Denise Pardo, l’Espresso 25/7/2014, 25 luglio 2014
SE MAMMA RAI DIVENTA BBC
È tempo di riforme, a quanto pare. E anche in Rai il direttore generale Luigi Gubitosi ha scritto la sua, insieme a tre saggi come si conviene. Sono linee guida per una rivoluzione sull’informazione Rai, e toccare questo tasto nella tv pubblica è come mettersi a giocare con delle biglie al plutonio. La riforma di Gubitosi, l’unico dg della storia Rai rimasto al suo posto, finora, con tre presidenti del Consiglio, è un cambiamento strutturale e profondo e prevede l’accorpamento di sei testate in due newsroom con l’obiettivo di razionalizzare, valorizzare, rilanciare, sfruttando la nuova tecnologia digitale ormai spalmata su tutta Saxa Rubra. Una sfida monstre, una citazione all’italiana del mitico modello Bbc, mantenendo l’apparenza dello status quo. In pratica la rivoluzione gattopardesca alla rovescia: cambiare niente per cambiare tutto. Lo spiega in esclusiva a "l’Espresso".
Prima ancora di diventare ufficiale, il suo piano di riorganizzazione sta già scatenando un finimondo.
«È la logica evoluzione del progetto di digitalizzazione e del piano industriale. Il terzo anno, sarebbe questo, prevedeva la riorganizzazione dell’area editoriale. Al tutto si è poi aggiunta la cessione di una quota minoritaria di RaiWay per poter valorizzare l’asset e fare cassa».
Deve recuperare i 150 milioni della spending review. Allora, ci spieghi il piano .
«Ha un nome. Si chiama "15 dicembre". In quella data nel 1979 nacquero la Tgr e il Tg3 completando l’assetto delle testate. Da quel giorno sono passati 35 anni. C’è stato un cambiamento politico, sociale, tecnologico, economico, mediatico epocale. Ma noi siamo rimasti legati a quel modello, logico in uno schema senza concorrenza e con il Web inesistente. Allora offrire tre visioni era comprensibile. Poi il pluralismo è diventato lottizzazione e la lottizzazione è degenerata».
Così è arrivato il momento.
«Abbiamo studiato l’organizzazione dei broadcaster internazionali. Rispetto a loro, il modello attuale Rai è di una complessità unica. Ma solo un anno fa una riorganizzazione sarebbe stata difficilissima. Oggi con il completamento del passaggio al digitale tutte le redazioni sono diventate totalmente intercambiabili e organizzate con la stessa piattaforma tecnologica».
Quindi è tecnicamente possibile sviluppare sinergie.
«Si, si possono superare le distinzioni tra differenti testate. È il modello Bbc. Ma è anche quello del Gr creato da Livio Zanetti. I marchi dei tre giornali radio sono rimasti identici. Gli ascoltatori credono che non sia cambiato nulla. Invece non è così, non ci sono più tre redazioni ma una sola. L’obiettivo del "15 dicembre" è questo, che il pubblico ritrovi i marchi di sempre dei tg e i visi che sono abituati a vedere. Il cambiamento è strutturale ma non formale, non estetico. La nostra idea si basa su una semplificazione produttiva e sulla specializzazione delle testate».
E quindi?
«Le faccio un esempio pratico. L’assemblea dell’Anci a Firenze è stata seguita da quattro troupe mandate da Tg1, Tg2, Tg3 e RaiNews. Che senso ha? Abbiamo analizzato cinque eventi. Risultato: tre sono stati ripresi da quattro-cinque troupe. Due sono saltati per mancanza di troupe disponibili. Unificando le redazioni se ne manderà una, al massimo due e si potrà coprire un maggior numero di eventi ».
È un cambiamento di mentalità oltre che di diminuzione di potere.
«Abbiamo immaginato due fasi, la prima si dovrà realizzare tra il 2015 e il 2016. Prevede la nascita di due newsroom. La numero 1 sarà composta dall’accorpamento di Tg1, Tg2 più Rai Parlamento. La 2 sarà formata da Tg3 più Rai News più Tgr e Ciss, meteo e Web».
