro verità colpevolista e forcaiola, i loro teoremi, le loro ossessioni giustizialiste. «Assolto»: è bene imprimersela nella mente, questa parola. I professionisti della frittata rovesciata sono già pronti a vincere la battaglia delle parole. Assolto. Assoluzione. E così sia.
È già successo con Giulio Andreotti e con la sentenza che lo ha assolto per associazione mafiosa dopo dieci anni dalla sua messa sotto accusa, dopo tonnellate di carte, di testimoni, di atti giudiziari tanto imponenti quanto incapaci di provare quello che i giudici hanno ritenuto non provato. Per cui, nel 2003, sentenza d’appello poi confermata in Cassazione, il giudice «assolve Andreotti Giulio» perché il fatto contestatogli «non sussiste». Non rimane niente del cuore delle accuse, i baci mafiosi, gli incontri segreti, al cinema con il boss, le fughe dagli alberghi palermitani. Niente, demolito, annichilito: alle 17 e 54 del 2 maggio del 2003 il presidente Salvatore Scaduti legge il dispositivo della sentenza in cui si dice che si procede all’assoluzione dell’imputato perché «il fatto non sussiste». Tutti i fatti successivi all’80, la carne viva del processo, non provati. Poi arriva l’ancora di salvataggio mediatica. Le «motivazioni». La «prescrizione» per i fatti prima dell’80. Prima dell’80: cioè tutti i presunti incontri con i mafiosi no, tutti i processi da aggiustare no. Ma la prescrizione «prima» sì. L’assoluzione, il cuore del processo, viene dimenticata, cancellata. E la macchina orwelliana della riscrittura della storia parte con il mantra: Andreotti non è stato assolto, non c’è stata assoluzione. Quelle parole pronunciate alle 17 e 54 del 2 maggio del 2003 («il fatto non sussiste») buttate nel dimenticatoio per fare spazio ai nuovi dogmi del Ministero della Verità dei giustizialisti. E così adesso, sicuro. Sono già partiti i motori.
Aspettando le benedette «motivazioni» si dice che Berlusconi sia stato assolto ma solo in virtù di una legge cambiata. Le parole «assolto» e «assoluzione» saranno cancellate dalla damnatio memoriae . Ricordarle adesso, prima che la macchina della riscrittura prenda velocità.