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 2014  luglio 26 Sabato calendario

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

NEW YORK
CERCATE online
“womenagainstfeminism” e vi appaiono subito. Un esercito crescente di anti-femministe. O post-femministe? Sono decine di migliaia e i loro messaggi aumentano di giorno in giorno. I loro volti sono giovani. “Donne contro il femminismo”, è un nuovo fenomeno virale. Oltre 12.000 solo su Facebook, ancora più numerose su Twitter e Tumblr. Il loro slogan è preceduto dallo “hashtag”, il segno # che spesso segnala movimenti, appelli, correnti d’opinione. Si firmano con nome e cognome, si fanno il selfie, ci mettono la faccia. Sulle foto esibiscono un sorriso e un foglietto con lo slogan che spiega le loro ragioni. «Dico no al femminismo perché non mi sento oppressa», «non mi piace fare la vittima», «siamo già eguali », «non sento il bisogno di affermarmi con la prepotenza», «non voglio giudicare tutti gli uomini generalizzando le violenze di pochi». A prenderlo sul serio sono le femministe: manifestazioni di piazza, cartelli, cortei e contro-appelli, anche loro invadono la blogosfera in difesa «del femminismo che non è affatto superato » e reagiscono con gli stessi
strumenti.
COME
la campagna Why we need feminism, «Perché abbiamo bosogno del femminismo». Tra i primi a capire l’importanza del fenomeno, sono due superblog creati da donne, The Daily Beast fondato da Tina Brown e The Huffington Post di Arianna Huffington. Il primo reagisce con un titolo sferzante rivolto alle giovani: «Voi non odiate il femminismo. Semplicemente non lo capite». La Huffington affida uno dei commenti di punta a Lynsi Freitag, scrittrice e militante per i diritti umani: «Quello che sta accadendo è importante. È frutto dell’ignoranza. È anche colpa nostra, se non abbiamo spiegato cos’è il femminismo… alle donne!». Prosegue spiegando perché lo slogan “anti—“ è un errore grave. L’eguaglianza resta una battaglia attuale, anche in America. Che si tratti delle retribuzioni sul lavoro, delzioni
la rappresentanza politica, del peso imprenditoriale, «è davvero terribile se passa l’idea che il femminismo è superato, obsoleto».
Ma questa è l’America di Hillary Clinton, Michelle Obama, Sheryl Sandberg (Facebook), quarantenni, cinquantenni, sessantenni all’apice del successo professionale. Qui sono concepibili traguardi impensabili ai tempi delle femministe storiche come Betty Friedan, Germaine Greer.
Tra le giovani, pesano anche degli scandali che fanno male, Time ricorda i casi di studentesse che in preda all’alcol hanno rapporti sessuali con compagni di università poi si pentono da sobrie, denunciano lo
stupro, e la giustizia è sempre dalla loro parte. Ci sono i “club delle seconde mogli” che attirano l’attenzione sui pochi diritti dei padri divorziati, spesso privati di ogni rapporto con i figli.
Scatta anche un fastidio verso quegli stereotipi che descrivono forme di lotta violente, un femminismo irato, acido o rancoroso. Proprio in questi giorni riemergono sulle pagine del New York Times le foto “Wanted” che la polizia di New York pubblicava per indicare le suffraggette ricercate, accusate di reati in occasione delle manifestazioni del primo Novecento per il diritto di voto. Curiosamente, è come se quelle foto di un secolo fa s’incollassero alle immagini successive, quelle delle manifesta-
per l’aborto negli anni Sessanta. Quasi che certe ragazze di oggi ricordino solo l’aspetto sgradevole di quelle battaglie, sorvolando sui risultati.
Il movimento “donne contro il femminismo” è stato preceduto, da altre fratture. Da tempo le chiese evangeliche, i cristiani rinati, i fondamentalisti della destra religiosa americana hanno fatto breccia anche tra giovani donne, esiste un filone anti-abortista tra le ragazze che attaccano il femminismo. Altre forme di ripensamento sono più sottili perché vengono dalle punte avanzate dell’emancipazione femminile. Ha creato uno shock il saggio di Anne-Marie Slaughter pubblicato sulla rivista progressista The Atlantic con il titolo «Perché le donne non possono avere tutto ». La Slaughter è una femminista-realista, brillante intellettuale, docente universitaria, collaboratrice della Clinton al Dipartimento di Stato, in quell’articolo ha consegnato una descrizione sofferta di quelle donne in carriera che cercano di unire al successo professionale il matrimonio perfetto, la maternità esemplare, l’educazione impeccabile dei figli, la cura estetica del proprio corpo. Poi c’è stato il “caso Mayer”, quando la chief executive di Yahoo Marissa Mayer dopo il parto decise di accorciarsi la maternità a poche settimane. Caso pubblicizzato a oltranza, da lei stessa. Creando un precedente tremendo, una pressione inaudita sulle sue dipendenti. Se vuoi essere una donna appagata devi trasformarti in Superwoman? La giornalista Cathy Young
su Time dà il giudizio più accurato su questo nuovo movimento. È sempre esistito un anti-femminismo al femminile: ricorda la Young, veniva dalle donne che difendevano un ruolo tradizionale, “casa e Chiesa”. Ma nel fenomeno Women Against Feminism la Young vede «tante ragazze che fanno le domande giuste, non sopportano gli stereotipi che riducono tutti gli uomini a predatori e tutte le donne a vittime». «Un vero movimento per l’eguaglianza — conclude l’analisi su Time — dovrebbe proteggere le vittime della violenza domestica anche quando sono uomini. Dovrebbe sostenere sia le donne che gli uomini nei loro diritti come lavoratori, e come genitori».