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 2014  luglio 26 Sabato calendario

NON FA

la vamp e nemmeno quella che ti sfreccia avanti. Potrebbe, però. Susie Wolff, scozzese, 32 anni, al volante è la donna più veloce del mondo. Per altri è solo una biondina: «A little blonde thing». Ha esordito quest’anno in Formula Uno con la Williams, 22 anni dopo Giovanna Amati. Come se l’emancipazione femminile su quattro ruote fosse sempre ferma ai box. E naturalmente qualche pilota subito pronto a dire:
«Torni in cucina».
Susie, come si fa a tornare in un posto mai frequentato?
«Appunto. Correndo anche il rischio di morire di fame, perché io a parte il pollo arrosto non so cucinare niente. A due anni mia mamma mi ha messo sugli sci, a otto ho venduto la moto per il kart, a tredici ho visto Button vincere una Formula 3 e ho pensato anch’io lo voglio, a quattordici sono salita sul podio con Lewis Hamilton, lui primo, io terza e l’ho aiutato a stappare lo champagne. Per dieci stagioni sono stata così impegnata a correre nei kart in Europa che arrivavo tardi agli esami a scuola, figurarsi se ho mai avuto tempo per infornare torte. Aggiungo che mia madre, Sally Stoddart, ha incontrato mio padre quando è andata a comprarsi la moto, non ad un concorso di cucina».
La F1 resta maschilista.
«È un mondo dove le donne vanno bene in minigonna, fuori dal veicolo. E dove è facile mollare: soprattutto se non hai soldi e una spinta pazzesca. Io dopo un
anno di università mi sono trasferita a Silverstone, per studiare da collaudatrice. Lì vivevo in una casa con sei uomini, dividevamo tutti lo stesso sogno: guidare in F1. Non è stato facile, già è un mondo competitivo, e se in pista li superi, vedi che negli occhi maschili qualche certezza si sgretola. Si credono tutti Schumacher, poi se una donna li batte, ti chiedono: perché mi complichi la vita? Lì ho deciso che non avrei mai avuto storie d’amore con piloti. Quando mi hanno chiamata dalla Germania per la Dtm, il campionato tedesco turismo, sono volata a Stoccarda con il casco in mano e mi sono subito infilata in macchina. Avevo un anno di contratto, ci sono rimasta per sette stagioni».
Con qualche lacrima.
«Sì. Mi facevano correre con una macchina rosa, un’idea dello sponsor, non era nemmeno triste, solo sciocca. Va bene la gavetta, ci vuole. Ma ci sono stati giorni in cui mi guardavo allo specchio e piangevo: perché sempre stereotipi ridicoli? I miei colleghi in Mercedes avevano una sola curiosità: come fai con i seni quando ci sono i dossi? Ma la passione per le corse non ha un colore, né un sesso. E l’altro problema è stato cosa farne della femmini-lità: nasconderla, camuffarla?».
Ha fatto modificare gli orecchini.
«Per non toglierli quando indosso il casco, mentre la fede la sfilo. Peso 52 chili, venti meno degli uomini, e questo è un vantaggio per la macchina. La nuova Formula 1 ha ridotto certe necessità di forza, in un certo senso si è ingentilita, ma la parte superiore del corpo va irrobustita. Mi alleno cinque giorni a settimana, sollevo pesi, vado in palestra, il collo è la parte più sollecitata. E certo questo non aiuta la bellezza del décolleté».
Prima bisognava gestire 650 kg con un braccio.
«Sì, ora c’è il cambio al volante che aiuta. E tutto è servoassistito. E per allenarsi ci sono i simulatori. Tecnicamente tutto sarebbe pronto per favorire un ingresso femminile, ma culturalmente invece no. Tutti a chiedermi: quando farà un figlio? Ma c’è qualcuno che come prima domanda a Rosberg chiede: quando diventerai padre? Ok è un mondo duro, dove ci vuole responsabilità, ma perché non si apre di più alle donne, perché non dà una possibilità in più? Fuori è pieno di ragazze che vogliono correre. Controindicazioni fisiche non ce ne sono».
In pista si muore.
È il prezzo da pagare. Per gli uomini, e per le donne che ci vogliono provare. Quando dopo un incidente in pista di collaudo è morta la spagnola Maria de Villota, ci sono rimasta malissimo. Un conto è
se vai fuori pista e ti ammazzi sul colpo, un altro è se te ne vai un anno dopo l’incidente per i danni neurologici. Maria aveva perso un occhio, non aveva più olfatto, le si è spaccato il cervello mentre dormiva e mentre credeva di poter riprendere a vivere. Con tutto il dolore che aveva sopportato per potersi rimettere in piedi. Questo lo trovo ingiusto, insopportabile. Sul mio casco ho messo una stella, il simbolo di Maria, avevamo pranzato assieme tre giorni prima dell’incidente. Mi aveva dato un biglietto d’incoraggiamento che ancora conservo ».
Lei si è sposata a Capri.
«Sì, nel 2011. Lontana dai rombi. E’ stato un giorno bellissimo, molto tranquillo. Con mio marito, Toto Wolff, amministratore delegato della Mercedes corse, viviamo in Svizzera, a Ermatingen, sul lago di Costanza. Dico subito che in auto lascio guidare lui perché è un passeggero impaziente, ha sempre qualcosa da ridire, e io non sopporto stare al volante con al fianco uno che borbotta ».
Fino a quando insisterà?
«Un altro anno o due. Non voglio invecchiare in pista, ma essere veloce. La F1 non vuole le donne, ma noi dobbiamo trovare un modo per arrivare al traguardo ».