Luca Rocca, Il Tempo 28/7/2014, 28 luglio 2014
«CRISI», MINACCE E BOMBE. LA DURA VITA DEI SINDACI
Gli bruciano le auto e gli incendiano le case, gli tagliano le gomme della macchina, gli spediscono lettere di minacce e gli sparano al portone di casa. Non c’è pace per gli amministratori locali d’Italia. Sindaci, assessori, consiglieri comunali, ma anche presidenti di provincia e governatori, sono «assaliti», intimiditi e nel contempo «abbandonati». Quel che è peggio, è che non si vede via d’uscita.
Com’era evidente «a naso», e come conferma Doris Lo Moro, presidente della Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, se il 2013 ha fatto registrare un «atto intimidatorio» al giorno nei confronti di chi amministra la «cosa pubblica», nei primi sei mesi del 2014 i numeri sono analoghi. Nessun motivo per stare sereni, i dati sono addirittura in aumento. Le cifre in fase di elaborazione da parte della Commissione, infatti, dimostrano che gli amministratori pubblici restano nel «mirino», ma al contrario di quanto si possa pensare, visto che le regioni maggiormente coinvolte quelle meridionali, la criminalità organizzata non è la sola colpevole. Anzi, spesso c’entra ben poco, anzi, per niente.
Se è vero che in alcune realtà, ad esempio a Reggio Calabria, la «mano» della ’ndrangheta dietro le intimidazioni è certamente più presente, è anche accertato che in quasi tutte le altre province ad incendiare la macchina del sindaco o a distruggere la casa di campagna dell’assessore, è spesso gente «normale», che nulla ha a che fare con mafia, ’ndrangheta, camorra o Sacra Corona Unita. Molto spesso, infatti, i colpevoli sono giovani disperati perché senza lavoro e senza una famiglia in grado di sostenerli. Oppure ragazzi che pensano di «vendicarsi» contro chi ha promesso troppo in campagna elettorale. E quasi sempre gli autori non vengono presi, restano impuniti.
I dati ufficiali del 2013 parlano chiaro: le intimidazioni, 351 in totale (quelle conosciute) avvengono quasi sempre al Sud, ma quelle al Nord cominciano a farsi strada. Le Regioni italiane che registrano episodi del genere sono, infatti, ben 18. Sessantasette le province. I Comuni, invece, 200. Nel 71 per cento dei casi ad essere «colpiti» sono sindaci, consiglieri comunali, assessori ma anche presidenti del consiglio comunale. Il 7 per cento delle volte, però, le «vittime» sono responsabili degli uffici tecnici, dirigenti sanitari, agenti della polizia municipale. L’80 per cento dei casi avviene nelle regioni meridionali, ma l’8,3 in quelle del Centro Italia, soprattutto nel Lazio (dai soli 5 casi del 2010 si è passati ai 15 del 2013). Il Lazio, infatti, è ora al sesto posto, ed entra nella classifica anche la Toscana coi suoi otto casi. Ma il 12 per cento di questi atti si verifica al Nord: Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte (assenti prima del 2011). Se nel 2012 il primato spettava alla Calabria, nel 2013 è la Puglia a conquistare la triste Palma d’Oro, mantenendola nei primi sei mesi del 2014. Riassumendo: nel 2013 nella regione governata dal Nichi Vendola si è verificato il 21 per cento dei casi, in Sicilia il 20 e in Calabria il 19 (che dal secondo scende al terzo posto). Il quarto posto spetta alla Sardegna (9 per cento dei casi). Per capire l’entità del fenomeno, basti pensare che tra il 2010 e il 2014, gli atti intimidatori sono aumentati del 66 per cento. Non occorre essere esperti di statistica per notare che il fenomeno è peggiorato con l’aggravarsi della crisi economica.
Qualche settimana fa i membri della Commissione d’inchiesta si sono recati per due giorni in Puglia, dove la situazione, come dimostra il «primato» della regione, è allarmante. È emerso che se in tutto il 2013 i casi sono stati 134, nei primi sei mesi di quest’anno siamo a 47. Accadono innanzitutto nel foggiano, poi a Bari e nella provincia Barletta-Andria-Trani: 35 casi nel 2013, 11 nei primi sei mesi del 2014. Secondo Lo Moro, quindi, «si va delineando la necessità di rimedi legislativi, circostanziando i reati in maniera più specifica, magari con la creazione di circostanze aggravanti per gli atti intimidatori ai pubblici amministratori e strumenti investigativi più adeguati».
Quello che appare preoccupante, sottolinea ancora la presidente, è la «sottovalutazione del fenomeno che viene fatta dagli stessi amministratori vittime». La Commissione si è poi spostata in Calabria, dove il fenomeno è a macchia di leopardo. Sempre secondo la Lo Moro, che è calabrese, «in questa regione il quadro che emerge è quello di un’arretratezza di 30 anni. Ecco perché serve una forte reazioni dei sindaci. Il risveglio, infatti, deve partire da un maggior coraggio. Anche su questo fenomeno esistono “le Calabrie”, perché non c’è uniformità su tutto il territorio regionale. Nel reggino, ad esempio, secondo quanto ci ha detto il procuratore Cafiero de Raho, le intimidazioni sono legate alla ’ndrangheta. Altrove, invece, spesso i fatti sono legati ad altre vicende». Quello che manca «è la collaborazione delle parti offese».
Gli atti intimidatori verificatisi nel 2014 spaventano. Pochi giorni fa il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ha ricevuto un libro con dentro la sua foto e due bossoli. Il 19 luglio, invece, una bomba carta esplode contro l’auto del primo cittadino di Diamante, in provincia di Cosenza. E ancora. Il 4 giugno colpi di pistola vengono sparati contro l’auto di Maria Romeo, sindaco di Ferruzzano (Reggio Calabria), e due mesi prima, a Gioia Tauro, qualcuno spara contro la casa dell’assessore Giuseppe Dato. Ad Ardea, nel Lazio, il 24 luglio va a fuoco l’auto del sindaco Luca Di Fiori, e cinque mesi prima, stessa città, qualcuno appicca il fuoco al negozio del consigliere comunale Fabrizio Acquarelli. Ancora in questi mesi il primo cittadino di Comitini (Agrigento) riceve una busta con proiettili, e il 19 maggio un incendio distrugge l’auto del padre di Rosario Rocca, sindaco di Benestare (Reggio Calabria). L’auto dell’assessore di Portici (Napoli), Adele Scarano, va invece a fuoco il 10 maggio. E l’elenco è ancora molto, troppo lungo.