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 2014  luglio 25 Venerdì calendario

LO SQUALO ENZO UNA COSA DELL’ALTRO «MUNNO»


U Squalu do Strittu. Vincenzo, detto Enzo, piace ai siciliani non per la sua eccezionalità, ma per la sua eccezionale normalità: non è un super, dicono, ma è «nu bravu picciottu, talentuoso, perseverante, sgobbone, umile, uno che si sa adattare alle situazioni, uno che conosce la sofferenza come i siciliani migliori, che con la sofferenza sono arrivati dappertutto». Non per niente «Semu cca cu ttia» (siamo qua con te) e «Stamu arrivannu» (stiamo arrivando) sono gli striscioni che lo accompagnano ovunque in questi giorni. Più che lo Squalo dello Stretto, un pescecane da bestiario fantastico: lo Squalo delle Alpi, e adesso lo Squalo dei Pirenei. Nemmeno lo scrittore messinese Stefano D’Arrigo, autore del romanzo epico-marino «Horcynus Orca», ambientato proprio tra Scilla e Cariddi, poteva immaginare nulla del genere: uno squalo del pedale, diviso tra la terra madre, il Kazakistan della sua squadra, il Ticino dove abita, uno Squalu do Strittu che furoreggia sulle alpi francesi.
Da bambino, Enzareddu le Alpi non sapeva nemmeno che esistessero, figurarsi i Pirenei, Carcassonne, il Tourmalet... Le montagne più vicine avevano nomi meno noti al mondo, ma più familiari in casa Nibali: i Nebrodi, le Madonie, gli Iblei... Robetta da eterni dilettanti, da cicloamatori del sabato pomeriggio e della domenica. Per fortuna c’è sempre stato u Mungibbeddu, il Mongibello chiamato a Muntagna per antonomasia, come se non ne esistessero altre al mondo. L’Etna, il Ventoux della Sicilia: Nicolosi, Trecastagni, Zafferana, rifugio Sapienza... Negli anni Ottanta, il Giro dell’Etna (giro nel senso che non si saliva ma si aggirava la base del vulcano) vantò vincitori noti anche in Francia: Wladimiro Panizza, Beppe Saronni, Francesco Moser, che nell’85 precedette l’olandese Van der Velde. Enzino non aveva ancora un anno, ma è probabile che papà Salvatore e mamma Giovanna già l’avessero portato da quelle parti, prendendolo in braccio perché ammirasse quello che sarebbe diventato il suo idolo-per-sentito-dire.
La verità è che i siciliani non avevano mai visto nessuno Squalu né Orca locale come lui, che in realtà è uno squalo gentile e mite, un «passista-rampicatore», dicono i suoi conterranei più esperti, «uno che sembra nato sul pavé», uno che «sale senza scomporsi, sempre assittato sulla sella». È vero che Luigi Pirandello nel 1933 scrisse «I giganti della montagna» ma a dispetto del titolo nella sua tragedia non c’era nessuna profezia sui «grimpeur» del pedale.
Eppure qualche piccolo gigante della montagna in senso ciclistico la Trinacria l’avrebbe messo al mondo. Tre avolesi in particolare: tre gregari da fare invidia, ma pur sempre gregari. Carmelo Barone, classe 1956, Coppa Bernocchi e Trofeo Baracchi 1977, gregario in nazionale a San Cristobal, vincitore del Giro di Umbria 1979, una tappa al Giro d’Italia 1980 e poco (ma tanto) altro. Poi, vent’anni dopo, vennero altri due gregari: Paolo Tiralongo, un cognome un destino, e Giampaolo Caruso, oggi 33 anni e ancora attivo sulle strade e soprattutto nelle salite, quarto all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi.
La verità è che Nibali li ha cannibalizzati tutti in pochi anni. Nessuno aveva mai visto un «caruso» isolano pazziare e piazzarsi al Tour de France. Tanto meno, due: Visconti e Nibali. Cose di l’autru munnu, cose dell’altro mondo. Un tempo i francesi s’incazzavano per molto meno.