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 2014  luglio 26 Sabato calendario

SETTE (EX) UOMINI D’ORO FRA POLITICA E MANETTE

Milano
La Grande Retata del 2014 non provoca traumi politici, né indignazione nel Paese. Nessun corteo, niente monetine. In fondo, nessuno stupore. È una retata a rate, diluita nel tempo, che nessuno segnala come tale: si guarda l’albero, non si vede la foresta, o almeno il bosco. Negli ultimi quattro mesi sono finiti in carcere – oltre a decine di imprenditori, banchieri, faccendieri e politici di seconda fila – sette uomini d’oro della politica italiana, che sono o sono stati parlamentari, sottosegretari, ministri. In quale altro Paese al mondo succede qualcosa di simile? Eccoli, per non far torto a nessuno, in rigoroso ordine cronologico (dell’ingresso in cella): l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino (3 aprile), l’ex ministro Claudio Scajola (8 maggio), il deputato del Pd Francantonio Genovese (15 maggio), l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini (26 maggio 2014), l’ex senatore e fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (13 giugno), il deputato di Forza Italia ed ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan (22 luglio), l’ex parlamentare del Pdl Alfonso Papa (22 luglio). L’ottavo del mazzo, Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, non è in cella solo perché è in fuga, latitante a Dubai. Per tre di questi sette, è un bis: Scajola era già stato arrestato nel 1983, Papa nel 2011, Cosentino nel 2013. Per due di loro, il passaggio è diretto dal Parlamento alla galera: i deputati Genovese e Galan sono stati arrestati, come prevede la legge, solo dopo il voto favorevole della Camera.
NICK ’O MERICANO DA CASAL DI PRINCIPE
Quando le porte del carcere si aprono per Nicola Cosentino, pochi si stupiscono. Sono anni che Nick ’o Mericano, da Casal di Principe, è chiacchierato per i suoi disinvolti metodi politici e per i suoi pericolosi rapporti con la camorra. Forte dei voti raccolti in Campania, diventa coordinatore regionale del Pdl, poi deputato, infine sottosegretario del governo Berlusconi. Lo arrestano per la prima volta il 15 marzo del 2013. Si presenta al carcere di Secondigliano, “da persona innocente”, dichiara, “dopo un calvario di cui non riesco a comprendere la necessità”. È accusato di concorso esterno in associazione camorristica, riciclaggio di capitali e corruzione. È indicato come il referente politico nazionale dei Casalesi. Dopo quattro mesi di cella, va agli arresti domiciliari. Poi l’8 novembre 2013 torna libero. Si sente abbandonato dal Capo: “Sono schifato da Silvio: mi ha tradito”, dice in un’intervista. Fonda Forza Campania. Si prepara alle elezioni europee. Ma ad aprile viene ricondotto in cella, insieme ai suoi fratelli Giovanni e Antonio. Questa volta è accusato di estorsione e concorrenza sleale con metodo mafioso. Secondo i magistrati, si comportava da boss nel campo dei distributori di carburante, il business di famiglia. I fratelli Cosentino finiscono in galera in buona compagnia: con altre dieci persone, tra cui nientemeno che Pasquale e Antonio Zagaria, i fratelli di Michele, boss indiscusso di un clan dei Casalesi. Secondo l’accusa, Nicola Cosentino e i suoi fratelli “attraverso un sistema di coercizione nei confronti di amministratori e funzionari pubblici locali”, avrebbero costretto il Comune di Casal di Principe e la Regione Campania a compiere atti illegittimi “per impedire o rallentare la creazione di altri impianti da parte di società concorrenti”. Così erano avvantaggiate le società di famiglia, con il sostegno dei boss: “Nicola Cosentino vanta un rapporto stabile con il clan dei Casalesi”, scrivono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
L’EX MINISTRO A REGINA COELI
Odore di mafia anche nell’arresto di Scajola, portato in manette a Regina Coeli. È accusato dalla procura di Reggio Calabria di aver favorito la latitanza di Matacena, condannato definitivo per concorso esterno ai clan della ’ndrangheta . Secondo le accuse, l’ex ministro dell’Interno aveva pianificato il trasferimento di Matacena verso il Libano e l’occultamento all’estero dei suoi capitali.
Da Reggio, basta passare lo Stretto per raggiungere la Sicilia e assistere all’arresto, un mese dopo Cosentino e sette giorni dopo Scajola, del deputato
Francantonio Genovese. La sera del 15 maggio si presenta al carcere Gazzi di Messina. L’accusa: essere a capo di un sodalizio criminale che attraverso truffe, riciclaggio , peculato e reati vari ha sottratto milioni di euro di finanziamenti europei alla formazione professionale per arricchirsi e fare propaganda elettorale. Quando fu candidato dal Pd alla Camera, era già indagato. Il suo caso era stato segnalato dal Fatto e da Report: invano. La commissione di garanzia del Pd di Pier Luigi Bersani non trovò nulla da dire sulla candidatura. Dopo la sua elezione e dopo due mesi dalla richiesta d’arresto da parte dei magistrati, la Camera vota: 371 sì, 39 no, 13 astenuti. Votano sì anche i deputati del Pd di Matteo Renzi, tranne sei che votano no insieme ai berlusconiani, 13 in missione e 33 che non partecipano al voto. “Quello che hanno fatto a mio cognato la ritengo una schifosissima scelta elettorale”, dichiara a caldo Franco Rinaldi, deputato regionale del Pd, cognato di Genovese e con lui indagato nell’inchiesta della procura di Messina. Il 25 maggio, dieci giorni dopo l’arresto di Genovese, ci sono infatti le elezioni europee.
Il giorno dopo tocca a Corrado Clini, per 25 anni direttore generale e poi ministro all’Ambiente. Secondo il gip di Ferrara, lui e i suoi complici “hanno messo in atto un complesso e sofisticato meccanismo” per appropriarsi di denaro pubblico “conseguendo ingenti profitti” : oltre un milione di euro, parte del finanziamento che il governo italiano aveva concesso per il progetto New Eden in Iraq. L’arresto di Dell’Utri è invece una storia annunciata. La sentenza della Corte d’appello di Palermo che lo condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa è del 25 marzo 2013. Ma l’ex senatore, per decenni intermediario tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, scompare. Viene rintracciato il 12 aprile 2014 a Beirut. Arrestato in Libano, viene estradato in Italia il 13 giugno e accompagnato al carcere di Parma. Il 9 maggio la Cassazione aveva resa definitiva la sua condanna.
IL “CROLLO” DEL SISTEMA MOSE
Il 4 giugno scatta la retata del Mose: 35 arresti, 100 indagati, 300 perquisizioni. Nel gruppo c’è anche Galan, accusato di avere ricevuto uno “stipendio” milionario per facilitare gli affari veneziani. Lambiti dalle indagini anche gli ex ministri Pdl Giulio Tremonti e Altero Matteoli. Galan sarà arrestato solo a luglio, dopo il voto della Camera: 395 sì, 138 no e due astenuti. Il 22 luglio entra nel carcere di Opera, alla periferia di Milano. “Sono trattato come un appestato”, dichiara. Lo stesso giorno torna in cella anche Alfonso Papa, ex parlamentare Pdl ed ex magistrato, già sotto processo per la vicendaP4. È accusato di concussione aggravata dalla finalità mafiosa, per i rapporti stretti con imprenditori legati al clan camorristico Belforte.
Avanti il prossimo. Senza alcun brivido e con molta assuefazione.
Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 26/7/2014