Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 25/7/2014, 25 luglio 2014
ENERGIA E DATI, L’ITALIA SVENDE AI CINESI I SUOI SEGRETI PIÙ PREZIOSI
La partita si è appena aperta, ma il più è fatto: dopo tanto shopping, i cinesi entrano infine nel settore più strategico e delicato dell’economia: le infrastrutture di rete. State Grid Corporation of China, il più grande produttore di energia al mondo - 287 miliardi di fatturato e proprietà ovviamente statale - si prende per circa 2 miliardi il 35 per cento di Cdp Reti - il ramo infrastrutture della Cassa depositi e prestiti - che controlla il 30 per cento di Snam (rete gas) ma soprattutto, a breve, anche di Terna (rete elettrica, già parte gruppo Cdp). In pratica, in un colpo solo i cinesi si prendono, a cascata, il 10 per cento dei due leader nazionali nella distribuzione di energia. Il colosso presidierà settori così sensibili che - fatta eccezione del Portogallo - in Europa nessuno si è mai spinto fino a tanto: gli inglesi hanno stoppato tutti i tentativi dei cinesi di entrare nelle infrastrutture.
Si chiamano “reti intelligenti”: nei cavi elettrici non passa solo energia ma milioni di informazioni strategiche. A cui ora avrà acceso un investitore straniero, sovrano, per giunta concorrente di Terna in tutta Europa: in Grecia puntano entrambe a prendersi a prezzi di saldo Admie, l’operatore nazionale messo sul mercato dal governo di Atene. Viste le premesse, si comprende perché gli analisti siano rimasti perplessi dall’annuncio.
Come sottolinea da giorni uno studio di Policy Sonar, società di analisi strategiche delle politiche pubbliche, le operazioni che riguardano le reti sono per natura estremamente delicate, devono essere vagliate da svariati ministeri e dall’intelligence. Ma la Cdp è statale, e la presenza a Pechino, dove ieri è stato firmato l’accordo, del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan significa che il governo non solo ha avallato, ma ha dato la spinta decisiva all’operazione.
Il grande piano di privatizzazioni si è arenato: visto flop di Fincantieri - solo 350 milioni raccolti -; veto dell’ad di Poste Francesco Caio; scarsa appetibilità di Enav. Nessuno a Palazzo Chigi o a via XX settembre pensa più di incassare tra i 5-10 miliardi previsti. L’esecutivo ha un disperato bisogno di fare cassa, e Cdp (controllata all’80 per cento dal Tesoro) potrebbe staccare un gigantesco dividendo da 2 miliardi al suo azionista, lo Stato, oscurando in parte il flop delle dismissioni. Ma Cdp è un gigante dai piedi d’argilla: negli ultimi anni ha acquisito partecipazioni che valgono ben 33 miliardi di euro (controlla Eni, Terna, Snam, Simest, Sace, Fintecna e decine di altre utility). Come ha rivelato a settembre scorso un rapporto di Bankitalia, in nessun’altra banca (come di fatto è Cdp) sarebbe consentito uno squilibrio del genere, con un patrimonio che vale la metà delle partecipazioni. Questo riduce la sua capacità di far fronte ai rischi con risorse appropriate, anche perché la ricchezza della Cassa è rappresentata dal risparmio postale (236 miliardi), che appartiene però ai risparmiatori. Morale: secondo diversi analisti, una parte degli incassi dell’affare coi cinesi potrebbe rimanere in pancia a Cdp per rafforzarne il patrimonio. Così come gli 1,5 miliardi che Cdp Reti girerà alla controllante dopo aver sottoscritto un prestito equivalente con un consorzio di banche: più sono i debiti, più scende il valore della società che si mette sul mercato, incoraggiando gli investitori stranieri e facendo felice la controllante, che incassa il generoso dividendo, e quindi anche il Tesoro.
Con l’operazione di ieri, Cdp realizza un dismissione che si è rivelata, nei mesi, più difficile del previsto: nonostante il prezzo tenuto artificiosamente basso con i debiti, i canadesi di Borealis e il fondo sovrano australiano Ifm si sono sfilati perché volevano avere più spazio nel nuovo cda della società. Dettaglio poco rilevante per i cinesi, investitori che poco guardano al prezzo perché conoscono il reale valore dell’operazione: con pochi spiccioli, State Grid of China non solo mette piede nell’infrastruttura strategica italiana, con accesso ai dati della clientela - una miniera di informazioni preziose - ma entra nel gigantesco mercato del “capitalismo municipale” dove la Cassa è attiva nel supportare i sindaci ha risanare le casse in rosso. Da tempo il governo ha imposto ai comuni di consolidare i bilanci disastrati delle municipalizzate, se necessario, privatizzandole. I sindaci di mezza Italia dialogano da tempo con la banca pubblica guidata da Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, e così, a cascata, potranno fare anche i cinesi, allettati dalle utility municipali, soprattutto se operano in settori regolamentati (con un occhio di riguardo alle società partecipate dal pubblico) come l’energia e i trasporti.
L’operazione di ieri è l’ultimo tassello - il più importante - di uno shopping, da parte degli investitori cinesi che negli ultimi mesi si è intensificato. A maggio era stato il Fondo Strategico Italiano, anch’esso espressione della Cdp, a cedere per 400 milioni il 40 per cento di Ansaldo Energia a Shanghai Electric e ad accordarsi per due joint-venture in Cina. E lo scorso marzo la banca centrale People Bank of China è entrata nell’azionariato dei due maggiori gruppi italiani nel settore energia, Eni ed Enel con quote di poco superiori al 2 per cento. Ora tocca alle reti.
Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 25/7/2014