Pierluigi Panza, Corriere della Sera 26/7/2014, 26 luglio 2014
LA BATTAGLIA DELLE SOVRINTENDENZE DIETRO IL PIANO DI FRANCESCHINI
La riforma dei Beni culturali proposta dal ministro Franceschini appare cannoneggiata da due fronti opposti e nascosti. Da un lato quello del premier Renzi, che non avrebbe gradito il troppo potere di veto lasciato alle sovrintendenze, in particolare quelle ai Beni architettonici; dall’altro quello dei sovrintendenti, secondo i quali la riforma ridimensiona il loro ruolo mettendo a rischio l’obbligo costituzionale della difesa dei beni. In mezzo il ministro, che ridimensiona il caso: «Non so da dove nasca la notizia, non c’è nessun contrasto con Matteo con cui sto lavorando in piena sintonia». La riforma, tuttavia, resta in un limbo.
L’ex sindaco di Firenze da sempre mal sopporta le sovrintendenze, giudicate «un potere monocratico che passa sopra chi è eletto». E i confronti con la sovrintendente di Firenze, Cristina Acidini («prematuro commentare la riforma») hanno toccato dalla pavimentazione di via Tornabuoni alla pulitura dei muri degli Uffizi. «Se il motivo addotto da Renzi per frenare la riforma è il troppo potere alle sovrintendenze è delirante. Quali suoi progetti sono stati fermati? Certo, se voleva scavare sotto Piazza della Signoria, trasformare la Fortezza da Basso o rifare la facciata di San Lorenzo è ovvio che le sovrintendenze lo vietino» afferma il responsabile Beni culturali della Uil, Enzo Feliciani. «Questa riforma a noi non piace per il motivo opposto: vuole separare chi fa tutela e chi valorizzazione e va a favore del turismo. Il ministro ha previsto l’eliminazione di sedi e di posti dirigenziali sopprimendo 38 sovrintendenze (50%) nei settori delle arti e quelle del settore archivistico (19, pari al 47% delle sedi), misure che costituiscono un passo decisivo verso lo smantellamento dell’apparato della tutela».
Molti sovrintendenti sono infelici per la riforma, ma ciascuno è infelice a modo proprio. A seconda della posizione. I direttori regionali (un ruolo non istituito nella legge base 1039 del ‘39, ma con la riforma del Titolo V) sono inferociti perché «retrocessi» a segretari regionali: non saranno dirigenti di prima fascia, dovranno svolgere gli stessi compiti e, in più, incombenze nel turismo. Non parliamo dei sovrintendenti ai Beni storico-artistici, cancellati e fusi con quelli ai Beni architettonici nella sovrintendenza unificata ai Beni culturali e paesaggistici. Hanno scritto a Franceschini lamentando che la fusione porta a un «inevitabile abbassamento del livello di tutela e alla perdita di una specificità rilevante nel nostro Paese». «Abbiamo troppo potere? — esclamano —. Noi abbiamo il mandato alla tutela e ci stanno cancellando: è ovvio che i Comuni, che sono gestori del territorio, sono più inclini a rilasciare autorizzazioni». E fanno notare che Franceschini introduce anche un secondo livello di giudizio per cui chi si vuole appellare contro un vincolo posto dal sovrintendente può farlo presso una commissione, senza rivolgersi al tribunale. Persino i sovrintendente ai Beni architettonici sollevano perplessità: se si deve spostare un Guido Reni o un Tintoretto da una chiesa a chi spetta decidere: al sovrintendente o al direttore del Polo museale? Perché i primi non lo muoverebbero mentre i secondi sì per avere un ritorno con altri prestiti. Infatti è proprio un direttore di museo, come Antonio Natali (Uffizi) che alla fine crede nella riforma: «Ho visto tante riforme tramontare, ma questa credo che andrà avanti».
I punti più controversi sono questi. Uno: nei 36 articoli della riforma per le decisioni sui prestiti delle opere si fa sempre cenno a un organo decisore «sentito il parere» di un altro: questo genererà conflitti. Due: si istituiscono troppi organi collegiali, ovvero si va verso un assemblearismo per molte pratiche. Tre: una volta che ai poli museali si è tolto il museo più importante (20 di questi diventano autonomi) si troveranno con difficoltà di introiti. Quattro: il direttore del Museo autonomo punterà sulla valorizzazione, visto che il controllo dei prestiti sarà effettuato «sentita la Direzione generale», un organo più politico. Cinque: non convince la creazione di 12 direzioni generali, di cui una all’educazione.
Per finire, alcuni aspetti curiosi e perfidi. Il silenzio di alcuni critici militanti su questa riforma fa presagire, secondo alcuni sovrintendenti, che sono state loro assicurate importanti poltrone. Infine, nel decreto è introdotta la parità di genere. Travolti dal conformismo, forse chi l’ha scritto non sa che questa è una buona notizia per gli uomini: è da anni che le sovrintendenze (e le cattedre di storia dell’arte) vanno quasi esclusivamente alle donne.
Pierluigi Panza