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 2014  luglio 26 Sabato calendario

Notizie tratte da: Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne, Adelphi 2014, pp. 136, 12 euro.Vedi biblioteca in scheda: 2279765Vedi Libro in gocce in scheda: 2284477Contrariamente alla visione classica che lo vuole rintanato in biblioteca, Montaigne fu assai impegnato nella vita pubblica, soprattutto nella veste di mediatore durante le guerre di religione che sconvolsero la Francia del XVI secolo

Notizie tratte da: Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne, Adelphi 2014, pp. 136, 12 euro.

Vedi biblioteca in scheda: 2279765
Vedi Libro in gocce in scheda: 2284477

Contrariamente alla visione classica che lo vuole rintanato in biblioteca, Montaigne fu assai impegnato nella vita pubblica, soprattutto nella veste di mediatore durante le guerre di religione che sconvolsero la Francia del XVI secolo.

«Le guerre civili sono ben peggiori delle altre guerre, giacché costringono ciascuno di noi a star di vedetta nella propria casa» (Montaigne)

«Ho modi aperti, che mi permettono di entrare facilmente in relazione e di ispirare fiducia sin dai primi contatti. La schiettezza e la pura verità saranno sempre, in qualsiasi epoca, apprezzate e considerate opportune» (Montaigne)

Accettava di buon grado contestazioni e critiche: «Il mio pensiero si contraddice e si disapprova da sé tante di quelle volte che mi è indifferente se a farlo è un altro».

Montaigne non pretende di educare o di insegnare, perché la realtà è in continuo divenire. E lui con essa: «Il mondo non è che una perpetua altalena. Tutto ciò che in esso si trova oscilla senza posa, la terra, le alture del Caucaso, le piramidi d’Egitto. La costanza stessa è solo un’oscillazione più blanda».

Aveva ricevuto una formazione da giurista ed era magistrato.

«Le ragioni dei disordini che turbano il mondo sono per lo più di natura grammaticale. Quanti dissidi, e quanto importanti, hanno avuto origine dal dubbio sul significato di una semplice sillaba, Hoc» (Montaigne)

Il suo stemma era una bilancia sormontata dal motto «Che cosa so?».

Nel 1580, durante un viaggio che lo avrebbe portato in Germania e a Roma, si imbatté in un uomo nato femmina ma a cui erano spuntati gli attributi maschili dopo avere fatto uno sforzo per compiere un salto: «Anziché pensare di continuo al sesso maschile, le ragazze fanno prima a generarlo dentro di sé. A furia di pensarci, il sesso spunta loro in mezzo alle gambe».

Numerose le riflessioni su vecchiaia e decadimento fisico. Per esempio, dopo la caduta di un dente: «Dio è misericordioso con coloro ai quali toglie la vita un poco alla volta. L’ultima morte sarà meno piena e funesta, giacché ucciderà soltanto una metà o un quarto di uomo».

Non credeva nel progresso e anche la scoperta dell’America lo induce a pensieri funesti. Nuovo e Vecchio Mondo non avranno giovamento dal reciproco contatto, anche perché si è trattato di una invasione all’insegna della forza bruta: «Era un mondo bambino, ma non lo abbiamo castigato e sottomesso alla nostra disciplina facendo valere la nostra virtù, né lo abbiamo irretito con la nostra giustizia e bontà, né soggiogato con la nostra magnanimità».

Bersaglio ricorrente di Montaigne, coloro che promettono un mondo migliore: «Nulla nuoce a uno Stato quanto il nuovo. I cambiamenti conducono solo all’iniquità e alla tirannia».

Iniziò a scrivere i Saggi a 38 anni, dopo essersi dimesso dalla carica di consigliere del Parlamento di Bordeaux.

L’otium studiosum gli aveva provocato un senso permanente di angoscia e affanno, che tentò di superare attraverso la scrittura. Utilizzava un rôle, un registro, usato solitamente per segnare entrate e uscite. «Montaigne decide di tenere i conti dei suoi pensieri, dei suoi deliri, per mettervi ordine, per ritrovare il dominio di sé».

«Nei viaggi il corpo non è in ozio né in affanno, e questo moto moderato lo corrobora. Non conosco scuola migliore per plasmare la propria vita che metterle sotto gli occhi senza posa la diversità di tante altre vite, idee e usanze» (Montaigne)

Suo mezzo di trasporto preferito era il cavallo: «Resto in sella senza mai smontare, pur soffrendo di coliche, e senza fastidio, anche per otto o dieci ore di fila».

Soffriva di calcoli renali, ereditati, secondo le sue convizioni, dal padre Pierre Eyquem, morto a 67 anni per un enorme calcolo alla vescica.

La torre cinquecentesca a pianta circolare è tutto ciò che rimane del castello dove abitava, in Dordogna, vicino Bergerac, andato distrutto in un incendio del XIX secolo.

Per omnia vanitas (tutto è vanità) è una delle iscrizioni fatte incidere da Montaigne sulle travi della sua biblioteca.

