Gianni Mura, la Repubblica 26/7/2014, 26 luglio 2014
BERGERAC
IL RAGAZZO
morto e la maglia gialla, tanto per dire della sensibilità di Nibali. «Sono vicino col cuore alla famiglia Maggi. In un incidente stradale è morto Alessandro, 14 anni, mentre andava in bici. Amava il ciclismo e chissà quanti sogni aveva». È singolare, ma non sorprendente, che tra una domanda su Vinokourov e una sulla crono Nibali trovi il modo di ricordare un ragazzo di Soncino, ma lui è fatto così. Per capire meglio com’è fatto, e come si è costruito, ho telefonato a Messina a suo padre Salvatore.
Non ieri, ma da Nimes. Un uomo cordiale ma con regole precise: «Mi chiami di domenica, per favore, gli altri giorni lavoro». Gli chiedo di Enzo da piccolo, della nascita di una vocazione. «Enzino era una peste, una vera disperazione. Un giorno che s’era comportato male gli ho tagliato la bici in trapezi, ma poi piangeva anche di notte. Guarda che il bambino ne fa una malattia, mi ha detto mia moglie. Così gli ho rimesso insieme la bici, tra i mestieri che ho fatto c’è anche il carrozziere, oltre a lavorare la terra. E da allora ha rigato dritto. Perfino dalla scuola mi hanno chiamato per congratularsi, per sapere come avevo fatto a dargli una calmata. Altre passioni? Non direi, ha fatto due o tre giorni in una società di calcio, poi ha detto al mister che col pallone non si divertiva e voleva fare il ciclista, e il mister gli ha detto: fai come ti pare, ma col ciclismo sarai sempre un morto di fame perché i soldi in Italia si fanno solo col pallone. La prima corsa l’ha fatta a Barcellona, tutti i concorrenti erano grossi il doppio di lui. Enzino, non ti faccio partire, gli ho detto, sei un pulcino e questi ti mangiano. E lui a disperarsi: papà, siamo venuti fin qui e voglio correre ma non preoccuparti, tanto vado subito in fuga. Infatti è andato in fuga, lo hanno ripreso ed è arrivato secondo per dieci metri. Tutte le corse con lui erano una battaglia, ma prima della corsa era calmo, abbiamo fatto tante trasferte per andare a correre in provincia di Catania, di Palermo. E lui dormiva mentre guidavo. A volte dormivamo in macchina, per risparmiare».
Pausa, credo stia parlando con Giovanna, la moglie. «Senta questa che è bella. La quarta corsa è a Solarino. Ci fermiamo a mangiare in uno spiazzo, prima della partenza. Giovanna aveva preparato un bel polpettone, è una brava cuoca. E ce lo stavamo mangiando. Vicino a noi c’era il padre di un ragazzo più grande che ci ha sgridati: ma siete pazzi a mangiare il polpettone prima della corsa? Mio figlio, solo pasta in bianco. Ah, poi la corsa l’ha vinta Vincenzo e il padre di quell’altro è venuto a chiedermi cosa avevamo messo nel polpettone. Le uova, la mollica, il formaggio, che si credeva? Un signore di Paternò, esperto di ciclismo, Uccellatore si chiama, dopo la gara disse agli altri concorrenti: lo vedete ‘sto bambino? Guardatelo bene perché diventerà un campione. Questo per dire che andava già forte, ma per crescere ancora doveva emigrare ».
Capitolo Mastromarco, frazione di Lamporecchio, patria dei brigidini nonché comune più rosso d’Italia: 98 per cento dei voti al Pci buonanima e affettuoso messaggio di Berlinguer. «Mio padre, che si chiama pure lui Vincenzo, era emigrato a Perth, in Australia, a fare il muratore. Ventisei giorni di nave. Abbiamo ancora parenti in Australia, stanno seguendo il
Tour e sono felicissimi. Per Mastromarco, per quello che hanno fatto, quante persone non finirò mai di ringraziare: il presidente Bruno Malucchi, che è morto, e Carlo Franceschi che ha preso in casa mio figlio e l’ha trattato come fosse il suo. Vincenzo aveva meno di sedici anni quando è partito per la Toscana. Voi ci date un ragazzo e vi restituiamo un uomo ci avevano detto. È andata così. Educazione, rispetto, sacrifici, niente porcherie. Ma io lo avevo sempre detto a Vincenzo: se cadi in tentazione col doping, di tornare a Messina te lo scordi.
