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 2014  luglio 28 Lunedì calendario

LA TRASPARENZA UE NON VALE SUGLI ELETTI A STRASBURGO I VITALIZI SONO TOP SECRET


C’è una zona buia in quella casa di vetro che dovrebbe essere, ma evidentemente non è, il Parlamento europeo. Lì dentro sono custodite, al riparo da occhi indiscreti di giornalisti e cittadini, le pensioni (non proprio simboliche, immaginiamo) di quanti l’hanno maturata avendo occupato un seggio a Strasburgo. Difese da ogni possibile intrusione grazie a vecchi regolamenti e a una incredibile sentenza della Corte di giustizia europea che ha sancito l’inviolabilità della privacy pensionistica degli europarlamentari.
Ecco la risposta che abbiamo ricevuto dal portavoce del Parlamento europeo, lo spagnolo Jaime Duch Guillot, al quale il Corriere ha chiesto l’elenco degli ex eurodeputati beneficiari del trattamento previdenziale a carico di Strasburgo: «Il Parlamento considera che i nomi dei deputati che sono membri del regime pensionistico integrativo costituiscono dati personali ai sensi dell’articolo 2 (a), del Regolamento (CE) n° 45/2001 sulla “tutela delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali”. Il Fondo pensionistico volontario ha funzionato con la partecipazione del Parlamento europeo fino al 2009, quando dopo l’entrata in vigore dello statuto del deputato, salari e prestazioni sociali, comprese le pensioni, sono regolati dalle istituzioni europee. Di conseguenza, il Parlamento non può dare informazioni interne su un fondo privato e i suoi membri».
Vi domanderete: possibile? Dei nostri rappresentanti al Parlamento europeo, esattamente come per gli onorevoli nazionali, i consiglieri regionali, provinciali, comunali, insomma tutti gli eletti sappiamo ogni cosa. Se hanno casa al mare, quante auto, la barca, il motorino. Quali azioni hanno comprato in borsa, se sono pensionati e da chi, perfino se hanno un cane. E non loro soltanto, ma pure la (o il) consorte, i figli, i familiari più stretti. Ma non possiamo sapere se, dopo essere stati eletti dai cittadini al Parlamento europeo incassano una pensione dal medesimo Parlamento, pagata dagli elettori con le tasse. E pensare che in Italia, il Paese nel quale i politici non si sono mai fatti mancare privilegi e la trasparenza ha una tradizione molto recente, quei dati sono ormai di dominio pubblico. L’Espresso stampa periodicamente le liste dei vitalizi parlamentari, con nomi e importi: fornite dallo stesso Parlamento. Che considera quelle informazioni pubbliche. Alcuni consigli regionali li mettono perfino a disposizione di chi vuole consultarli nei siti ufficiali, anche perché il Garante della protezione dei dati personali ha stabilito in una recente delibera che la privacy non può essere invocata per rifiutare i dati sui vitalizi agli organi di stampa. Più chiaro di così… In Europa, invece no. Gli elenchi dei vitalizi parlamentari sono top secret.
E non soltanto per i giornalisti impiccioni, ma anche per i rappresentanti delle istituzioni. Qualche giorno fa li ha richiesti a Strasburgo il vicepresidente della Camera dei deputati italiana Luigi Di Maio, del Movimento 5 stelle. Ricevendo risposta identica alla nostra. Tutto quello che è riuscito in più a ottenere si trova in una mail di poche righe spedita dal competente ufficio del segretariato generale: «Il portafoglio degli ex deputati europei di mandato italiano che hanno acquisito il diritto alla pensione del Parlamento europeo è così composto: 146 pensionati, 46 vedove, vedovi o altri beneficiari di reversibilità. Totale, 192 assegni. Per completezza, ci sono anche circa 80 pensioni differite (per cui sono stati maturati i diritti ma non i requisiti, ndr )». Stop.
Come si possa spiegare questa assurda reticenza è presto detto. Non convinto dalla prima risposta del portavoce Duch, il Corriere ha chiesto di vederci più chiaro ricevendo questa replica: «La questione della relazione fra diritto all’informazione e quello alla protezione dei dati personali è stata già sollevata di fronte alla Corte di giustizia europea, che ha stabilito nella sentenza del novembre 2011 che la divulgazione di tali dati personali arreca pregiudizio alla tutela della vita privata dei deputati che sono o sono stati membri del regime pensionistico volontario. Il Parlamento è impegnato da sempre a garantire la massima trasparenza possibile, senza tuttavia voler, né ovviamente poter, infrangere la legge. Jaime Duch».
La sentenza in questione risale al 23 novembre 2011, quando la Corte di giustizia si trovò ad affrontare il ricorso di un giornalista della tv di stato olandese. Gert-Jan Dennekamp qualche anno prima, esattamente come noi, aveva chiesto al Parlamento europeo l’elenco degli ex deputati pensionati sentendosi opporre un rifiuto per motivi di privacy. L’appiglio, un regolamento del 2001 sulla tutela dei dati personali. La cosa finì davanti ai magistrati europei, anche perché alla causa della trasparenza si unirono due stati membri: Danimarca e Finlandia. Nonché la Edps, ovvero European data protection supervisor, un’autorità indipendente competente per il rispetto delle normative sui dati. Ma contro ogni previsione logica il ricorso venne interamente rigettato. Nella sostanza i giudici arrivarono a mettere in discussione l’interesse pubblico per quelle informazioni. Da allora nomi e importi sono in quella zona buia e inaccessibile. E a quanto pare, enorme. La tedesca Bild ha calcolato che i diritti acquisiti dagli ex euronorevoli hanno ormai raggiunto 400 milioni. Mentre la spesa per il pagamento delle pensioni si aggira intorno ai 150 milioni l’anno. Pagati, ovviamente dai contribuenti europei: altro che fondo privato. Per avere un’idea delle dimensioni della questione, si pensi che il costo dei generosissimi vitalizi del Parlamento italiano, che ha trent’anni di più e 945 membri anziché i 751 di Strasburgo, ci costano appena 70 milioni di più. Succede nell’Europa del 2014, pensate un po’...