Alessandro Gilioli, l’Espresso 25/7/2014, 25 luglio 2014
FORMIDABILE QUEL CALCIO
Alla fine, i Mondiali di quest’anno li ha vinti un po’ anche lui, Diego Armando Maradona. Perché dal (pompato) confronto con il suo presunto erede, Lionel Messi detto Leo, il vecchio campione è uscito giganteggiando. Troppo svagata, a questo giro, la Pulce di Rosario, troppo occasionali le sue mancine magie per non far tornare alla mente ciò di cui era stato invece capace El Pibe, nei suoi quattro Mondiali. E in questo caso la nostalgia - che pure addolcisce ogni ricordo - probabilmente non c’entra.
C’entra invece, e molto, nelle emozioni che provocano ai non-più-ragazzi le immagini in bianco e nero e a colori di "The beautiful game. Il calcio negli anni ’70", il nuovo volume fotografico edito da Taschen, 300 pagine su quella che nel libro viene chiamata "the football’s most beautiful era". Che parte dal Mondiale del Messico (ricordate tutto vero? Italia - Germania 4 a 3, poi il Brasile che ci sotterra in finale) e arriva fino a Maradona, appunto: giovanissimo e magro, quasi impaurito davanti ai fotografi che lo immortalano prima di una partita. Era il 1976 quando Diego debuttava nell’Argentinos Juniors con la maglia numero 16 - la sua età, allora - facendo subito impazzire i tifosi a suon di tunnel; due anni dopo già vinceva la classifica dei cannonieri e ancora oggi i tifosi rimproverano all’ex ct Menotti di non averlo convocato per i Mondiali vinti in casa sotto gli occhi del dittatore Videla, anno 1978. Peccato, in effetti, perché se Diego li avesse giocati sarebbe stato un passaggio di testimone perfetto: giusto pochi mesi prima si era definitivamente ritirato dai campi di calcio l’altro Re mondiale del pallone, Edson Arantes do Nascimento, insomma Pelé.
Già, Pelé. Il suo volto sudato e felice, mentre abbraccia il portiere di riserva Ado dopo la finale con l’Italia nel ’70, è una delle immagini di questo volume; ma il campione del Santos è ritratto anche in posa insieme a Cassius Clay o in camicia azzurra translucida davanti alla sua brillante Mercedes, status symbol potente per il ragazzo che aveva iniziato tirando calci a un pompelmo, troppo povero per comprarsi un pallone; ed eccolo ancora, Pelé, giacca rossa con le maniche che si allargano sul polso, mentre firma autografi ai tifosi in curva; o sotto la doccia - nudo, i crespi capelli neri coperti di shampoo bianco - a scherzare con un altro grandissimo del pallone, Franz Beckenbauer, il capitano della Germania per la seconda volta campione del mondo, nel 1974. È un Kaiser in maglioncino e a braccia conserte, invece, quello che il volume ci mostra assieme ai Rolling Stones, i suoi miti di allora e pure di adesso che ha quasi settant’anni e fa il dirigente della Fifa, in forma quasi come Mick Jagger. Poi, naturalmente, ci sono altri grandissimi: da Zico (in poltrona, in una camera che è un santuario di trofei) a Johan Cruijff che corre a torso nudo sulla spiaggia; da Michel Platini a Günter Netzer, il capellone del Borussia che ancora appare, di notte, negli incubi dei tifosi interisti.
A proposito: e l’Italia? In quella che secondo il libro Taschen è stata "l’era più bella del football", non vinse nulla: ultimi Europei conquistati quelli del ’68, poi si deve arrivare fino ai Mondiali spagnoli dell’82. Eppure, in questo libro sul decennio magico, ci siamo anche noi e non di sfondo. Del resto arrivammo in finale nel ’70: Albertosi, Burnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva; con Rivera al posto di Mazzola nel secondo tempo, quando tutti gli italiani impararono il significato della parola "staffetta". Quattro anni dopo, quella nazionale - con poche modifiche - fu invece buttata fuori nel girone a quattro da Polonia e Argentina: non proprio come questa volta con Uruguay e Costa Rica, ma la botta fu pesante anche allora. Ci saremmo in parte rifatti nel 1978, giocando il calcio più bello del torneo con una formazione tutta diversa, quella di Roberto "cabeza blanca" Bettega. Ma non solo lui: tra i 22 convocati "argentini" ci sono anche diversi di quelli che nel 1982 avrebbero vinto con Bearzot, da Cabrini a Tardelli, da Scirea a Paolo Rossi. E poi Zoff, naturalmente, il silenzioso portiere friulano che nel ’78 fu messo in croce per non aver visto un paio di tiri da fuori olandesi e quattro anni dopo avrebbe alzato la coppa al cielo, finendo perfino su un francobollo; il volume di Taschen ce lo mostra appena più giovane, - basetta lunga e borsello sulla spalla, mentre scende da un aereo Alitalia, scalo di Milano Linate.
