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 2014  luglio 26 Sabato calendario

LA CACCIATA

delle grandi banche russe dal ricco mercato dei capitali d’Europa, il blocco della vendita di armi, ma anche delle tecnologie più sofisticate, in particolare per l’industria petrolifera. Questa volta la Ue ha deciso di giocare pesante. L’abbattimento del jet della Malaysia Airlines ha travolto i rapporti di forza fra i 28 paesi dell’Unione, spingendo anche Germania e Olanda sulle posizioni intransigenti di Londra. Il risultato è un ventaglio di misure, preparate a Bruxelles, più dure anche di quelle varate finora dall’America di Obama. Nessuna di queste misure è ancora in vigore. Dopo aver discusso per un giorno e mezzo, gli ambasciatori dei paesi Ue hanno affidato ai tecnici il compito di stenderne il testo, che i governi dovrebbero varare — forse anche con un sì via telefono — entro martedì. Bisognerà leggere con attenzione le clausole scritte in piccolo, per capire quali esenzioni e scappatoie aggiungeranno a quelle note fin d’ora: le prossime 72 ore saranno un mercanteggiamento vorticoso fra le varie capitali, riga per riga, perché il testo deve essere approvato dai 28 governi all’unanimità. Tuttavia, per una volta, il diavolo non si nasconde nel dettaglio. Il messaggio complessivo è chiaro: ogni paese europeo — dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Germania all’Italia — è disposto a pagare un prezzo per trasformare la Russia di Putin in una sorta di paria internazionale. Se il Cremlino vuole uscirne, deve fare quello che indica il premier olandese Mark Rutte: dimostrare che ha smesso di armare i secessionisti
ucraini.
La parte più corposa delle sanzioni in preparazione sono i ceppi per le banche russe a controllo statale (cioè tutte le più importanti). Finora, gli americani avevano messo nel mirino una di queste, la Veb, oltre alla Gazprombank. La Ue allarga il tiro alla Sberbank, la maggiore, Vtb e Banca dell’Agricoltura. Nessun europeo (cittadino o azienda) potrà comprare — neppure sul mercato secondario — azioni o obbligazioni emesse, d’ora in
poi, da queste banche, sia pure a Singapore o a Hong Kong. I giganti russi non potranno neanche quotare nuove azioni e obbligazioni sui mercati europei, neanche per venderle a giapponesi o cinesi: una limitazione pesante per Sberbank e Vtb, che sono quotate alla Borsa di Londra. Il blocco non riguarda i titoli già esistenti e neanche i titoli emessi direttamente dallo Stato russo (gli europei hanno paura che Mosca smetta di comprare Btp italiani e Bonos spagnoli). Ma rappresenta uno strangolamento delle capacità di manovra della grande finanza russa (e degli oligarchi che rappresenta) che proprio in Europa si alimenta.
Fra il 2004 e il 2012, quelle banche hanno raccolto sui mercati europei oltre 16 miliardi di euro. Solo nel 2013, hanno ottenuto finanziamenti per 7,5 miliardi di euro. Con la City off limits, rischiano l’asfissia. Ma anche la City ne esce ammaccata: dagli affari con i russi di questi anni, la finanza
britannica ha lucrato commissioni per oltre un miliardo di euro.
Il secondo braccio delle sanzioni è il blocco delle forniture di armi. È un punto a cui sono sensibili soprattutto i francesi che, nel 2011, hanno firmato un contratto da 1,2 miliardi di euro per la fornitura di due navi portaelicotteri. Non è chiaro se il blocco si applica anche ai contratti già in essere. Probabilmente, Parigi consegnerà la prima nave (praticamente ultimata), mentre potrebbe saltare la seconda. Ma anche l’Italia ci rimette: la Fincantieri dovrebbe rinunciare al progetto di un piccolo sottomarino da fornire alla marina russa.
Poi c’è il pilastro dell’economia russa: l’energia. Gli esperti Ue sono stati attenti ad escludere completamente dalle sanzioni il metano Gazprom (vitale per troppi Paesi) e anche la produzione corrente di petrolio, limitando l’impatto delle misure ai progetti a lunga scadenza. Qui verrebbe vietata l’esportazione in Russia di tecnologie e macchinari sofisticati, indispensabili per lavorare sui pozzi nell’Artico o oceanici o con le nuove tecniche di trivellazione orizzontale. In quattrini, si tratta di vendite per 100-200 milioni di euro. Ma sono tecnologie cruciali per ampliare le riserve russe e raggiungere nuovi giacimenti. La cosa
non riguarda solo i russi. Tutti i progetti di esplorazione delle grandi compagnie — da Bp a Shell, da Total a Eni — finirebbero per aria. Un blocco simile si applicherà a tecnologie a possibile impiego anche militare, in particolare nell’informatica e nell’elettronica. Sfumano esportazioni per 4 miliardi di dollari, soprattutto tedesche, ma anche italiane. Ma si congelano anche le prospettive di ammodernamento dell’economia russa.
Per la quale, comunque, le sanzioni rappresentano un colpo durissimo, fin da subito. Ieri, la Banca centrale ha dovuto alzare, per la terza volta quest’anno, i tassi di interesse, fino all’8
per cento, per prevenire una svalutazione del rublo e un’impennata dell’inflazione. Per le grandi banche di Stato si prepara, allora, una proibitiva traversata nel deserto. La banca centrale ha riserve per 400 miliardi di dollari, ma la sua liquidità è sempre più cara. Sberbank e affini non possono finanziarsi sul mercato internazionale, per il blocco americano ed europeo. E i capitali privati, esteri e no, collocati in Russia sono impegnati in una fuga sfrenata: 75 miliardi di dollari sono scappati nella prima metà del 2014, più che in tutto il 2013. Il risultato rischia di essere una selvaggia stretta al credito. Molti ritengono troppo ottimistica la previsione Fmi di una crescita russa, sia pure solo dello 0,2 per cento, quest’anno.
Come reagirà Putin? Tecnici e diplomatici europei sono stati attenti a disegnare sanzioni che non toccassero i titoli di Stato, il gas, la produzione corrente di petrolio, vitali per la Russia, ma assai importanti anche per l’Europa. Putin potrebbe decidere di far saltare il tavolo, applicando lui le sue sanzioni, magari sul gas. La scommessa dell’Europa è che un paese che deriva metà delle sue entrate da gas e petrolio non può permettersi di perdere il suo miglior cliente.