Dario Di Vico, Corriere della Sera 28/7/2014, 28 luglio 2014
TRA PILOTI E PRIMI VIOLINI MESTO DECLINO DEL SINDACATO
Il sindacalismo confederale italiano con tutti i suoi quarti di nobiltà, continuamente celebrati in convegni e abbondante memorialisti-ca, è diventato nell’anno di grazia 2014 ostaggio dei piloti d’aereo e dei primi violini. Accade, infatti, che in Alitalia come all’Opera di Roma una sigla (la Uil) o l’altra (la Cgil) decida di
far sponda ai veti delle minoranze, getti sul piatto della bilancia la forza del proprio marchio e chiuda così la strada ad ogni ipotesi di risanamento.
La dirigenza del teatro capitolino ha presentato un piano di riorganizzazione che non prevede messa in mobilità, licenziamenti o tagli di stipendio ma solo una revisione della pianta organica. Che ha il torto però di non piacere ai primi violini perché forse li obbligherà a lavorare più dei 62 giorni su 180 registrati nel primo semestre di quest’anno. Grazie all’alleanza tra un piccolo sindacato autonomo, il Fials, e una Cgil che deve aver chiuso in soffitta il ritratto di Luciano Lama, l’Opera si sta avviando alla liquidazione coatta. Causando un grave danno d’immagine alla città di Roma, visto che 3 mila stranieri già prenotati per gustarsi la Bohème rimarranno fuori dal teatro. In Alitalia il copione è lo stesso. Nella veste dei ribelli ci sono i piloti che si oppongono all’intesa con gli arabi di Etihad e hanno trovato l’appoggio e la condivisione da parte di una Uil, che recita l’insolita parte della confederazione irriducibile al buonsenso. Se infatti Alitalia perdesse anche quest’ultima occasione il futuro dei suoi piloti non sarebbe certo migliore di quello che prevede per loro il piano di risanamento. A Roma si teme anche, per i prossimi giorni, il varo di una vertenza contro i tagli al costo della politica da parte dei dipendenti della Camera dei Deputati, la cui rappresentanza è frantumata in dodici sigle e che al tempo giusto avevano fatto, proprio per coprirsi sindacalmente, shopping di tessere confederali.
L’impressione prevalente è che il sindacalismo italiano — con l’eccezione della Cisl, almeno nei casi citati — stia perdendo la bussola, e che alla disperata ricerca di consenso a breve termine abbia smarrito il senso della propria storia e del proprio impegno. In fabbrica, almeno laddove ci sono delle rappresentanze radicate e pragmatiche, lo smarrimento è sicuramente minore. Pur con tutte le difficoltà di contrattare la crisi, si sa da che parte andare e si diffondono le esperienze di maggior raccordo con le aziende. Quando c’è contrattazione articolata questa segue linee di sviluppo inedite, in qualche caso allargando le tutele alla famiglia e ai figli che studiano. Molto più sfrangiata si presenta la situazione in altre filiere, come quella della logistica, dove il sindacalismo confederale è fuori dai giochi, non sembra avere più fisico e mentalità per frequentare i picchetti ad alta tensione. Prevale l’azione tambureggiante dei Cobas, in stretta alleanza con i centri sociali e con un certo seguito tra i lavoratori extracomunitari più deboli ed esposti ai ricatti. È un conflitto sordo, senza cortei e striscioni allegri, un paesaggio in cui compaiono quotidianamente poliziotti in assetto anti-guerriglia, prefetti chiamati a mediare e magistrati alle prese con lunghe e difficili indagini.
Infine c’è la grande galassia del lavoro giovanile e autonomo. È una platea che non ha nessuna voglia di sindacato, si sentono dei centauri dell’auto-impiego, metà imprenditori di sé stessi metà alle dipendenze di altri. È il lavoro molecolare che si giova di un contributo comunale per frequentare un coworking e sperare di azzeccare l’idea giusta di business, oppure è l’occupazione di quei tanti (3 mila!) che servono per realizzare una serie televisiva di successo come «Gomorra». La rappresentanza per tutti loro non ha certo il volto dei sindacalisti confederali ma caso mai assomiglia alla Rete, un posto in cui puoi denunciare ciò che succede sperando che a difendere i tuoi diritti sia l’indignazione degli internauti.
È questo, a grandi linee, il Quarto Stato di oggi e i sindacati non riescono nemmeno a discuterne. Viene sempre prima un segretario generale aggiunto da nominare o un congresso da organizzare a Riccione. Ci vorrebbe che cambiassero passo, che il loro laburismo dei veti diventasse un laburismo delle opportunità ma oggi è una pagina bianca, tutta da scrivere.