Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 25 Venerdì calendario

NIBALI, CAPOLAVORO FINALE METTE LA FIRMA SUI PIRENEI PARIGI LO ASPETTA IN GIALLO

[Tour de France] –
HAUTACAM
Nibali Vincenzo. Continua a firmare così, prima il cognome e poi il nome, le tre maglie gialle, come esige il protocollo. In realtà, la sua firma su questo Tour è molto più lunga. Facciamola partire da Sheffield. Il primo colpo, come di clacson. Ragazzi, ci sono anch’io e non aspetto Froome e Contador per parare i loro colpi, piuttosto comincio io. La firma prosegue, un po’ cancellata dalla pioggia ma non dalla memoria, sui pavé di Arenberg.
Un siciliano che va come un treno nel freddo del Nord? Beh, sapeste quanti ne sono partiti dalla Sicilia sui treni per il Nord e senza bicicletta. Io corro per me e per loro, lo sapevate? E questo è il colpo di tamburo, quello che fa più rumore, il più inatteso, da voi. Andiamo avanti nel freddo, anche se si scende verso il centro. Sono spariti Froome e Contador, me lo rinfacciano tutti i giorni in quattro o cinque lingue. Planche des Belles Filles, belle ragazze, bel nome per una salita. Altra firma sui Vosgi. Dicono che sono l’uomo del freddo, che potrei pagare il primo vero caldo. Si arriva sulle Alpi. Altra firma con svolazzo a Chamrousse. Cos’altro devo fare? Gestire la corsa, mi dicono. La gestisco a modo mio, sgraffigno altri secondi. In tutto il Tour in salita ho perso 2” da Contador, ma non si può mai sapere. Meglio mettere fieno in cascina. E così si arriva all’ultima tappa dei Pirenei, Hautacam. La conosco.
Ed è quassù che Vincenzo Nibali sottolinea un Tour dominato. È troppo serio per mettere un punto esclamativo, figuratevi che da giorni ha in valigia le braghe gialle e forse anche i calzini da abbinare alla maglia gialla, ma li tiene in valigia per timore di fare la parte dello sbruffone, li indossasse. Non è la sua parte, e lo sa. Altri si sono vestiti tutti di giallo, prima di lui, e forse alla fine cederà anche lui, ma non importa. In tutto il Tour non ha indossato la maglia gialla solo per due giorni, il primo e quello di Gallopin. Usa solo la maglia gialla di Sheffield e quella di Arenberg, opportunamente lavate ogni sera in acqua fredda. C’è particolarmente affezionato, sono le più significative. La firma è ferma, non gli tremava la mano né la testa. Era venuto per vincere il Tour e si costruiva il vantaggio mattone su mattone, non con una grandissima impresa isolata.
Ho cercato di riassumere il Tour e gli stati d’animo di Vincenzo fino alla tappa di ieri, che si è dipanata col copione previsto: fuga da lontano, sono in venti, tra cui l’abbonato De Marchi, Nieve, Oss, Marcato, Izaguirre, Voeckler. L’onorevole Tourmalet viene trattato come già l’onorevole Izoard: primo in cima Kadri, con relativo assegno di cinquemila euro (Memorial Goddet), davanti a Nieve e l’abbonato De Marchi. Dietro tutto tranquillo finché in discesa non attacca Valverde. Belmonte di secondo cognome. Valverde Belmonte sembra una cartolina di saluti dalla villeggiatura. È evidente che vuole mettere in difficoltà Pinot, ma quello in difficoltà è lui, appena la strada torna a salire. Nibali e i suoi, senza minimamente affannarsi, non gli lasciano più di una quindicina di secondi. All’attacco della salita gli è già passata la voglia. La salita è lunga 13 km, un filo di vento stempera il caldo che picchia sulle teste e rimbalza dalla strada allo scoperto. L’Astana fa il treno, Scarponi tira i primi 2 chilometri, il gruppo perde i pezzi, quasi tutti gli uomini d’alta classifica tengono botta. Ai meno 10 scatta Horner, l’attempato americano che l’anno scorso vinse la Vuelta negli ultimi due giorni con 37” di vantaggio su Nibali. Che scatta a sua volta, come vedesse il drappo rosso, solita facilità di pedalata. Raggiunge Horner e lo pianta su un tratto di falsopiano, il tutto in cinquecento metri. Horner, per la cronaca, arriverà a 4’40” da Nibali che ormai ha preso il largo. Flamboyant, dice il telecronista francese. Sì, come il gotico. E come l’evidenza. Un corridore dal cuore piccolo avrebbe gestito la corsa. Un corridore attento a dosare gli sforzi avrebbe attaccato a poche centinaia di metri dal traguardo.