Amava riflettere passeggiando.

Rinunciò a costruire una lunga balconata intorno alla biblioteca a causa degli alti costi.

«Scrivo il mio libro per poche persone e per pochi anni». Così giustificò la scelta di utilizzare il francese al posto del latino per i suoi Saggi. Era convinto che nel volgere di poco tempo il libro sarebbe risultato incomprensibile ai suoi concittadini a causa del continuo evolversi della lingua.

Da bambino, i suoi genitori avevano imposto che familiari, educatori e servitù si rivolgessero a lui esclusivamente in latino.

Uno degli eventi centrali della sua vita fu l’amicizia con Etienne de la Boetie, alla cui memoria è dedicato il primo libro dei Saggi: «Se qualcuno si ostinasse a chiedermi perché l’amavo, sento che per spiegarlo non potrei rispondere altro che: perché era lui, perché ero io».

Per Montaigne la storia è piena di esempi di grandi civiltà, Roma su tutte, decadute a causa dello sviluppo delle arti e della cultura: «Lo studio delle scienze infiacchisce gli animi e li rammollisce, anziché corroborarli e temprarli».

Detestava la medicina e i medici. Sua convinzione era che fosse necessario imparare a convivere con le malattie, che per l’uomo costituiscono la normalità.

«Montaigne paragona la conversazione al gioco della pallacorda, dunque a una tenzone, a uno scontro in cui uno vince e l’altro perde, in cui i due interlocutori sono avversari, rivali» (Antoine Compagnon).

«L’attenzione costante che dedico all’osservazione di me stesso mi rende avvezzo a giudicare gli altri in modo abbastanza soddisfacente» (Montaigne).

Ogni nuova edizione dei Saggi conteneva delle novità. Montaigne le definiva sovrappiù, orpelli che venivano aggiunti per rispetto al lettore che acquistava l’opera, ma che non ne modificavano la struttura e la sostanza.

Per Montaigne bisogna saper distinguere il ruolo sociale di ognuno da ciò che si è veramente: «Già ci incipriamo il volto, evitiamo almeno di incipriarci il cuore».

Contro l’istruzione concepita esclusivamente come una serie di nozioni da immagazzinare: «Dovremmo chiedere chi sia meglio addottrinato, non chi lo sia di più. Ci industriamo solamente a riempire la memoria, e lasciamo vuoti l’intelletto e la coscienza».

«A quale specie appartenesse la mia vita l’ho imparato solo dopo averla sperimentata e vissuta fino in fondo. Una nuova figura: un filosofo involontario e fortuito».

Nel maggio 1585, in qualità di sindaco di Bordeaux, decise di passare comunque in rivista le truppe della borghesia cittadina nonostante le avvisaglie di una possibile insurrezione che, in effetti, non scoppiò.

Amici, donne e libri le sue grandi passioni. I primi due «dipendono dal caso e dagli altri. Uno presenta l’inconveniente della rarità, l’altro avvizzisce con il passare degli anni». Il legame con i libri «è molto più sicuro e nostro. Lascia ai primi due gli altri vantaggi, ma ha dalla sua la costanza e l’agio nel goderne i servigi».

Non dichiarò mai apertamente quale fosse la sua fede religiosa. Nell’adesione a un determinato culto, sostiene, a pesare è quasi esclusivamente il luogo in cui si nasce: «Si è cristiani come si è perigordini o tedeschi».

Per Montaigne si parla poco di sesso perché ci si pensa molto. Poesia e pittura non sarebbero altro che forme velate e indirette per sottrarsi al pudore e affrontare l’argomento.

Loda le qualità di italiani e spagnoli nell’arte della seduzione amorosa; considera i francesi troppo irruenti e di modi eccessivamente diretti.

Nella scrittura e nel parlare detestava le affettazioni e anteponeva la sostanza alla forma: «Preferisco torcere una bella sentenza per cucirmela addosso, anziché il filo del ragionamento per accordarlo con essa».

Oltre ai sei figli naturali, cinque dei quali vide morire, Montaigne ebbe anche una figlia d’elezione, Marie de Gournay Le Jars. I due si incontrarono una sola volta, nel 1588 a Parigi, ma intrattennero una fitta corrispondenza fino alla morte del filosofo. Fu lei, che a 18 anni era rimasta folgorata dalla lettura dei primi due libri dei Saggi, a curarne l’edizione postuma su incarico della vedova di Montaigne.

Non perdeva occasione per sottolineare l’inaffidabilità della sua memoria: «Se qualcuno vuole espormi qualcosa, bisogna che lo faccia a poco a poco, giacché rispondere a un discorso che si articoli in parecchi punti va al di là delle mie capacità».

Tra le cose che più detestava, i cattivi odori. «Ogniqualvolta devo trovare un alloggio, la mia preoccupazione è evitare l’aria pesante e graveolente».

Invito messo a conclusione dei Saggi: «Anche sul trono più alto del mondo saremo sempre seduti sul nostro culo».