Che missione avranno?
«Newsroom 1 sarà generalista e avrà anche un canale istituzionale. Newsroom 2 porterà un’evoluzione dell’all news integrando offerta nazionale, internazionale e locale. Con Newsroom 2 otteniamo un risparmio immediato. Rai News che doveva sostituire la sua digitalizzazione di prima generazione, ora potrà usare quella di ultima di Rai Tre senza costi aggiuntivi. L’obiettivo è sfruttare i punti di forza che abbiamo utilizzando un unico standard produttivo. Saranno due grandi accorpamenti ma apparentemente non cambierà nulla».
Gattopardo alla rovescia. Cambiare niente per cambiare tutto.
«È così. I marchi Tg1, Tg2, Tg3 rimarrano. Chi guarda il Tg1 delle 20 continuerà a vedere il logo e i conduttori abituali che sono caratterizzanti. Così il Tg2. Ma le due redazioni saranno state unificate. A differenziare l’offerta saranno i vice direttori, i coordinatori di impaginazione ed editoriali e i conduttori, tutti dissimili da una testata all’altro. Così l’impianto sarà più nitido e si potranno valorizzare e distinguere meglio i contenuti, le missioni dei telegiornali, riposizionare e razionalizzare editorialmente le rubriche, evitando repliche, incentivando la creatività. Ha presente la Volskwagen che produce con i marchi Audi, Volkswagen, Bentley ecc? ».
Lei cita la componentistica delle automobili. Ma la Rai è industria culturale. Così la qualità rischia di essere ferita.
«Al contrario. In questo modo aumenteranno spazio e risorse per migliorare ancora di più il livello. Le nostre news sono di grande qualità, hanno forte autorevolezza e buoni dati d’ascolto. Il "15 dicembre" è una lotta alla frammentazione, allo spreco di risorse, certo non al valore dell’informazione, dei suoi marchi storici, della sua identità».
Cosa succederà delle sedi regionali?
«Lavoreremo anche su questo, come sul patrimonio immobiliare. Il principio guida sarà lo stesso, mantenere il servizio al cittadino ammodernando le strutture e riducendone il costo. Come per l’editoriale anche in questo campo non si agiva da molti lustri…».
Applicherà gli stessi princìpi anche sulle reti?
«Il tema verrà affrontato in autunno. Il piano che mi piace di più chiamare "Linee guida" non si esaurisce con la riorganizzazione delle testate. Ma è ovvio che il successo di questo genere di operazione implichi la condivisione a livello giornalistico, tecnico e sindacale. Anche perché bisognerà rivedere una serie di figure professionali».
Quanto pesa economicamente l’informazione Rai?
«Mezzo miliardo di euro tra costi interni e esterni. Per l’offerta informativa Rai lavorano 1731 giornalisti, di cui 735 nelle sedi regionali con un totale di 3042 dipendenti. Con il nuovo piano contiamo di risparmiare il 20 per cento, un centinaio di milioni».
Le due macro strutture di news avranno rispettivamente un direttore unico?
«Sì, ma non ritengo opportuno parlarne ora. A parte la direzione della radio dove c’era una sofferenza editoriale e redazionale, dal mio arrivo, con un’unica importante eccezione dovuta a un problema di risultati, ho sostituito solo poltrone rese vacanti per limiti d’età, questioni personali, candidature politiche. La prima sessione fatta con il cda aveva il tema "dove siamo". La seconda era "dove vogliamo andare". La terza sarà "come ci andiamo". Questo è uno studio di fattibilità. Se il cda darà l’ok, allora entreremo nel merito».
Si sa che la competizione tra direzioni dei tg è pazzesca. Si può immaginare quale lotta si scatenerà per guadagnare la poltrona unica. Newroom 1 se la aggiudicherà Mario Orfeo o Marcello Masi? E chi dirigerà Newsroom 2? Monica Maggioni o Bianca Berlinguer?
