Christian Abbiati, La Gazzetta dello Sport 28/7/2014, 28 luglio 2014
LE VERITA’ DI ABBIATI
La grande bellezza dell’avere 37 anni, di cui oltre un terzo trascorsi al Milan, sta nella serenità di dire ciò che si pensa. Chiacchierare con Christian Abbiati è istruttivo e disarmante perché non c’è bisogno di girare intorno agli argomenti per arrivare a una risposta sincera: te la dà subito, col disincanto di chi ne ha viste tante e la solidità che gli consegna la carica di senatore rossonero. Christian sta iniziando la quattordicesima stagione a Milanello e sarà uno degli elementi chiave su cui poggerà un gruppo a cui la scorsa stagione ha sottratto tutte le certezze. Una via di mezzo fra il giocatore (professionalità), lo zio (cameratismo) e il motivatore (presenza di spirito). Fatti e parole concrete, mica post e tweet: lui detesta i social network e, come vedremo, ha qualcosa da «consigliare» ai compagni.
Abbiati, si è dato una spiegazione per com’è andata l’ultima annata?
«Purtroppo no, non l’ho ancora trovata, se non che è mancato il girone di andata. Non è possibile fare solo 22 punti. È stato tremendo, stavo male, per la prima volta in carriera mi portavo il lavoro a casa. Non riuscivo a staccare. Devo fare un monumento a mia moglie. Una stagione che non fa parte del dna Milan. Nessuno dei 30 in rosa ha dimostrato di essere da Milan».
Nel girone di ritorno siete andati decisamente meglio in termini di risultati, ma non risulta che il clima sia migliorato molto con Seedorf.
«Effettivamente si è venuta a creare una situazione strana. Con lui abbiamo giocato una seconda parte ad alto livello, ma poi credo abbiano influito altre questioni, che non riguardano lo spogliatoio».
Diciamo che l’arrivo di Inzaghi ha portato tutt’altro clima.
«Un entusiasmo pazzesco, contagioso. La squadra lo segue in blocco. Sono i primi passi giusti per ripartire: se tutti manterranno l’entusiasmo di Pippo, faremo molto bene. A me comunque il suo modo di lavorare non stupisce: lo conosco da tempo, so la maniacalità che ci mette».
Una delle parole più gettonate in queste prime settimane è «regole».
«Giusto così. In un contesto come questo vanno messi paletti anche nelle cose più piccole. Solo così si riparte. Pippo è un esempio concreto e credibile perché per primo mette in pratica ciò che chiede alla squadra. Le regole vanno rispettate e vale per tutti: altrimenti si finisce in tribuna».
Come crede che se la caverà a gestire Balotelli?
«Mario è arrivato con entusiasmo. Dopo un Mondiale così negativo per tutta la Nazionale, sono certo che in lui scatterà qualche meccanismo: vorrà dimostrare che le cose stanno diversamente rispetto a com’è andata in Brasile».
Qualche consiglio?
«È un bravissimo ragazzo, ogni tanto combina qualche marachella ma se dà il massimo non ci sono problemi. E poi chi meglio di Pippo può “curarlo”, visto che anche lui era un attaccante?».
A proposito: Pippo o mister?
«Mister».
Torniamo a Balotelli: potrà diventare come Ibrahimovic?
«La forza di Ibra è semplice: lui dà il cento per cento in tutti gli allenamenti e il lavoro paga, è matematico. Ecco, Mario deve capire questo. Nel momento in cui lo farà, allora la risposta è sì. Vedrete che con Inzaghi ci riuscirà».
Regole chiare per tutti. E coi giovani come la mettiamo? Ne avete una bella infornata.
«Sono tutti ragazzi che si impegnano molto e hanno voglia di Milan. Su certi aspetti occorre guidarli un pochino».
Qualcosa in particolare?
«Be’, io ad esempio odio cordialmente i social network. Mi basta osservare mia figlia, che mette online una foto e poi passa il tempo a controllare quanti l’hanno vista. È una malattia. Quindi consiglio di usarli con la testa, anche perché trovo siano un po’ sinonimo di insicurezza: è come se si cercassero conferme continue nel leggere i commenti altrui».
Duro il ruolo del senatore-motivatore...
«Ho già detto la mia a qualche gruppo di compagni. Il concetto base è che indossare questa maglia non vuole dire essere arrivato, ma dimostrare di poter restarci».
Ma lei ora come ora si sente titolare?
«No. Gabriel è giovane e ha un grosso potenziale, Agazzi è un ottimo portiere, molto esperto. Io sono un diesel, devo prepararmi bene e non sarà facile perché l’età avanza e faccio una certa fatica (sorride, ndr ). Se la scelta dell’allenatore non cadrà su di me, non ci sarà alcun problema».
Un compagno su cui puntare?
«El Shaarawy. Spero che torni ad avere quella cattiveria già dimostrata in passato».
La missione aziendale è tornare subito in Champions. Sia sincero: i primi tre posti sono alla portata?
«Sarò sincero: in questo momento no perché stiamo lavorando, stiamo costruendo. Diciamo che non partire come le due ultime stagioni sarebbe già un bel miglioramento...».
Magari il Milan potrebbe fare come la Juve del primo scudetto di Conte, che arrivava da un settimo posto.
«Di certo qualche analogia c’è, nel calcio può succedere di tutto. Basta anche una palla dentro di un metro, no?».
Christian ride, sono finiti i tempi in cui il gol fantasma di Muntari toglieva buonumore e sonno. Se ora al Milan dormono di meno, è solo perché lavorano di più.