Basette e borselli: siamo negli anni Settanta, appunto. E attraverso le immagini dei giocatori e dei tifosi, il libro fotografico ci racconta anche le mode, le acconciature, i vezzi e i vizi: come il fumo, quasi onnipresente tra i giocatori del tempo, che così si mostravano duri come i divi del cinema. C’è l’inglese Jack Charlton - difensore e fratello del più noto Bobby - con la sigaretta in bocca, durante un allenamento; e i tedeschi Müller e Breitner, campioni del ’74 , entrambi beati con il sigaro. Manca solo il nostro Gigi Riva, che si faceva una marlborina anche durante l’intervallo, negli spogliatoi (e una volta Manlio Scopigno lo trovò alle quattro del mattino a giocare a carte con Albertosi, immersi in una nuvola bianca, il portacenere pieno di cicche: l’allenatore-filosofo si limitò a guardarli, poi estrasse di tasca il suo pacchetto e disse: "Disturba, se fumo?»). Oggi, se Balotelli si accende una sigaretta finisce con sdegno unanime su tutti i giornali, incluso dibattito nei social network.
Ma erano tempi meno salutisti, quelli. I campioni del Real Madrid non si facevano problemi nel farsi fotografare al bar, durante il rito del "drink"; e George Best, si sa, faceva gol nello United anche giocando da sbronzo. A proposito: colpisce e un po’ intristisce, in questo volume, la presenza di tanti protagonisti del campionato inglese: come Bobby Moore, i fratelli Charlton o Kevin Keegan. Gente che ha vinto molto ma che ha anche accompagnato verso il tramonto il calcio di Sua Maestà, forse oggi l’unico sistema pallonaro messo peggio di quello italiano, tra i grandi d’Europa.
Ma dal volume di Taschen riappaiono anche nazionali di Paesi che non esistono più: come l’Unione Sovietica, con la scritta CCCP in evidenza sulle divise rosse; o la Jugoslavia trascinata dal grande Dragan Džajic, ala sinistra dagli occhi di ghiaccio; o, infine, la Germania Est, quella Ddr che in maglia blu - solo scura, sui nostri teleschermi - sconfisse i cugini occidentali a casa loro, Volksparkstadion di Amburgo, 22 giugno 1974: il gol di Sparwasser al 76° è stato cantato perfino dal premio Nobel Günter Grass e viene raccontato anche nelle pagine più belle del romanzo con cui Francesco Piccolo ha appena vinto lo Strega, "Il desiderio di essere come tutti".
Ecco, magari è per questo che ci affascina ancora così tanto il calcio degli anni Settanta. Per le emozioni profonde che scatenavano giocatori spesso sconosciuti, esotici, fumatori e un po’ beoni, comunque imperfetti, che non avevano ancora imparato a mettersi la mano davanti alla bocca per non farsi leggere il labiale dalle telecamere in alta definizione. Anzi: di tutta Italia-Germania del ’70, forse il momento che ci ricordiamo di più è quello in cui Albertosi prende a gestacci e improperi Gianni Rivera, in mondovisione via satellite, perché l’Abatino si era piazzato male sul calcio d’angolo che aveva portato al pareggio di Gerd Müller. E, cacciato quasi a calci dal suo portiere, a Rivera non resta che scattare disperatamente in attacco per segnare il 4 a 3 finale, facendo piangere Beckenbauer e Schnellinger. No, non ci è difficile, dopo il trionfo al Maracanà di Götze e Klose, sentire un po’ di questa nostalgia.