Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 25/7/2014, 25 luglio 2014
MOSCA VERSO IL PUNTO DI NON RITORNO
Le ultime speranze risalgono ai giorni dell’anniversario dello sbarco in Normandia: i grandi leader riuniti in Francia, il breve scambio tra Vladimir Putin e Barack Obama, il primo incontro tra il presidente russo e il nuovo arrivato, Petro Poroshenko. Il giorno dopo, da entrambi, parole incoraggianti: sembrava che Putin e Poroshenko avrebbero saputo trovare un compromesso, per ridare pace all’Ucraina.
Oggi sembra ci sia solo buio, davanti. L’offerta di tregua avanzata da Poroshenko è stata interpretata dai separatisti e da Mosca come un ultimatum, non come una vera volontà di negoziare. Ha vissuto pochi giorni, per precipitare in un’offensiva ancora più violenta che ha portato le forze ucraine a cacciare i ribelli da Slaviansk, la loro roccaforte, stringendoli d’assedio tra Donetsk e Lugansk: città abitate da centinaia di migliaia di persone, le tragedie cui abbiamo assistito finora possono perdere ogni proporzione in caso di assalto diretto.
Poi è venuto il dramma infinito del volo MH17 e dei suoi 298 passeggeri. Sembra incredibile che neppure il pensiero della sorte di tante vittime innocenti, dopo le immagini che chi ha visto dice di non riuscire neppure a raccontare, neppure questo sembra abbia potuto riavvicinare due popoli che forse ora hanno dimenticato, ma sono fratelli. Sopra di loro, Putin sembra aver perduto la sua ultima possibilità.
L’«Economist» lo dipinge avvolto in una «ragnatela di bugie». Una zuffa di propaganda, di accuse e insulti accompagna il tentativo degli investigatori di stabilire la verità sui fatti che hanno portato all’abbattimento dell’aereo malese, il 17 luglio scorso: un sacrificio che avrebbe ben potuto aprire gli occhi di tutti sull’enormità di quanto sta avvenendo tra i cieli e i campi di girasoli dell’Ucraina. Comprese le immagini che anche i media occidentali tendono a ignorare - l’obiettività fa le spese di questa guerra -, le vittime delle bombe di Kiev nei villaggi e nei sobborghi di Donetsk e di Lugansk.
Come se niente fosse, mentre ancora si cercano risposte tra i rottami di Grabovo altri aerei militari sono stati colpiti, mai si è smesso di sparare. E ora, come scriveva ieri il «Financial Times», emergono sempre più chiare le dimensioni e la sofisticatezza dell’arsenale che a poco a poco Mosca ha trasferito oltre confine, prendendo in contropiede la comunità internazionale. La strategia, ha detto al quotidiano britannico Jonathan Eyal, direttore del Royal United Services Institute, «non era creare un’organizzazione di guerriglieri. Né un movimento di resistenza. La Russia sta cercando di creare (in Ucraina, ndr) una vera forza militare».
Così, anche per un’Europa più preoccupata degli Stati Uniti di salvaguardare i propri legami con la Russia diventa sempre più difficile tirarsi indietro: le sanzioni verso cui si sta avviando Bruxelles possono colpire anche più duro di quelle americane. Allontanando da sé la Russia fino a un punto da cui sarà sempre più difficile tornare indietro.
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 25/7/2014