Leonardo Coen, il Fatto Quotidiano 26/7/2014, 26 luglio 2014
È SEMPLICE ESSERE NIBALI
Vincenzo Nibali è nato a Messina sotto il segno (assai volitivo) dello Scorpione, il 14 novembre del 1984, l’anno del record dell’ora di Francesco Moser a Città del Messico. I numeri, secondo la kabbala, segnano il corso di una vita. Se sommiamo le cifre della sua data di nascita, otteniamo 29. L’età di Vincenzo. Se sommiamo 2+9, abbiamo 11, cioè 2. Il Tour de France che Nibali ha dominato e che si appresta a vincere è il numero 101, ossia 2. Coincidenze?
Vincenzo è campione che attacca, ma ha imparato a essere prudente, a non rischiare più del necessario: “In questo Tour non sono mai arrivato al traguardo con la lingua di fuori per aver speso tutto”. Si amministra con saggezza. Perché pensa che domani è un altro giorno. E che può succedere di tutto, specie in una corsa complessa e difficile come quella della Grande Boucle, carica di storia e di importanza. Da buon ragioniere (il suo diploma scolastico), evita di scialare energie. Ma da buon siciliano, non riesce a dominare orgoglio e passioni. Vuole vincere. Vuole la sfida. Mancano Christopher Froome e Alberto Contador, i Grandi Favoriti della vigilia? Lui, allora, sfida se stesso. Sfida i pronostici. Domina la corsa.
I francesi lo ammirano, ma poi non troppo. Anzi, hanno insinuato, spinti dall’inutile e vile sentimento dell’invidia: il distacco tra il messinese e i loro “poulain” Pinot e JPéraud è umiliante: “Non è colpa mia se non ci sono Contador e Froome, mi sarei divertito a correre con loro. Chiaro che se ci fossero stati, avrei gestito la mia corsa in modo assai diverso” .
Chi lo conosce dice che ha fatto della semplicità la sua forza. Lo trovi scritto nel sito web di Nibali: “Lo spirito è quello della sua terra, la Sicilia, che porta nel cuore. Sacrifici, serietà, rispetto, umiltà: ecco come nasce un campione come lo Squalo dello Stretto”. Già, i sacrifici. Suo nonno, che si chiama come lui, è emigrato in Australia trent’anni fa. Ha sgobbato duro, è tornato, “ha costruito una grande casa per tutta la famiglia”. Papà Salvatore è impiegato comunale. Mamma Giovanna, con l’aiuto di Carmen, la sorella di Vincenzo, manda avanti una videoteca. Ieri l’Equipe ha pubblicato un reportage da Messina, cosa che avrebbero dovuto fare i nostri giornali: non basta raccontare le imprese ciclistiche dei campioni, ma capire come lo sono diventati.
Papà Salvatore, ciclista amatore, era tifoso di Moser. Infilava nell’autoradio la cassetta con l’audio del record dell’ora di Francesco. Come tutti i ragazzi, gli piaceva Marco Pantani, “quando scattava, saltavo davanti alla tv e lo incitavo, come se fossi stato là”, ricorda lo Squalo che da piccolo era invece chiamato la Pulce dei Pirenei – guarda un’altra dei misteriosi incroci del destino. Erano gli amici del nonno, che rammentavano le imprese (sfortunate) di un corridore spagnolo minuto, come era il Nibali ragazzino prima di crescere sino al metro e ottanta di oggi. Si aggiudicò la classifica scalatori del Tour 1933, nell’anno in cui venne istituita. In discesa era una frana e così vinse assai poco. Non si vincono le grandi corse a tappe solo in salita: Gastone Nencini vinse un Tour perché andava molto forte anche in discesa. A nove anni gli pitturano di rosso il vecchio telaio di una bici Pinarello e con quella va a correre per la prima volta: arriva secondo e subito tutti capiscono che è nata una stella. Di lì a poco, la prima vittoria con un arrivo in solitaire, con tre minuti di vantaggio. Per crescere, Messina non basta. Lo mandano in Toscana: “Tanta era la passione per la bici che a volte rinunciava alla scuola per allenarsi”, ricorda nonno Vincenzo.
Nibali corre per la Mastromarco Gs, nel 2003 colleziona 7 vittorie, l’anno dopo sono 12. Entra nel giro della nazionale under 23, a Verona è terzo nel Mondiale. Diventa professionista nel 2005, alla Fassa Bortolo guidata da una vecchia volpe del ciclismo, Giancarlo Ferretti. L’anno dopo passa alla Liquigas e ci resta sino al 2012: vince la Vuelta del 2010, è terzo al Tour del 2012 (era stato settimo in quello del 2009). Ormai è più che una promessa. L’Astana gli offre un ingaggio sontuoso (si parla di 4 milioni l’anno) e un progetto che lo seduce: capitano di una squadra su misura. Si sposa con Rachele nel 2012. Vince il Giro del 2013. Cinque mesi fa nasce Emma. Il curriculum è un po’ come le sue tappe di montagna, l’ascesa tanto graduale quanto perfetta. Non attaccare inutilmente, gli ha spiegato Ivan Basso che fu suo capitano, “valuta se ne vale la pena, se ne vale davvero la pena, poi, semmai, vai a caccia”. Infine, l’autorevolezza. In questo Tour, l’ha guadagnata con l’impeto delle prime tappe, con l’audacia delle discese, con l’essere sempre stati in cima al gruppo. Guai, a essere scorretti. Il furbetto Péraud, ingegnere aeronautico, gli ha succhiato un paio di volte la ruota, pretendeva di superarlo sull’arrivo. Nibali non gliel’ha permesso. Quando nonno Horner, 43 anni, che l’aveva beffato alla Vuelta 2013, è scattato sulla salita dell’Hautacam, Nibali lo ha francobollato e sorpassato : “Avevo un conto con lui”. Non dimentica, Nibali, e questo è molto siciliano. Molto umano. E se continuano a menargliela con il doping, lui taglia corto. Non c’entro nulla con gente come Armstrong. Vado per la mia strada. Pulita. Magari più lenta. Sull’Hautacam il suo tempo non aveva nulla a che fare con quelli stupefacenti degli anni doping. Ma la corsa è stata bella lo stesso, e di più.
Leonardo Coen, il Fatto Quotidiano 26/7/2014