Sono tranquillo, a lui piace la pasta ‘ncaciata, la parmigiana di melanzane, la granita al caffè. Il bar vicino al nostro negozio quando Vincenzo ha vinto il Giro ha creato l’arancino Nibali, al salmone, per un tocco di rosa».
Mi sa che dovranno crearne uno allo zafferano. Riprende papà Nibali: «La cosa impressionante di Vincenzo è che ogni corsa ha sempre cercato di vincerla, anche quando era svantaggiato. Era un animale, tutto istinto, adesso ha quasi trent’anni, è maturato, è diventato lo Squalo dello Stretto. Il soprannome gliel’ha trovato un amico, Eddy Lanzo, che è stato suo testimone di nozze. Quando Vincenzo era piccolo gli ho fatto una testa così con Moser, non stava nella pelle quando l’ha conosciuto di persona, dopo che era arrivato settimo alla Coppa d’Oro di Borgo Valsugana. Per me è stata davvero una grande soddisfazione vedere andare così forte sul pavé mio figlio. Io lo sapevo che sarebbe diventato un campione, ma quanti sacrifici ho fatto. Ma, per ottenere qualcosa nella vita, o si ruba o si fanno sacrifici. Enzo rispetta tutti ma ha un carattere fiero: se subisce un torto, appena può ricambia».
Mi è tornata in mente questa frase giorni dopo, verso Hautacam, quando Nibali ha risposto furiosamente allo
scatto di Horner e l’ha piantato come una buccia di fico. Ieri, tornati gli acquazzoni e il freddo, l’unico rischio era quello di cadere. «Non ci è mancato molto», dice Nibali «ero indietro nel gruppo, quando mancano 3 o 4 km al traguardo cominciano a manovrare le squadre dei velocisti e conviene tirarsi da parte. Quando sono caduti Sagan e Bardet non ero lontano ma neanche vicinissimo. Ogni giorno si rischia, è da Leeds che lo dico». La crono di oggi? «Almeno non si rischia, si corre da soli. La farò a tutta, da leader, per onorare il Tour e la maglia gialla». Non significa che vincerà (il favorito è Tony Martin) ma certamente non andrà a spasso. Le panache, che diamine.
Quello che ha dimostrato Ramunas Navardauskas, prima vittoria lituana sulle strade del Tour. Mentre si sta esaurendo una fuga a cinque durata 180 km, parte a razzo dal gruppo sullo strappetto di Monbazillac, patria di un vino da dessert considerato il fratello minore del Sauternes (ma costa meno e dà una certa soddisfazione). Mancano 13 km al traguardo e il lituano fa un numero d’alta scuola, acrobazia e potenza. I velocisti sono allupatissimi, per loro è la penultima occasione, ma se la vedranno per il secondo posto perché Navardauskas conserva 7’’ di vantaggio. Nello sprint, vinto da Degenkolb su Kristoff, si piazza 5° Bennati e si rivede, 6°, Petacchi. Nessun grave danno per Sagan e Bardet. Siccome Nibali comunica solo in conferenza-stampa, ecco la risposta alla centesima domanda sui rapporti con Vinokourov: «È il team manager della mia squadra, la Astana ha rinnovato molto. Vinokourov ha sbagliato, ha pagato, è stato squalificato, è rientrato». Sempre molto calmo. E Armstrong, come vede la vicenda? «Ero giovane e molto impressionato da come correva, dalla sua storia. Quando si sono scoperti i suoi segreti ho capito la rabbia di chi aveva creduto in lui». Per chiudere, domenica sera festa Astana