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 2014  luglio 26 Sabato calendario

NEL mare magnum degli emendamenti, dagli e dagli, la fantasia s’incurva, slitta, si rovescia e alla fine — che poi non è nemmeno la fine — va a sbattere inesorabilmente sulle buffonate

NEL mare magnum degli emendamenti, dagli e dagli, la fantasia s’incurva, slitta, si rovescia e alla fine — che poi non è nemmeno la fine — va a sbattere inesorabilmente sulle buffonate. TANTO per cambiare. E a quel punto diventa follia. Dice: è nella logica dell’ostruzionismo, tutto fa brodo per perdere tempo e far saltare i nervi alla maggioranza. Vero. Però anche il “come” merita forse uno sguardo supplementare. Così, ieri si sono guadagnate un certo spazio sui social le tante, tantissime proposte di modifica dell’articolo 56 della Costituzione che suggerivano di «sostituire, ovunque ricorra, la parola “Camera dei deputati” con la seguente: “Duma”». Ma via via grappoli di senatori, non importa se del M5S o di Sel o berlusconiani dissidenti, sempre condizionati da un riflesso slavofilo o putiniano hanno comunque prolungato e arricchito la formula giocando con le definizioni: “Duma nazionale”, “Duma dei rappresentanti”, “Duma degli eletti”. Poi si è passati a “Dieta”, semplice, e “Dieta nazionale”, “Dieta dei rappresentanti”, “Dieta degli eletti”; e quindi è arrivato il turno della “Boulè”, pensa te, e poi della “Gilda”, guarda un po’, e poi della “Corporazione”, e della “Corte”, e della “Coorte”, e della “Curia”, e della “Ecclesia”, addirittura. Difficile che i campionati di assurdità promuovano dei vincitori. Con il che non sarà politicamente corretto, ma riguardo all’articolo 56, sempre della carta costituzionale, un piccolo premio il manicomio di Palazzo Madama potrebbe assegnarlo all’emendamento grillino che ha proposto: «La Camera dei deputati è letta a suffragio universale» eccetera. E insomma: giochi di parole, svarioni mirati (“capo verso” invece di “capoverso”), aggiunte pleonastiche, sottrazioni e/o soppressioni catastrofiche, dispositivi capziosi, integrazioni misteriose, purissime scemenze — e tuttavia molto a loro modo significative di un certo modo, di un certo mondo, di una certa vena, di un certo andazzo. Inutile ridere, piangere, indignarsi o scandalizzarsi. È così. Un tempo (Patto atlantico, legge truffa, regioni, legge Reale) l’ostruzionismo era un fatto di parole e di resistenza fisica, nove, dieci, sedici ore a parlare, senza appoggiarsi al banco, quando presiedeva Luigi Preti, l’oratore era osservato con un binocolo. C’era la faccenda della pipì, Almirante fu detto “Vescica di ferro”, in realtà, ha spiegato il recordman radicale Boato, il problema è che superata una certa soglia la pipì si blocca, non esce più. Ma questo genere di filibustering è ormai defunto e oggi restano solo gli emendamenti. Però anche il contesto nel frattempo è mutato, e certo non in meglio. Per cui scorrere l’elenco monstre è una triste incombenza, ma a ben vedere la sensazione che ispirano gli emendamenti non è poi così lontana da quella che si prova dinanzi alle continue isterie da talk-show, alle permanenti paranoie complottistiche, al flusso ininterrotto di elementi di “magia” e superstizione, ai ripetuti sbocchi d’intimità, alle megalomanie compulsive, ai narcisismi coatti, al proliferare di tematiche basse, alla follia insomma che, riforme o non riforme, da un bel po’ tiene la politica sull’orlo del cupio dissolvi. Colpisce come sui social (hashtag: #mementoEmendamento) facesse scalpore e si ritenesse bizzarra e pretestuosa la pro- posta di aggiungere in Costituzione gli inni e le bandiere delle regioni — come se in questi ultimi anni, oltre a farsi rimborsare le spese più incredibili, i governatori non avessero speso tesori di tempo e anche di quattrini per farsi disegnare stemmi o comporre musiche (è di qualche mese fa una intricata diatriba tra Maroni e Mogol). Così, viene il dubbio che per vie traverse gli emendamenti siano anch’essi figli nemmeno troppo degeneri di questo tempo abbastanza dissennato. Quante volte negli ultimi vent’anni s’è detto che l’Italia è un “paese di matti” o che il sistema politico è “impazzito”. Cossiga, del resto, “faceva” il fool shakespeariano, Berlusconi invocava a tutto spiano una “lungimirante follia” — che s’è vista, poi. E Bossi col dito alzato e la laurea a Tirana, vabbè. Non per buttare la palla in tribuna, lontano lontano, ma qui tra spigole in aula, blindoidi secessionisti, finti gemelli e attempate groupies del Cavaliere, dischi volanti di Formigoni, sederi made in Tsipras, partiti di Emilio Fede, Maalox e corone di spine a cinquestelle, Alfano che balla Happy , bradipi e Supercazzole, beh, non è che la Duma o la Gilda facciano poi tutto questo effetto. I filtri deformanti sono nella vita politica di tutti i giorni, stai a vedere che accettarli con qualche rassegnazione significa anche non dargli troppo peso.