Vittorio Malaguti, l’Espresso 25/7/2014, 25 luglio 2014
AGNELLI A TUTTO CASH
La nuova Fiat, quella col cuore in America, la sede in Olanda e il portafoglio, cioè le tasse, a Londra verrà inaugurata ufficialmente venerdì prossimo, primo agosto, al Lingotto di Torino. Quel giorno l’assemblea dei soci, l’ultima in terra italiana, varerà la fusione con Chrysler. Una rivoluzione targata Sergio Marchionne, raccontano i media di mezzo mondo esaltando l’opera del manager che ha scongiurato il tracollo dell’antica Fabbrica Italiana Automobili Torino. La storia dirà se davvero la rotta disegnata da Marchionne garantirà un futuro alla neonata Fca (Fiat Chrysler Automobiles) nel mondo sempre più competitivo dei costruttori globali. Fatto sta che, per adesso, i veri vincitori della partita sono gli Agnelli.
Nel 2004, gli eredi della dinastia torinese si erano giocati il tutto per tutto consegnando le chiavi del gruppo sull’orlo del fallimento a un dirigente cresciuto Oltreoceano, dallo stile molto personale (maglioncino nero, approccio informale) e pressoché sconosciuto dalle nostre parti. A un decennio di distanza dall’investitura di Marchionne, la famiglia ora capitanata da John Elkann si trova seduta su una montagna di liquidità, oltre 2,5 miliardi di euro. Ed è anche riuscita a blindare il controllo sul gruppo automobilistico. La scelta del trasloco all’estero, con la sede sociale ad Amsterdam, serve proprio a moltiplicare per due il peso della quota di Exor, la holding degli Agnelli, nel capitale di Fiat.
Nessun trucco, tutto legale. La legislazione olandese, disegnata apposta per attirare i capitali delle multinazionali, prevede il voto multiplo nell’assemblea dei soci. Come dire, paghi uno e prendi due. Sono i miracoli della finanza senza frontiere. Si può discutere all’infinito se la legge dei Paesi Bassi, che è un Paese dell’Unione Europea, non rappresenti una forma di concorrenza sleale verso gli altri Paesi Ue. Al momento però, per restare ai fatti, il punto essenziale sembra piuttosto un altro.
La nascita di Fca segna uno stacco netto con il passato, un ribaltamento di prospettiva. Se una decina di anni fa la Fiat sembrava una zavorra destinata a trascinare a fondo quel che restava dell’impero di Torino, adesso gli Agnelli possono permettersi di guardare da lontano l’Italia per disegnare strategie di crescita globali. Facile a dirsi. Da più di un anno ormai gli analisti si chiedono come verrà impiegato il tesoretto in cassa a Exor: quasi 2 miliardi in contanti più qualche centinaio di milioni in titoli prontamente liquidabili. Tutti quei soldi sono il frutto della vendita della quota del 15 per cento nell’azienda svizzera Sgs, per alcuni anni gestita (e rilanciata) proprio da Marchionne, prima di approdare alla guida di Fiat.
L’affare Sgs risale ai primi di giugno del 2013. Da allora nulla, o quasi. Tanto che sul mercato qualcuno è arrivato a ipotizzare un disimpegno totale anche dall’auto, con la vendita di Fca a Volkswagen. La voce, finita si giornali a metà luglio, è stata immediatamente smentita a Torino così come in Germania, ma il solo fatto che molti investitori sul mercato l’abbiano considerata attendibile è un segnale chiaro dell’incertezza diffusa sulle prossime mosse di Exor.
Un’altra ipotesi da tempo vagliata negli ambienti delle banche d’affari riguarda un possibile investimento degli Agnelli nel nuovo colosso globale che Rupert Murdoch sta cercando di creare unendo la sua Fox Corporation, compresi i canali satellitari di Sky, con l’americana Time Warner. È noto lo stretto rapporto tra Elkann e il tycoon di origine australiana. Non per niente, dall’anno scorso, il capo di Exor siede nel consiglio di amministrazione della News Corporation, una delle holding più importanti del sistema Murdoch. Già dodici mesi fa, quando erano circolate le prime voci su una possibile intesa, Elkann aveva smentito negoziati o contatti.
