Ferdinando Salleo, la Repubblica 25/7/2014, 25 luglio 2014
LE CRISI DEL MONDO E IL CONTROLLO POPOLARE
Per quanto sembri paradossale, un risultato, tra i tanti, della tecnologia che influenza i rapporti tra le nazioni nel mondo globalizzato è la progressiva formazione di una sorta di opinione spontanea che travalica le frontiere, si forma attraverso i media elettronici che raggiungono popolazioni lontane e gruppi sociali apparentemente isolati sfidando la più occhiuta censura. Come se, ben al di là di quanto avviene nel mondo degli affari, sia apparso poco per volta uno strumento del controllo popolare della politica internazionale di cui ormai tutto è noto a tutti in tempo reale e persino nel dettaglio, le trame, i rischi e le prepotenze, lo spionaggio e i suoi danni.
Di fronte alle rivolte “di colore” dell’Europa Orientale e alle “primavere arabe”, dalla guerra ucraina agli scambi di accuse per l’abbattimento dell’aereo malaysiano, dagli orrori del “califfato” irakeno-siriano allo scontro tra Israele e Hamas, dalle polemiche sulla privacy per il caso Snowden alle decisioni dei vertici dell’Unione Europea che, insensibili agli sbarchi dei disperati, si trincerano nell’austerità che tocca da presso la vita di milioni di cittadini, emerge proprio una forma avanzata di controllo popolare immediato che non esita a produrre effetti politici internazionali.
Non sono più solo gli osservatori esperti e attenti che orientano il potere, ma sono piuttosto le masse, divenute in vario modo protagoniste e consapevoli, a coagulare l’opinione a diversi livelli, specie tra i giovani che seguono ogni giorno i cosidetti social media, in cui appaiono con evidenza visiva le dichiarazioni, le decisioni e la loro attuazione, le mosse tattiche dei governi e dei loro esponenti: i popoli ne deplorano l’indecisione, ne temono l’improntitudine o la prepotenza e, infine, ne valutano i risultati, i successi come le sconfitte. Sono cose che influiscono, alla fine, sulle decisioni da prendere, in democrazia con il voto, altrove con la sommossa.
Non si tratta del “culto della rete” dove il mezzo di comunicazione oscura il messaggio, destinato comunque a restare carente nella trasparenza e soggetto a manipolazioni, quanto di un fenomeno che si allarga in cerchi concentrici d’opinione diffusa e d’intensità diversa — dagli avvenimenti vicini a quelli di portata più vasta — un fenomeno di cui sembra che i governi si curino solo quando le elezioni si avvicinano o l’inquietudine popolare si accende oltre lo scontento. Né si tratta di trasferire la politica estera al metodo plebiscitario che tanti danni ha fatto nei secoli, ma di accettare con realismo, nella paralisi dell’organizzazione mondiale, la vastità della conoscenza e la diffusione del giudizio del mondo. Anzi, proprio sotto la spinta del movimento d’opinione sono nate la condanna della pena capitale e la principale innovazione che le Nazioni Unite hanno dato al diritto internazionale: la “responsabilità di proteggere” gli oppressi, passo importante per l’affermazione dei valori umanitari.
Governi e popoli sono giudicati nel mondo per quel che fanno, non solo e non tanto per quel che dicono o per le ragioni che invocano, soppesate anch’esse senza pietà. Accade così che il prestigio e l’autorevolezza dei massimi dirigenti e dei loro Paesi, delle società che li esprimono, sia rimesso in causa anzitutto in patria e poi nel mondo ogni giorno cosicché il patrimonio dell’ormai famoso soft power di Joseph Nye influisca potentemente sull’autorità dei governi e quindi sulla potenza delle nazioni.
Le conseguenze si manifestano ben presto se le incongruità appaiono palesi dinanzi al tribunale dell’opinione. Ne abbiamo avuto conferma quando la contraddizione tra i principi che propugniamo — libertà, diritti sociali, dignità e giustizia — sono apparsi in aperta contraddizione con la condotta dei governi che abbiamo appoggiato per decenni in nome della stabilità. Nel grande gioco della multipolarità le maggiori potenze dovrebbero saggiamente tenerne conto, anche se le popolazioni lontane non votano e si rivoltano soltanto contro i tiranni locali corrotti. Agendo nel segno del ripristino dell’antica potenza per acquistare popolarità, ad esempio, dopo aver ben giocato le carte siriana e iraniana, Putin è visto ora nel mondo come sovvertitore dell’ordine post-sovietico, destinato quindi a trovarsi stretto tra l’ostilità della, oggi dimenticata, Casa Comune europea e la potenza cinese, antica ossessione dei russi.
Non a caso, il monito del grande poeta tedesco August von Platen — “I trionfi valgono sconfitte quando il loro frutto consiste in lamenti e nello sconfinato odio del mondo” — risuonava quando la forza dei grandi e i dettami della geopolitica disponevano dei popoli a proprio gradimento. Era lontano il controllo popolare della politica estera.
Ferdinando Salleo, la Repubblica 25/7/2014