Per come pedalava ieri, Nibali se lo poteva permettere. Avrebbe vinto lo stesso. E gli avrebbero detto, oltre al traguardo, che dai tempi di Merckx non c’era stato un corridore in maglia gialla che avesse vinto quattro tappe senza cronometro.
Ma Nibali ha il cuore grande e lo sa, sul traguardo se lo addita. Voleva fare il grande numero non per mettersi al sicuro ma per fare tacere tutti quelli che gli dicono «e se c’erano Froome e Contador?». È stata una bellissima dimostrazione di generosità e di forza, anche se alla fine il vantaggio su Pinot, Majka (ancora lui, il futuro è suo), Peraud e Van Garderen è di poco superiore al minuto. Nibali ha corso non tanto contro di loro ma contro quelli che si ostinano a vederlo, nonostante il suo medagliere, come una specie di intruso, o di miracolato dalla buona sorte sotto forma di iella altrui. Per questo Nibali ha attaccato a 10 km dal traguardo, non certo perché s’è mosso Horner, e nemmeno, come ha detto lui, perché ci teneva a vincere per ringraziare la squadra e voleva essere sicuro di vincere. L’unico rischio per lui, a 6 km dal traguardo, quando ha urtato col gomito, in pieno sforzo dopo un tornante, una ragazza che si stava facendo un selfie. «È bello avere tanto pubblico, ma ci vorrebbe un po’ più di attenzione per noi corridori. E meno male che si stava in salita, se succedeva nella discesa della Madeleine poteva finire peggio».
Nibali fa il vuoto, ma senza esagerare. «Me la ricordavo diversa, la salita. Molto duri gli ultimi chilometri. Ho badato più a conservare il vantaggio, salendo col mio passo, che a incrementarlo ». Dietro, a 5 km dalla cima, entra in azione Pinot, seguito e mai aiutato da Peraud (gioco di squadra, Bardet è rimasto dietro), un po’ di più da Van Garderen. Sarà la crono a decidere gli altri due gradini del podio, il primo è stato prenotato a Sheffield e non si tocca.
Per dirvi quello che ritengo il dato migliore dell’impresa non devastante ma meravigliosa di Nibali devo ricorrere ai numeri, per quello che valgono. Tra tutte le scalate di Hautacam, il 37’20” di Nibali occupa il ventiseiesimo posto. Il record è di Riis, chiamato Monsieur 60 per cento, con riferimento all’ematocrito: 34’35”. Seguono Pantani con 35’37” e Armstrong con 36’20”. Nibali non lo sa ancora, quando risponde all’ennesima domanda su Vinokourov. Invece di chiedere ai corridori perché certi personaggi hanno libera circolazione, bisognerebbe chiederlo all’Uci o agli organizzatori delle grandi corse. La risposta è una sola: perché portano soldi. «Il passato è passato » dice Nibali «adesso c’è un altro ciclismo. Io non ho fatto prestazioni mostruose, ho accumulato qua e là. Ero concentrato solo sul Tour, altri hanno preferito fare belle figure al Romandia o al Dauphiné. Non sono il padrone del Tour, ma solo uno che tutti i giorni si è impegnato per vincerlo. Sui Pirenei volevo lasciare un segno e l’ho lasciato, anche se forse sono partito un po’ presto. In questo Tour, secondo me più duro di quello in cui sono arrivato terzo, mi sono veramente divertito».
Divertente la chiosa. Prima che Squalo, Nibali è stato Pulce. Come un altro Vincenzo, Vicente Trueba, la pulce dei Pirenei. «Da ragazzino ero bassino e un amico di mio padre, che sapeva tutta la storia del ciclismo, mi chiamava la Pulce. Poi sono cresciuto». E quanto cresciuto, Nibali Vincenzo. Enormemente cresciuto, alla maniera della gente perbene: un passo dopo l’altro.
REPTV-LAEFFE
Alle 13.45 su RNews (canale 50 Dtt e 139 di Sky) il servizio di Dipollina
Gianni Mura, la Repubblica 25/7/2014