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 2014  luglio 22 Martedì calendario

QUANDO EDUARDO DISSE AL FRATELLO: NON TI VOGLIO BENE PEPPINO, TI TEMO


«Anni di veleno amarissimo». Così Eduardo De Filippo, il 7 luglio 1942, parlava del suo rapporto con Peppino rispondendo al tentativo di riconciliazione del fratello dopo i soliti dissapori. Siamo, appunto, nel 1942. La rottura definitiva sarebbe arrivata dopo. Ma intanto sono da tempo due galli in un pollaio: Eduardo accusa il fratello di rovinare i suoi «proponimenti artistici»; Peppino gli chiede di tornare a «studiare e lavorare» insieme «come ai nostri vecchi tempi», facendo appello anche alla sofferenza della madre. Ma la replica è feroce: un semplice colpo di spugna non può cancellare «l’offesa e il risentimento», né le «torture morali» inflittegli «sistematicamente, minuto per minuto». Eduardo è inflessibile, chiede un «chiarimento esauriente, onesto, sincero», perché «l’amore fraterno è un sentimento da asilo infantile»: «Se tu mi vuoi bene come ai primi tempi della nostra miseria, vuol dire che nulla puoi rimproverarmi... mentre io, e questo è il mio più grande dolore, non ti voglio bene come allora: ti temo». Le cose si aggiusteranno, provvisoriamente.
Del resto, i contrasti e le ripicche venivano da lontano. Già da bambini i due De Filippo avevano imparato a recitare insieme: tutte le sere la madre usciva per raggiungere a teatro Eduardo Scarpetta e i fratelli ne approfittavano per improvvisare uno spettacolino, incaricando donna Filumena, la portiera del palazzo, di tirare su il sipario (la tapparella). A quel punto l’anziana coppia dirimpettaia, marito e moglie tedeschi, in cambio di una scatola di cioccolatini otteneva di poter assistere alla messa in scena. Siamo alla preistoria di una delle collaborazioni artistiche più acclamate. Verranno negli anni Venti i primi tentativi professionali, con alti e bassi (più bassi che alti), separazioni e ritorni all’ovile, cui si aggiunge la giovanissima Titina: prima la scaramantica Rivista che non piacerà di Michele Galdieri nel ’27, poi la ditta «Ribalta Gaia», Eduardo direttore artistico, Peppino direttore amministrativo. Dal ’31 l’impresa più duratura, la Compagnia del Teatro Umoristico: alla fine dell’anno, «Natale in casa Cupiello» sarà un trionfo anche per la critica. Il nome dei De Filippo passa di bocca in bocca, Eduardo e Peppino si dividono banconote da mille.
Potrebbero continuare così ben oltre il novembre 1944, quando l’equilibrio precario si spezza per sempre. Eduardo vuole comandare e Peppino preferisce sganciarsi: Eduardo vuole rivoluzionare con rigore la tradizione teatrale e pretende che il fratello sia funzionale al suo progetto, mentre Peppino vuole volare liberamente sulle ali del suo talento comico, che incontra sempre più l’entusiasmo popolare. Sulla scena, guardandosi a vista, incarnano personaggi e ruoli opposti, un po’ complementari un po’ incompatibili. Nel recensire uno spettacolo, Corrado Alvaro intravede, nel difficile equilibrio di tragico e comico, «la tirannia di Eduardo su Peppino timido e impacciato». Paola Quarenghi, nella cronologia del Meridiano di Eduardo, segnala contrasti già nel ’36, quando cominciano a circolare voci di una separazione. La loro collaborazione manda in delirio il pubblico, piace a tutti tranne che agli interessati. Poco dopo la morte della madre Luisa, il 21 giugno 1943, i De Filippo vengono ingaggiati al cinemateatro Filangeri di Napoli, lo stesso che aveva salutato il loro esordio. Poi passano al Reale e al Diana, dove avviene il litigio che tronca il loro sodalizio. La ragione contingente era la certezza da parte di Eduardo che il fratello avesse in corso trattative con il grande impresario Remigio Paone per uno spettacolo di rivista. Il 10 dicembre 1944 si scioglie la compagnia. Dalla stessa intervista del 1972 in cui Peppino svelerà ai quattro venti la paternità illegittima di Scarpetta, si viene a conoscere il suo stato d’animo: «I De Filippo fino a quando siamo stati riuniti non esistevano, c’era Eduardo e basta. Era lui il capo, lui il mattatore, lui il genio della famiglia». L’impressione è che alla lunga ciascuno vivesse l’altro come una camicia di forza. Trent’anni dopo Peppino tornerà a chiedere «perdono»: «La solitudine mi sta consumando poco per volta (...). Vorrei tanto che io e te dimenticassimo i vecchi rancori». Eduardo risponde all’«appello quasi disperato» evocando le diverse idee sul teatro, e passando poi alla rasoiata: «Io non ti voglio male; ti consiglio però di astenerti dall’attaccarmi pubblicamente (...); perchè sebbene tali attacchi a me non facciano nè caldo nè freddo, mi danno il dolore del discapito che ne viene a te».
Peppino morì il 26 gennaio 1980. Qualcuno ha raccontato che Eduardo fosse andato a trovare il fratello in agonia con un finale strappalacrime: in realtà quando ebbe la notizia, si limitò a interrompere per qualche giorno lo spettacolo al teatro Duse di Bologna. Qualche mese dopo dichiarò: «Peppino da vivo non mi mancava... mi manca molto adesso».