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 2014  luglio 26 Sabato calendario

THAILANDIA, COSI’ SI COSTRUISCE UNA DITTATURA

Il mototassista Nat ha visto cadere cinque governi a lui graditi in 13 anni, tre per opera dei giudici e due per mano dei militari. Ma a Nat, e a decine di milioni di thailandesi che hanno votato come lui, l’esercito al potere da due mesi racconta una versione diversa: e cioè che in Thailandia, dopo un decennio di instabilità, è finalmente tornata la felicità. Altri direbbero che il «Paese dei sorrisi» è invece oramai una dittatura, dove la «riconciliazione nazionale» promossa dall’alto è più una rieducazione vecchio stile.
«Qui non c’è democrazia», spiega sconsolato Nat prima di tornare nella giungla del traffico di Bangkok. Lamentele nell’aria da anni, ma che dal golpe del 22 maggio sono state superate dalla realtà. Non c’è stato bisogno di sparare nemmeno un colpo per far cadere il governo: dopo 28 morti in sette mesi di farsesche proteste anti-governative sostenute dai poteri forti, i militari avevano il pretesto necessario per riportare l’ordine.
Da lì è partita la restaurazione, una sistematica purga contro chiunque fosse considerato vicino all’ex premier Thaksin Shinawatra: l’idolo delle classi medio-basse, un diavolo corruttore per l’élite di Bangkok anche se è in auto-esilio da sei anni. Fino a maggio comandava comunque lui, con la sorella Yingluck al governo.
Le retate dei dissidenti
La nuova giunta del generale Prayuth Chan-ocha non ha perso tempo. Oltre 500 attivisti e intellettuali sono stati arrestati e rilasciati solo dietro l’impegno di starsene buoni.
In galera per un «like»
Migliaia di radio locali vicine a Thaksin sono state messe fuori onda, e la censura online ha bandito altrettanti siti web. Le manifestazioni di protesta sono proibite. Criticare la giunta è reato; basta anche un semplice «mi piace» su un post di Facebook anti-Prayuth per finire nei guai.
L’esercito ha cestinato la Costituzione, rimpiazzandola con una temporanea mentre riscrive l’assetto istituzionale. Nel frattempo, gode di un potere incontrastabile.
Il tutto è stato affiancato da una massiccia campagna di indottrinamento che coinvolge scuole, istituzioni, media. I militari, è il refrain, sono dovuti intervenire perché avevano a cuore le sorti di una Thailandia da troppo tempo divisa dall’ingombrante figura di Thaksin: libero dall’ambizione di potere del magnate miliardario, senza più le ricorrenti proteste di piazza, il Paese è ora nelle mani di «brava gente» che può esercitare un potere virtuoso sotto la benevolenza semi-divina dell’anziano re Bhumibol. Quando la Thailandia sarà di nuovo in carreggiata, dicono, si tornerà al voto.
La canzone del premier
La propaganda è ovunque. La canzone «Restituire la felicità alla Thailandia», una mielosa ballata composta dallo stesso generale Prayuth, è la colonna sonora del post-golpe suonata nelle scuole e nelle radio. Diversi spot strappalacrime mostrano soldati intenti ad aiutare la riconoscente popolazione. In pieno stile «panem et circenses», i militari hanno organizzato concerti in piazza, regalato biglietti per un film patriottico, persino ordinato alle tv di trasmettere i Mondiali in chiaro.
Il festival della «felicità»
Questo weekend a Bangkok va in scena il festival di strada «Thailand Happiness», una colossale operazione di marketing per convincere il resto del mondo che il Paese ora sorride più che mai. Ma tale capillarità nella propaganda maschera l’inquietudine che molti thailandesi non siano felici per come sta andando a finire.
L’élite contro il parvenu
Di sicuro i monarchici del sud e la Bangkok che odia Thaksin gongolano: l’esercito sta attuando tutto quello che chiedevano nelle ultime proteste. Peccato però che questa parte dell’elettorato sia stata sempre sconfitta da quando Thaksin si è candidato nel 2001, puntando sul voto del popoloso e povero nord-est trascurato dalla capitale. Ed entrando quindi in rotta di collisione con chi ha tradizionalmente comandato in Thailandia; per di più nel tramonto dell’era Bhumibol, sul trono dal ’46 e sempre più debole.
Se l’élite odia il parvenu Thaksin perché teme la sua influenza negli intrighi per la successione reale, la borghesia non lo sopporta perché ha sovvertito l’ordine naturale in quello che per molti aspetti rimane un Paese dalla mentalità feudale. Le accuse di populismo e compravendita di voti derivavano spesso dall’intollerabile fastidio nel vedere i derisi «stupidi bufali» del nord-est al potere. L’idea che chi ha più soldi o istruzione debba contare di più alle urne è comune. E’ per questo che alle prossime elezioni - non prima di due anni - il Parlamento sarà con ogni probabilità nominato in parte dall’alto, neutralizzando l’influenza di Thaksin. Intanto, che tutti sorridano.