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 2014  luglio 28 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 LUGLIO 2014

«Ci rivediamo, vero?». Partono gli operai della Titan Micoperi, l’azienda specializzata nei cantieri sommersi. Partono i centoventi sub che giorno e notte hanno lavorato sott’acqua. Occhi lucidi, abbracci, le ultime foto sul cellulare, malinconia, gli zaini accumulati vicino all’imbarco dei traghetti. La Concordia se ne va dal Giglio e succede quello che nessuno aveva previsto: l’incidente sentimentale, lo sversamento della nostalgia [1].

Virginia D’Elia aspetta un bambino da Simon Jackson, un saldatore del Kent (Inghilterra). Lui, 37 anni, parlava poco italiano. Lei, 22enne, lavorava in un bar. Col tempo hanno trovato il modo di comunicare. Lo scorso settembre, la notte del «parbuckling», li hanno visti stringersi forte, pochi giorni dopo sono partiti per il Kent. Ad agosto nascerà Filippo [2].

Le gigliesi e gli operai della Concordia si sono piaciuti parecchio. Ne ha parlato anche il Daily Mail: «Quasi tutti hanno avuto una storia d’amore, più o meno seria, più o meno duratura». Donatella Botti, che sull’isola gestisce un bar: «In tutto il Giglio le ragazze sono tristi perché questi uomini se ne stanno andando. Qui ci conosciamo tutti. Sono diventati parte della famiglia. Non vogliamo che ci lascino. La notte del naufragio è stata una tragedia che ci ha cambiato per sempre la vita» [2].

I residenti più anziani raccontano che, negli ultimi due anni, con l’arrivo di duemila operai e altrettanto testosterone in un’isola dove la popolazione non raggiunge i mille abitanti, al Giglio si è respirata l’aria del periodo della guerra. E adesso l’isola è investita da una tempesta emotiva difficile da rimuovere [2].

A fare breccia soprattutto il team del consorzio Titan Micoperi: due sudafricani, due tedeschi, due inglesi, quattro americani, un belga, un indiano e otto italiani, guidato da Nick Sloane, cinquant’anni e una vita passata in giro per il mondo a occuparsi di recupero di relitti (al Giglio lo ricorderanno anche per l’abitudine di farsi la doccia nudo in giardino) [3]. «Siamo contenti di aver fatto parte di questo grandioso progetto, ma quello che ci è piaciuto di più sono state l’isola e le italiane» [4].

Meletti: «“Sad” è la parola che si sente pronunciare in ogni bar del porto. “Triste, sono triste e piango anche”, dice Rosalba del bar Fausto. “Ieri sera ho pianto con quattro ragazzi del Texas, stamattina con cinque del Sudafrica. Ma la cosa che mi consola è che quelli che ho salutato, uomini grandi e grossi, piangevano più di me”» [5].

Il sindaco Sergio Ortelli: «Per me l’isola era quella di prima, perciò è tornato tutto a posto». Per lui. Non per le ragazze che si sono innamorate. E i ragazzi? Racconta Sabrina Basini del ristorante Doria: «Gli operai non erano solo clienti. In sala e in cucina ho ragazzi giovani che poi uscivano con questi nuovi amici e parlavano del mondo. Ho cambiato anche i miei piatti: carne in un ristorante di pesce, e tortelli con amaretti, zucca e pistacchi perché americani e sudafricani amano il gusto dolciastro» [6].

Oggi il Giglio ha come il cuore spaccato a metà: da una parte la voglia di buttarsi alle spalle questa avventura, dall’altra la nostalgia che comincia a mordere. Poli: «“Quella notte è stata terribile e il relitto incastrato sugli scogli non ci dava pace”, racconta Massimiliano della trattoria “Porta via” affacciata sul Porto. “Ma è stato il naufragio a farci sbarcare il mondo in casa, sembra brutto forse dirlo ma è la verità e qui lo sanno tutti. Mi sembrava di abitare in un posto nuovo che non avevo mai visto. La sera era bello uscire, c’era sempre gente in giro, i locali pieni anche d’inverno, le feste. Pure tanto lavoro, ammettiamolo, gli incassi sono aumentati, di solito il guadagno si concentra nei due mesi estivi mentre per il resto dell’anno qui saremo al massimo 400 persone”. La dipendente della gelateria Nilo è ancora più schietta: “A fine agosto ci accorgeremo all’improvviso che dopo la Concordia sarà più difficile stare qui. E chi ha esultato guardandola partire presto se ne pentirà”» [7].

