Paolo Tomaselli, Corriere della Sera 25/7/2014, 25 luglio 2014
SARRI, DALLA BANCA ALL’UTOPIA DELL’EMPOLI «NOI SPACCIATI? LOTTEREMO COME BESTIE»
Colleghi, amici, parenti. Quanti sono quelli che vivono per il calcio e intanto si occupano di tutt’altro, pensando all’allenamento serale, alla partita del fine settimana. Maurizio Sarri da ragazzo ha lasciato l’università e ha diminuito l’impegno da giocatore dilettante per un lavoro di responsabilità in banca, con il borsone e gli scarpini sotto la scrivania. Diciotto anni dopo ha fatto il percorso inverso, da allenatore del Sansovino (provincia di Arezzo) che ha portato dall’Eccellenza tra i professionisti. Oggi a 55 anni debutta in A sulla panchina dell’Empoli. A fargli compagnia, sigarette, buoni libri e una valigia di esperienze: dalla seconda categoria, ha allenato (e vinto) in tutti i campionati.
«Il lavoro in banca cominciava a pesarmi — racconta il tecnico nato a Napoli ma toscano doc —. Il passo non è stato facile, ma la famiglia era d’accordo. La serie A adesso la vedo come un completamento e non mi fa molto effetto: il mio obiettivo vero era quello di fare della mia passione un lavoro e ci ero già riuscito. Di certo il calcio non è tutto uguale, ma non è detto che le emozioni e le soddisfazioni interiori siano più grandi se si sale di categoria». Papà Amerigo, classe ’28, è stato un ciclista negli anni 50, categoria indipendenti. Anche lui ha lasciato presto la vita d’atleta: «Era difficile guadagnare cifre accettabili e si è ritirato a 25 anni, poi ha avuto l’opportunità di entrare nella squadra di Gastone Nencini, che ha vinto il Tour, ma ha preso un’altra strada. Io ricordo i pomeriggi a vedere Merckx, ma anche le notti a guardare i match di Cassius Clay: sono un innamorato dello sport».
La sfida di Sarri è anche contro le etichette. Una però se la tiene volentieri: quando giocava come stopper, capitava che i centravanti avversari si dessero malati. «Era un altro calcio, con difensori aggressivi e arbitri più tolleranti: ero un cattivo abbastanza sano, ma con momenti di svalvolamento, come si dice in Toscana. Oggi mi piacerebbe marcare uno come Llorente...». Uno dei difensori centrali del futuro è titolare dell’Empoli: Daniele Rugani, 20 anni, già a metà con la Juventus. «Ha la testa di un 30enne — spiega Sarri — una grande passione e una professionalità che lo fanno restare all’allenamento dalle 2 alle 7. Ci viene in bici, gliel’hanno anche rubata due volte... A Empoli ci sono l’ambiente giusto e la società giusta per far crescere i giovani. E ho anche la fortuna di avere dei ragazzi che alla sera fanno una partita a carte invece di chiudersi in stanza: io sono contro i social network, socializzare sui pc per me è una bestemmia. Ma sono contro le imposizioni che non riguardano il campo». A proposito di campo: l’Empoli gioca un 4-3-1-2, con due 36enni in attacco, Tavano e Maccarone. «C’è la volontà di non snaturarci — sottolinea Sarri — anche se c’è l’obbligo di fare risultati in un campionato molto squilibrato. Si parla tanto di ridurlo a 18 squadre, ma andrebbe riequilibrata la realtà esistente con una redistribuzione degli introiti. È un’utopia, me ne rendo conto».
E la salvezza: anche quella è un’utopia? Ecco la prima etichetta da togliersi di dosso: «Ci sono già due squadre considerate da tutti come retrocesse. Una è la nostra, ma questo ci deve dare degli stimoli impressionanti. Lotteremo come bestie assatanate, anche se non siamo una squadra di fisicità feroce: i nostri valori saranno palleggio e applicazione tattica». La seconda etichetta, quella dei fantomatici «33 schemi sulle palle inattive»: «In passato l’ho pagata perché il calcio è un mondo chiuso e abbastanza gretto, per cui appena perdi due partite si scatena l’odio di certi tifosi». La terza etichetta: il vestito sempre nero per scaramanzia. «Succedeva a Sansovino, ma era la divisa sociale...». Quarta etichetta, affumicata: «Tre pacchetti sono molti e non ne vado orgoglioso. Ma quando ho provato la sigaretta elettronica, dopo 7 ore l’ho fatta volare...».
Quando esce dal campo Sarri lavora fino a tardi al computer, con cui studia video e dati. Il tempo per i libri però non manca: «In ritiro ho portato Vargas Llosa, ho amato anche Bukowski, John Fante e leggo tutto di Amelie Nothomb». Ma un libro a un giocatore l’ha mai consigliato? «L’ultimo tre giorni fa, quello del tennista Djokovic, per far capire la professionalità di un atleta di altissimo livello».