Riccardo Franco Levi, Corriere della Sera 25/7/2014, 25 luglio 2014
LA SOLUZIONE (EUROPEA) ALLA CRISI UCRAINA
Notoriamente debole quando non assente sulla grande scena della politica internazionale, l’Europa è in grado, ha gli strumenti per influire in modo significativo almeno sul conflitto alle porte di casa sua, in Ucraina? E l’Italia, presidente di turno dell’Unione Europea, ha un possibile ruolo da giocare, superando l’ostacolo e l’impaccio del contrasto sulla candidatura di Federica Mogherini a «ministro degli Esteri» dell’Unione?
Basta guardare la carta geografica per vedere come l’adesione dei Paesi baltici, della Polonia, della Slovacchia, dell’Ungheria, della Romania e della Bulgaria all’Unione Europea l’abbia portata ad avere dei nuovi «vicini di casa»: la Russia (per la verità già confinante con l’Europa più a nord, attraverso la Finlandia), la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldavia. Esclusa la Russia, troppo grande e potente, è stato, così, naturale, sviluppare con questi Paesi e con quelli affacciati sul Mediterraneo, dalla Siria sino al Marocco, una nuova politica, significativamente chiamata «politica europea di vicinato», per dare corpo a relazioni che, pur non prevedendo la partecipazione alle istituzioni dell’Unione, meritano di essere più intense e ricche di quelle con Paesi molto più lontani.
È questo il quadro istituzionale all’interno del quale si sono sviluppate le relazioni tra Unione Europea e Ucraina, con rapporti sempre più stretti e per tappe successive, fino alla firma, lo scorso 27 giugno, di un Accordo di associazione che sul piano dell’economia prevede la creazione di un’area di libero scambio e su quello della politica conferma la rotta di avvicinamento di Kiev all’Europa.
Un avvicinamento che non prevede, però, l’ingresso nel porto. Nella nuova geografia e nella nuova politica disegnate dal crollo del Muro di Berlino, del dissolvimento dell’Urss, dell’allargamento dell’Unione, l’Ucraina era destinata a restare come uno Stato cuscinetto tra Europa e Russia e, al medesimo tempo, come una «terra di nessuno» tra Est e Ovest. In questa medesima logica, pochi giorni fa, l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, elencando i principi a cui ispirarsi per una soluzione del conflitto «compatibile con i valori e gli interessi alla sicurezza di tutte le parti», ripeteva che l’Ucraina non dovrebbe aderire né all’Est né all’Ovest, «estremo avamposto di una parte contro l’altra», ma essere e funzionare «come un ponte tra loro».
In queste che sono le ore del confronto più acceso, mentre sul terreno si spara e le diplomazie si confrontano con le minacce delle sanzioni commerciali e finanziarie da un lato, dei blocchi nelle forniture di energia dall’altro, l’Ucraina tutto sembra essere o poter essere meno che un ponte di convivenza e di comunicazione. Ma, seppur possibile, è davvero questa, è ancora questa la scelta migliore per Kiev?
Fino a ieri si poteva ancora lavorare sull’ipotesi di un’Ucraina tutta intera, con la sua parte occidentale cattolica e di lingua ucraina e la sua parte orientale ortodossa e di lingua russa, come terra di mezzo tra Est e Ovest. Oggi non è più così. Fino a ieri si poteva ancora ragionare in termini di sicurezza con categorie in sostanza figlie della Guerra fredda e guardando come modello alla Finlandia di allora, al punto che, nella visione di Kissinger, la vera garanzia da dare a Mosca sarebbe la neutralità dell’Ucraina con l’impegno assoluto di non farla entrare nella Nato. Oggi non è più così.
Con l’annessione della Crimea, condannata come illegale e non riconosciuta dall’Occidente ma realisticamente irreversibile, la Russia non ha solo modificato la carta geografica ma ha anche alterato i termini della questione ucraina. La vera e più forte garanzia di sicurezza per Kiev è oggi la prospettiva e l’avvio di un processo di adesione all’Unione Europea. Una sicurezza così assicurata, non con la forza militare ma con il «potere dolce» delle istituzioni e della democrazia europee (chi mai potrebbe pensare ad attentare all’integrità territoriale di un Paese membro dell’Unione?), costituirebbe la miglior garanzia anche per la Russia. Meglio un confine diretto, stabile e affidabile tra Unione Europea e Russia che una terra di nessuno, esposta a tensioni e tentazioni.
I tempi per un ingresso di Kiev nell’Unione — per il quale la logica stessa della politica di vicinato, differenziata da Paese a Paese e adattabile alle circostanze, e l’esperienza dei precedenti allargamenti, contengono, offrono e suggeriscono tutti gli strumenti, le procedure e le tappe — sarebbero chiaramente molto lunghi.
Proprio per questo il processo politico dovrebbe essere avviato rapidamente, quanto meno messo sul tavolo per una riflessione. E chi meglio dell’Italia, presidente di turno dell’Unione, può farsi carico di questo compito?