A dimostrazione che la nostalgia è qualcosa di impalpabile, che prende le vie più diverse, qualche giorno fa, al Giglio, un comitato ha promosso una petizione al ministero dell’Ambiente per poter trattenere le piattaforme che in questi due anni e mezzo hanno sostenuto il relitto. Nel testo si fa riferimento ad argomentazioni scientifiche («non c’è dubbio che il fondale interessato dai lavori della Concordia è stato danneggiato») e dunque alcune «strutture vanno rimosse perché nocive, mentre altre come le piattaforme metalliche e gli anchor blocks potrebbero essere lasciati in quanto sarebbero rapidamente colonizzati da organismi marini». E in ogni caso – ecco il punto – la loro rimozione rappresenterebbe «scarsa attrattiva per il turismo». Come dire: tutto, persino le piattaforme subacquee della Concordia potrebbero diventare un domani un’attrattiva [8].

Ma è possibile avere nostalgia della Concordia? Come possono nutrirla al Giglio, che rischia di legare per sempre il proprio nome a quello di una tragedia? Martini: «Il Giglio è un’isola che per secoli ha vissuto fuori dalla Grande Storia, una scaglia di granito, trascurata da imperatori, granduchi e re e appetita soltanto dalle feluche dei pirati saraceni. Poi, quando è scoppiato il turismo di massa, l’isola è stata risparmiata (o condannata, a seconda dei punti di vista) dal filtro dell’Argentario che ha trattenuto le ondate modaiole di politici, attori, imprenditori, giornalisti. Al punto che l’ultimo grande evento prima della Concordia, era restata per 50 anni la gita di un giovanissimo Adriano Celentano e di Mike Bongiorno, tramandata dalla memoria di chi li vide e da poche fotografie in bianco e nero» [8].

I giovani racconteranno questi giorni anche da vecchi, come gli anziani di oggi parlano ancora di quell’agosto del 1976 quando al Giglio furono mandati al confino Giovanni Ventura e Franco Freda – imputati per la strage di piazza Fontana. Meletti: «I pescatori, con un cavo di acciaio e decine di barche bloccarono l’ingresso al porto. Lo Stato mandò 80 carabinieri, per mesi e mesi. Uno di loro è rimasto: si è sposato qui e ha fatto il pizzaiolo» [9].

Dunque il naufragio più clamoroso della storia moderna, costato trentatre vite e 1,5 miliardi di euro, è forse il nuovo romanzo popolare italiano che nessun autore ha saputo scrivere? La nave che affondata, si risolleva e se ne va è un catalizzatore, incrocio di destini e microcosmo dove si annodano vita e morte e miracoli?

Romagnoli: «L’ultimo giorno c’è stato un momento da brivido, quando è stata issata la bandiera nautica blu con la lettera P (papa) che significa: “Tutti a bordo, stiamo per salpare”. Se mai ne abbiamo vista una, ecco la nave fantasma. È riemersa dall’ingloriosa tinozza dove era caduta, si è rialzata e ci ha riprovato, ricordandoci che non è finita finché è non finita: perfino i relitti hanno ancora strada da fare, se c’è qualcuno in grado di accompagnarli. Sotto i nostri occhi sono tornati a bordo, cazzo, davvero tutti: i sopravvissuti e gli scomparsi, i vili e i coraggiosi, i retti e i disonesti [...]. Il grande romanzo italiano della Concordia è purtroppo una storia universale, capace di mettere in scena la realtà e, come tale, non riconosce estraneità. Consegna a tutti noi il biglietto di passeggeri e ci dice che solo al fondo della notte sapremo se siamo Schettino, un marinaio coraggioso o semplicemente una vittima» [10].

All’udienza processuale del 29 aprile scorso la folla ascoltò commossa il resoconto della morte della piccola Dayana, che scivolò in mare e del padre William, che per cercare di salvarla si staccò dalla compagna Michela e morì anche lui. Romagnoli: «Oggi le reazioni sono di segno opposto per l’annuncio che Simon e Virginia in agosto daranno alla luce il piccolo Filippo. In un racconto del Taccuino rosso lo scrittore americano Paul Auster narra di una monetina che la sua ex moglie lancia dalla finestra al bambino quando lui va a prenderlo per portarlo allo stadio. Gliela butta perché si compri un gelato, ma rimbalza su un ramo e scompare. Quando padre e figlio arrivano allo stadio e si mettono in coda per il gelato abbassano gli occhi e vedono a terra una monetina. Ora, chi ha fede nella magia chiamata provvidenza penserà che sia la stessa. E che ci sia un soffio di Dayana in Filippo» [10].

Note: [1] Paolo Crecchi, Il Secolo XIX 24/7; [2] www.dailymail.co.uk 23/7; [3] Teodoro Chiarelli, La Stampa 15/7; [4] www.ansa.it 23/7; [5] Jenner Meletti, la Repubblica 23/7; [6] Marco Imarisio, Corriere della Sera 24/7; [7] Simona Poli, la Repubblica 25/7; [8] Fabio Martini, La Stampa 25/7; [9] Jenner Meletti, la Repubblica 24/7; [10] Gabriele Romagnoli, la Repubblica 24/7.