Ettore Livini, la Repubblica 27/07/2014, 27 luglio 2014
ETTORE LIVINI
MILANO .
Nessuno osa nemmeno pensare a un’ipotesi di questo genere. Tutti, appena se ne accenna, corrono a toccar ferro. Eppure, visto lo stato delle cose, il dubbio c’è: cosa succederebbe ad Alitalia se Etihad abbandonasse la partita dalla sera alla mattina? Una cosa è certa. Di soldi in cassa per continuare a volare – dopo i 569 milioni di perdite del 2013 e malgrado l’aumento da 200 milioni di novembre scorso – non ce ne sono molti. Il patrimonio netto già a dicembre era negativo per 27 milioni. I soci italiani, banche e poste compresi, si sono impegnati nell’ambito dell’intesa con gli emiri a versare altri 150 milioni di capitale circa. Quanto basta per fare il pieno agli aerei per qualche mese, considerato che in estate i voli sono pieni e ci sono
meno problemi di liquidità. Oltre questo orizzonte temporale però, senza l’intervento di un nuovo principe azzurro, il buio è fitto. E la prospettiva meno dolorosa - a meno che la Cai e il Governo non cavino dal cilindro un coniglio con molti soldi - è quella di portare i libri in tribunale, mettendo Alitalia in concordato preventivo o in amministrazione
straordinaria. Il pallino a quel punto sarebbe nelle mani di un Commissario, incaricato di varare una nuova ristrutturazione lacrime e sangue per tenere in piedi la società e metterla in condizioni di attirare un compratore. Missione, come racconta la storia degli ultimi mesi, quasi impossibile.
IL NODO DELLA LICENZA
Il primo problema da risolvere per un’Alitalia senza Etihad è quello di mantenere la licenza di volo, i diritti e le rotte. Per conservarla, una compagnia deve dimostrare di avere i soldi necessari a garantire la sicurezza dei passeggeri. Senza una licenza la compagnia non può volare. E se non vola non vale più niente. L’arbitro, in questa partita, è l’Ente nazionale dell’aviazione civile (Enac). Incaricato in caso di crisi di verificare a cadenza mensile che l’aerolinea possieda i requisiti per continuare a operare. Il passaggio in tribunale non è una condanna a morte. La New Livingston è andata in concordato preventivo in queste settimane ma continua a vendere biglietti e decollare grazie a una licenza provvisoria. Lo stesso è successo all’ex compagnia di bandiera nel 2008, quando è finita sotto la tendina ad ossigeno del Commissario straordinario Augusto Fantozzi in attesa dell’offerta Cai. In questi casi l’Enac verifica che lo stato
dei conti non metta a rischio i passeggeri. E fino a quando c’è una ragionevole speranza di uno sbocco positivo alla crisi, tende a non staccare la luce (leggi togliere la licenza). Come è capitato di recente, per dire, con Windjet.
I DIRITTI DEI CREDITORI
Un passaggio in amministrazione straordinaria o in concordato preventivo congelerebbe in sostanza i debiti (oltre 500 milioni solo quelli bancari) di Alitalia. Il commissario pagherebbe con l’ok del Tribunale solo i fornitori necessari per far funzionare l’attività – l’Eni o chi per lei per il kerosene, gli aeroporti e i servizi a terra per non rimanere tagliati fuori dai cieli – e avvierebbe a stretto giro di posta la ristrutturazione aziendale necessaria per rendere la società appetibile a un compratore. Certo a quel punto per l’azienda sarebbe molto più difficile ottenere finanziamenti dalle banche, che rishierebbero di vedere andare in fumo subito tutti i loro prestiti. E proprio per
questa ragione l’amministrazione straordinaria non può durare più di tanto, pena una lenta eutanasia della compagnia.
TAGLI ED ESUBERI
«O si dice sì ad Etihad o 15mila persone vanno a casa», ha detto ieri il ministro Maurizio Lupi. Vero? In parte sì, ma non del tutto. Una volta salvata la licenza e garantito il flusso di cassa per continuare
a volare, il Commissario (o i soci italiani se proveranno a fare da soli) sarà costretto a ridimensionare la compagnia. Obiettivo: ridurre i costi e riportarla in condizioni di non bruciare più soldi – oggi Alitalia perde circa 25 milioni al mese - magari parcheggiando la parte buona del business in
una newco e sistemando debiti e contenziosi in una bad company. Tradotto in soldoni, salterebbero molte rotte, diversi aerei rimarrebbero a terra e migliaia di dipendenti resterebbero senza lavoro. Non 15mila, certo, ma molti di sicuro. Perché un nuovo compratore a questo punto ben difficilmente metterebbe un centesimo su un’azienda che continua a mangiare quattrini. Chi potrebbe intervenire dopo la ristrutturazione? Non lo stato, la Ue non lo consentirebbe. Rispunterebbero invece gli stessi interlocutori di sempre: Air France, Etihad. Che all’uscita dalla procedura straordinaria si ritroverebbero in mano (come forse sognano da sempre) un’Alitalia versione super-light dal punto di vista dei costi, ma intatta per diritti di volo, aerei e rotte. Il conto, a quel punto, rimarrebbe all’eventuale bad company. A carico dei dipendenti, delle banche, dei vecchi soci e – alla voce ammortizzatori – dello Stato.