Sergio Romano, Corriere della Sera 25/7/2014, 25 luglio 2014
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO LA PALLA AL PIEDE DEL PAESE
Tutti noi, almeno io, non sappiamo perché il debito pubblico aumenti sempre più inesorabilmente. Spiegatemelo, spiegatecelo, parlatene per farci capire.
Gianfranco Tomassoli
Caro Tomassoli,
Un’ultima notizia, anzitutto. Secondo un dispaccio dell’agenzia Ansa proveniente da Bruxelles e datato 22 luglio «nel primo trimestre di quest’anno il rapporto debito-Pil dell’Italia ha superato la soglia del 135% attestandosi per l’esattezza al 135,6 rispetto al 132,6% dell’ultimo trimestre del 2013 e al 130,2% del periodo gennaio-marzo dell’anno scorso. Lo ha reso noto Eurostat. In termini assoluti l’ammontare del debito registrato da Eurostat è passato dai 2.036 miliardi del primo trimestre 2013 ai 2.120 miliardi del periodo gennaio-marzo 2014». La sua domanda, quindi, cade a proposito.
Per ridurre il debito, i mezzi più efficaci sono la crescita del prodotto intero lordo e la riduzione della spesa pubblica. Ma il Pil italiano è cresciuto poco per più di un decennio, ha perso punti dopo l’inizio della grande recessione e segna ora un aumento molto modesto se non irrilevante. Quanto alla spesa pubblica, tutti i governi italiani hanno proclamato al loro Paese e all’Europa l’intenzione di ridurla, ma si sono spesso fermati di fronte alle resistenza della corporazione o del gruppo di pressione che avrebbe dovuto fare qualche sacrificio. La situazione italiana è per molti aspetti simile a quella di altre economie di mercato, tutte egualmente costrette a ridurre i costosi benefici garantiti dallo Stato assistenziale negli anni in cui la redistribuzione della ricchezza avveniva in condizioni di crescente prosperità generale. Ma presenta due caratteristiche particolari. Il debito è enorme e la struttura corporativa della società rende ogni riforma una fatica di Sisifo.
In queste condizioni il governo può rifinanziare il suo debito soltanto contraendo altri debiti (le obbligazioni emesse periodicamente dal Tesoro) su cui paga interessi che dipendono da altri fattori: la percezione internazionale del suo stato di salute, la tabella di marcia delle sue riforme, il suo clima politico e sociale. Non comincia un anno, in altre parole, senza che il Ragioniere generale dello Stato iscriva in alto, nella colonna dei passivi, parecchie decine di miliardi di euro.
Per ridurre il debito, vi sarebbero, caro Tomassoli, altri due mezzi: la ristrutturazione e l’inflazione. Il primo chiede al creditore di rinunciare a una parte di ciò che gli è dovuto e non giova alla credibilità del debitore. Mentre l’uso del secondo dipende dalla dose. L’overdose uccide, ma un uso oculato dell’inflazione al momento opportuno può essere molto utile.