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 2014  luglio 26 Sabato calendario

QUEL GRAN PEZZO DELLA LEOPOLDA

Ogni volta che parla Renzi, si ha sempre l’impressione del déja vu, anzi del déjà entendu. Effetto singolare, per uno che voleva cambiare tutto e rottamare tutti, per uno che spara raffiche di tweet e hashtag con la parola rivoluzione. L’altra sera si è detto contrario alla “dittatura della minoranza” solo perché le opposizioni vorrebbero discutere la riforma della Costituzione in tempi ragionevoli, non in una settimana. Chissà quanto si è spremuto le meningi per trovare un calembour che ricacciasse l’accusa di autoritarismo in gola a chi gliela lancia. E chissà com’era soddisfatto quando l’ha trovato. Purtroppo, come tutto quel che dice, anche questo l’aveva già detto Berlusconi. Era il 29.4.2006, all’indomani della vittoria risicata di Prodi: “È in atto una dittatura della minoranza”. Lo ripetè l’ex camerata Gennaro Malgieri il 13.8.2010, dopo la fuoruscita dei finiani dal Pdl: “No alla dittatura delle minoranze”. E il 13 dicembre 2010 lo ribadì Giuliano Cazzola alla vigilia della fiducia al governo B. nel bel mezzo della compravendita dei deputati: “La dittatura della minoranza usa media, istituzioni e piazza contro il Cav”. Peccato: era venuta così bene la lezioncina a quel gufo di Tocqueville che, non essendo renziano, si preoccupava inutilmente della “tirannide della maggioranza”. E, sempre ne La democrazia in America, indicava gli antidoti: la partecipazione popolare alla politica attraverso le associazioni e la rigorosa divisione dei poteri: “Supponete un potere legislativo composto in modo tale che esso rappresenti la maggioranza senza essere necessariamente lo schiavo delle sue passioni; un potere esecutivo che abbia una forza propria; e un potere giudiziario indipendente dagli altri due poteri. Avrete ancora un governo democratico, ma non vi sarà più pericolo di tirannide”.
Non aveva capito, quel solone di un professorone, che il vero pericolo sono le minoranze, non le maggioranze, forse perché non aveva conosciuto Renzi, la Boschi e Verdini. Altrimenti l’Italicum e il Senato delle autonomie li avrebbe scritti lui in un apposito saggio dal titolo “La renzusconicrazia in Italia”: “Supponete un potere legislativo composto in modo tale che esso rappresenti la minoranza del più forte, necessariamente schiava delle passioni del suo capo che nomina i deputati, i senatori e il capo dello Stato a sua immagine e somiglianza, e all’insaputa degli elettori; un potere esecutivo che abbia forza propria e anche altrui, sostituendosi al legislativo e interferendo nel Csm e controllando la Corte costituzionale; e un potere giudiziario dipendente dagli altri due poteri, che poi sono uno solo. Avrete un governo tirannico, ma non vi sarà più pericolo di democrazia”. Scrivendo a metà ’800, Tocqueville era affezionato a un’antica, polverosa e ormai sorpassata madeleine: la libertà di stampa. “La democrazia è il potere di un popolo informato... La stampa è per eccellenza lo strumento democratico della libertà”. Oggi per fortuna non corriamo più neppure quel pericolo. Anzi, la stampa italiana si sta impegnando allo spasimo per disinformare il popolo, onde evitare che prenda il potere.
Anche ieri le mejo firme del bigoncio si sono dedicate allo sport nazionale degli intellettuali italioti fin dai bei tempi della Buonanima: manganellare l’opposizione e disperderla con gl’idranti a maggior gloria del governo di Sua Maestà. Secondo Federico Geremicca (La Stampa), i 200 parlamentari che protestano al Quirinale contro la tagliola grassiana tentando invano di farsi ricevere dal Monarca, colto da fulmineo “malessere” (un quarto d’ora non di più, poi è partito per la villeggiatura), rappresentano “il partito che non vuole cambiare niente”. I turiferari del Messaggero abbandonano per un attimo la lingua italiana (“un’ingrediente”, “chi li avrebbe sentiti, a Renzi e a Berlusconi?”) pur di irridere ai “marciatori del no”, “i noisti grillo-leghisti padan-stellati”. Ma il premio “Cupidigia di Servilismo” va ancora una volta di diritto a un fuoriclasse della lingua: Francesco Merlo di Repubblica, che taglia per primo il traguardo fra due ali di saliva.
L’ostruzionismo, già bandiera di tutte le opposizioni democratiche, è per lui “la scienza del perder tempo, dell’imbrigliare per imbrogliare”, dunque rottamarlo “non è un colpo di stato ma una festa di liberazione” (sia lodato Matteo, sempre sia lodato). Il corteo delle opposizioni è “un footing dietetico” di nemici della rivoluzione di Renzi (che Dio ce lo conservi), un’“armata brancaleone dell’eloquio-sproloquio” che vorrebbe “annegare le riforme nella logorrea”, fortunatamente “rabbonita dalla sapienza e dall’esperienza di Donato Marra”, segretario del Colle quindi genio assoluto. “Un tempo – trilla il Merlo – l’ostruzionismo era una valvola di sicurezza”, oggi invece è “intossicazione” e “il peggiore vizio parlamentarista”. Cos’è cambiato? “Oggi i tempi contingentati non sono più offese alla libertà, ma sono quelli essenziali della Leopolda, 4 minuti a testa per non trasformare la democrazia in chiacchiera”. Oggi c’è Renzi, quel gran pezzo della Leopolda tutta nuda tutta calda. E il Merlo Leopoldo zufola tutto eccitato: grazie al pie’ veloce Matteo (santo subito) “persino nelle assemblee di condominio il cronometro è un’igiene del pensiero”. Pazienza se in Senato non si discute il prezzo del cherosene o il tombino della fossa biologica, ma la nuova Costituzione. E pazienza se Repubblica, quando la Carta la sfiguravano B. & C., era sulle barricate del No. Con tutto il centrosinistra. E persino con Renzi. Tira più un pelo di Leopolda che una pariglia di buoi.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 26/7/2014