Adesso però, con l’offerta per Time Warner e la riorganizzazione delle tv europee con il marchio Sky, lo scenario sta velocemente cambiando. A tal punto che, secondo molti osservatori, non è escluso che anche gli Agnelli possano giocare un ruolo in questa grande partita su scala mondiale. In Borsa c’è anche chi arriva a ipotizzare che nel gioco potrebbero rientrare anche le attività editoriali di Fiat in Italia, "La Stampa" di Torino e la quota del 16,7 per cento in Rcs media, l’editore del "Corriere della Sera". Solo voci, ovviamente, perché i fatti concreti, per ora stanno a zero. Anzi, è difficile non notare che negli ultimi tre anni si sono avvicendati ben due manager chiamati a Torino per affiancare Elkann nel compito di selezionare le migliori opportunità di investimento. Ai primi di luglio ha fatto le valigie il Chief operating officer (Coo) Shahriar Tadjbakhsh, statunitense di origini iraniane, ex Goldman Sachs, ingaggiato a maggio del 2012. Il suo predecessore, l’inglese Tobias Brown, era rimasto al suo posto poco più di un anno.
Si muovono i manager, ma la holding resta ferma alla casella di partenza, con i 2 miliardi in cassa. Nel frattempo, in mancanza di meglio, gli Agnelli hanno continuato a investire su se stessi, comprando titoli Exor in Borsa. Tanto che adesso la holding controlla il 9,6 per cento del proprio capitale, molto vicino alla quota del 10 per cento che è il massimo consentito dalla legge. Ai prezzi correnti di Borsa il pacchetto di azioni proprie vale quasi 700 milioni. Spiccioli, comunque, se confrontati con l’enorme arsenale di liquidità, eventualmente rafforzato con il ricorso al credito bancario, che gli Agnelli sarebbero in grado di mettere in campo se si presentasse l’occasione buona.
Niente da fare, almeno per ora. Anche i tifosi della Juventus sono costretti ad accontentarsi di quel che passa il convento. La squadra bianconera deve far quadrare i conti senza nuove iniezioni di capitale da parte della holding degli Agnelli, che possiede il 64 per cento del club quotato in Borsa. I fuochi d’artificio del calciomercato, quelli che dovrebbero servire per fare il balzo di qualità in Europa, sembrano quindi rinviati a data da destinarsi. Si spiegano anche così le dimissioni dell’allenatore Antonio Conte, che ha preferito cambiare aria lasciando il posto a Massimiliano Allegri. Da casa Agnelli il messaggio è arrivato forte e chiaro, nessuna follia per il pallone, gran passione di famiglia da quasi un secolo. E allora si torna alla casella di partenza, cioè al business dell’auto, che sommato a trattori e veicoli industriali col marchio Cnh ancora rappresenta oltre i due terzi del portafoglio investimenti, liquidità esclusa, di Exor.
Su un punto almeno gli analisti si trovano d’accordo: la neonata Fca potrebbe aver presto bisogno di capitali per finanziare il lancio di nuovi modelli e aggredire mercati promettenti, come l’Asia, fin qui rimasti ai margini delle strategie di Fiat-Chrysler. Il debito è da tempo ai livelli di guardia. Pare difficile, quindi, che Marchionne possa fare ancora ricorso a finanziamenti bancari. E allora non resta che una strada: chiedere denaro fresco al mercato, magari ricorrendo un convertendo, cioè, fuori dal gergo tecnico, un prestito obbligazionario che a scadenza dev’essere obbligatoriamente trasformato in azioni. In questo caso, gli Agnelli sarebbero chiamati a fare la loro parte, attingendo al tesoretto di Exor. I tempi? Difficile che qualcosa si muova entro fine anno. Prima c’è da chiudere l’iter burocratico della fusione con Chrysler, che culminerà con la quotazione del gruppo a New York. A quel punto la nuova Fiat a stelle e strisce sarà pronta a sfilare sul mercato alla ricerca di capitali. Sperando nella benedizione di Wall Street.