«Ci andrà la persona più adatta».
Dal lato della politica il piano sarebbe una sciagura vista la drastica riduzione di seggiole, poltrone, strapuntini, sgabelli.
«Io cerco di fare il mio lavoro. Certo, la riorganizzazione cambierà ruoli e numeri, per esempio ci sarà un capo redattore per ogni area, è probabile che diminuisca il numero dei graduati. Il "Corriere della Sera" citava dati divulgati dal deputato Michele Anzaldi. Secondo lui il rapporto tra graduati e redattori semplici era due e mezzo a uno. Si tratta di numeri sbagliati, il rapporto è di uno a uno e lo considero già elevato, anche se non drammatico come ipotizzato. In ogni caso appena nominato avevo detto che avrei cercato di scontentare tutti allo stesso modo e credo che questo progetto sia coerente con questo approccio».
Alla fine, siamo al modello dell’agognata Bbc, all’italiana naturalmente. In un secondo tempo le due Newsroom si unificheranno come nella tv britannica?
«Potrebbero. Una volta a regime, nulla vieta che finisca così. Certo non ora, quando unire sei testate così diverse in una sola volta rappresenterebbe uno scoglio organizzativo enorme. Il percorso ipotizzato crea realtà più omogenee. Detto questo, l’unica certezza è che nel 2017 non sarò io a occuparmene».
È una rivoluzione dal connotato renziano, naturalmente.
«Mi permetta di usare un termine un po’ in disuso, è una proposta tecnica».
Nonostante la richiesta, lei non è mai stato ricevuto da Renzi, da Luca Lotti… Non ha visto nessun inquilino di Palazzo Chigi?
«Non ho incontrato il premier. Ma ovviamente lavoriamo con il sottosegretario alle Comunicazioni».
L’Usigrai farà fuoco e fiamme per il piano.
«Dopo il consiglio, il progetto verrà presentato alle differenti organizzazioni sindacali, ai direttori, ai cdr, al governo alla Commissione di vigilanza Rai ….».
Che tipo di reazione s’aspetta?
«Spero nell’intelligenza e nella lucidità nel capire che non è più possibile rinviare».
Giovanni Floris, asset dell’informazione Rai ha lasciato l’azienda e una trasmissione come "Ballarò" per andare a La7. Non è un brutto segno?
«Floris è un magnifico prodotto del vivaio Rai a cui è stato proposto un ottimo contratto. Ha colto l’occasione. La stima rimane, andiamo avanti».
Chi lo sostituirà?
«È compito di Andrea Vianello, direttore di Rai Tre, decidere, trattare e dirlo. Si saprà presto».
Qualcuno sosteneva che c’è una trattativa sotterranea con Michele Santoro. È così?
«No».
La7 sta preparando un’offensiva massiccia sull’informazione. Come pensate di rispondere?
«Loro devono concentrare in un singolo canale. La nostra offerta è più sparpagliata. Con tutto il rispetto credo che Rai non sia ancora seconda a nessuno».
Non solo La7. Anche Sky sta facendo sempre più spesso operazioni da servizio pubblico. Penso al film su Enrico Berlinguer girato da Walter Veltroni.
«Ho visto il film e l’ho trovato bello. Francamente non credo che la Rai debba avere il monopolio della bellezza. Sono contento se spingiamo i nostri competitor a a investire in campo culturale. E sono felice, lo dico sinceramente da telespettatore, ogni volta che vedo un programma di qualità in televisione. Anche se non è firmato Rai».
Il solo ventilare una rivoluzione dell’informazione, ha provocato in Rai tensioni altissime. Qualcuno potrebbe domandarsi: ma chi glielo fa fare? Tanto Gubitosi scade a aprile.
«Ho interpretato il mio mandato che era migliorare la Rai. In assenza di mandati differenti vado avanti fino all’ultimo giorno utile».
E se trovasse forte opposizione in consiglio?
«Dovrò prenderne atto».