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 2014  luglio 27 Domenica calendario

APPENA

un
mese fa si era comunicato il numero raggiunto dai profughi sulla faccia della terra: 51,2 milioni, il record, metà di loro minori. Abbiamo imparato le parole per nominarli: gli sfollati — quelli che hanno perduto le loro case e le loro città e sono dispersi nel loro paese — i profughi — quelli sparsi ai quattro angoli del mondo — e i rifugiati — quelli che chiedono e quelli che ottengono asilo, perché sfuggono a guerre e persecuzioni riconosciute da altri Paesi. Poi esistono delle sottocategorie, che spaccano i fuggiaschi in quattro. La dizione più suggestiva è quella: displaced persons — gli spostati! E anche qui: gli sfollati invidiano i profughi, i profughi invidiano i rifugiati, i rifugiati in Italia invidiano i rifugiati in Svezia… Alla fine del 2013, i diversi profughi erano diventati 6 milioni di più che alla fine dell’anno precedente. A distanza di pochi mesi, il record è surclassato.
La storia è svelta: in Afghanistan, Somalia, Congo, Myanmar, Eritrea, Sud Sudan, in Centroafrica, in Siria, in Mali, in Nigeria, nell’Iraq del “califfato”, in Ucraina, in Palestina. Piove sul bagnato. La striscia di Gaza è abitata per tre quarti da rifugiati permanenti, ed ecco che dopo 19 giorni di “guerra” conta già più di 150 mila nuovi “spostati”. Qui la nomenclatura deve fare un salto mortale per trovare un nome a rifugiati di vecchia data che diventano nuovi sfollati. Nella paradossale Gaza non esistono vie di fuga. A Sarajevo un tunnel serviva a introdurre viveri e altri rifornimenti — magari anche armi — nella città stretta d’assedio, ma soprattutto a farne evadere feriti e fuggiaschi. I tunnel che introducono nella Striscia armi sempre più micidiali o sbucano sul territorio israeliano per colpire non hanno il reciproco: gallerie scavate per far scappare dalla trappola. Ai rifugiati palestinesi — 750 mila in Cisgiordania — deve provvedere una speciale agenzia dell’Onu, l’Unrwa. In Iraq, l’espansione dell’Isis massacra e caccia dalle loro case gli sciiti, i curdi, i cristiani, e gli stessi sunniti spaventati e inorriditi dalla ferocia fanatica. In Siria il totale degli sfollati interni e dei profughi si avvicina ai 10 milioni, e fa arrossire l’“invasione” di cui parliamo noi europei a confronto con i milioni di accolti in Libano, Giordania, Kurdistan. In Ucraina si calcolano 230 mila fra sfollati e profughi in Russia: evento impensabile poco fa, che riporta l’Europa agli esodi nel cuore del Novecento, alla vergogna della ex-Jugoslavia. L’Olanda è nell’occhio di un tremendo tifone, dalla condanna pronunciata all’Aja all’abbattimento del Boeing. È stata condannata per aver abbandonato ai carnefici 300 fuggiaschi bosniacomusulmani a Srebrenica. E gli altri 8 mila? E gli altri centomila morti e i due milioni di sfol-
lati e profughi della ex-Jugoslavia?
L’Europa che considera le guerre come infezioni primitive altrui, un’ebola remota, si divide fra chi presume di espellere da sé il deposito disperato delle guerre d’altri, e chi vorrebbe accoglierlo. Fra i primi e i secondi non si può esitare, e però si deve vedere come la chiusura dei primi si alimenti dei disastri di dittature, guerre civili e superstizioni pseudoreligiose. Chi avverte che l’immigrazione va trattata intervenendo all’origine, aiutando lo sviluppo dei paesi poveri, soccorrendo chi fugge prima che abbia dovuto scampare a frontiere e deserti e mari e stupri e rapine, dice cose ragionevoli, di una ragione evidente. Ma non è altrettanto evidente la necessità di intervenire dove si accendono i focolai destinati a diventare incendi indomabili? Non si è fatto niente per impedire che una ribellione ingenua seguita da una repressione spietata in Siria aprisse la strada alla carneficina, all’avvento di forze altrettanto spietate e a un’inondazione di creature umiliate e ferite (I morti non sono affare contabile, ma lo scandalo dei mille di Gaza eclissa quello di Siria: 125 mila? 170 mila?).
Alle nostre coste, o alla stazione di Rogoredo, arriva solo l’ultima schiuma: abbastanza per la demagogia antieuropea e xenofoba. E l’Iraq, lasciato in balia di fanatici demenziali da una vicenda a sua volta demenziale? L’invasione di Bush e Blair credette di poter ignorare il diritto in nome di una sua compiaciuta giustizia, e fu cieca al futuro. Un’impresa insensata e arrogante non si rattoppa tornando alla casella di partenza, come nel gioco dell’oca. Non a Falluja o a Mosul, non a Gaza. Mesi fa visitai i campi dei profughi siriani nell’Iraq curdo: chiunque là raccontava che le province centrali dell’Iraq erano in mano al terrore qaedista. Si ride amaro a leggere, ora, che i servizi di intelligence non si spiegano da dove siano sbucati gli invasati del califfato. In realtà lo sanno, da dove vengono: dalla Siria abbandonata al torneo della strage da più di tre anni, dall’Iraq da cui gli americani sono andati via abbandonando alla rappresaglia i locali che erano stati dalla loro parte. Una campana che suona per l’Afghanistan. Si discute sulla guerra giusta o ingiusta: nessuna guerra può essere giusta, nel mondo d’oggi. Ma quando si rinuncia a immaginare ed esercitare un compito di polizia internazionale, bisogna sapere che cosa ci si risparmia oggi, e che cosa ci si attira addosso domani.