Matteo Persivale, Corriere della Sera 25/7/2014, 25 luglio 2014
MATTEO MANASSERO
E’ difficile chiedere «c’è qualcosa che ti manca?» a chi, a ventun anni e tre mesi, è uno dei campioni emergenti dello sport mondiale che ha già demolito record importanti, un bel ragazzo alto e atletico che è testimonial di Ralph Lauren, il grande stilista americano che lo veste e per il quale potrebbe tranquillamente sfilare in passerella. E’ un ragazzo poliglotta che viaggia per il mondo circondato da applausi e complimenti sinceri degli appassionati e dalla stima dei colleghi. Il golfista Matteo Manassero è stato indubbiamente privilegiato dalla vita, dalla lotteria del dna e del talento al quale ha aggiunto dosi straordinarie di lavoro e concentrazione. Ma a uno che è diventato professionista a 17 anni scarsi una cosa, nella vita, almeno, è mancata: «La spensieratezza. Quella dei quindici, diciotto, vent’anni, quando non sei più un bambino e cominci davvero a divertirti. Quelli per me sono stati gli anni del passaggio a professionista — spiegava Manassero lunedì scorso al circolo Royal Liverpool, il giorno dopo la conclusione dell’Open britannico di golf nel quale è arrivato 19esimo dopo un primo giorno da incorniciare: era secondo — Per gli altri, sono anni nei quali ti diverti perché è solo da una certa età in poi che cominci a fare le cose più seriamente. Questo periodo d’intermezzo io non l’ho avuto. Ho sempre avuto il golf. Non come hobby, come la mia professione». Fin dai tempi della scuola.
«Sì perché a scuola andavo rilassato, sapendo che dovevo fare certe cose in classe ma la mia strada era il golf. Mi preoccupava solo che succedesse qualcosa di imprevisto che non mi lasciasse andare per la mia strada. Da subito ho preso la vita in modo professionale, come un adulto, non come un ragazzo. Quella è l’unica cosa che mi è mancata. Non ho rimpianti perché adesso posso fare tutte e due le cose, posso rilassarmi al 100% quando non ho impegni. E non potrei mai lamentarmi: faccio la cosa che ho sempre sognato di fare».
Amore e odio
L’ex tennista Agassi nella sua autobiografia (Open , pubblicata da Einaudi Stile Libero) racconta di quando confessò alla moglie, Steffi Graf, che odiava il tennis e lei gli rispose che tutti i campioni odiano il tennis. «Meno male che il golf è molto diverso. Se facessi l’università, se non fossi professionista, a golf ci vorrei giocare, e tanto, nel tempo libero. Conosco veramente pochi professionisti che odiano il golf, che lo vedono solo come un mestiere. Il tennis è diverso perché hanno le fabbriche di campioncini, collegi quasi militarizzati. E se ti porta fino a un certo punto e poi non ce la fai? Se fossi genitore ci penserei bene, prima di mandarci un bambino. Per me giocare, camminare sull’erba, vedere il green e la bandierina in lontananza, resta una gioia e lo sarà sempre». Anche quando smetterà: perché, spiega, «c’è chi resta a livelli altissimi abbondantemente dopo i 40, io però ho iniziato tanto presto e sarà difficile avere una carriera così lunga. A 50 anni mi immagino a giocare con i ragazzi, piccole sfide come il mio allenatore adesso fa con me. Era professionista da giovanissimo e ha ancora la gioia di giocare. Io voglio essere come lui».
Ha la fortuna di avere amici golfisti, tutti bravi. «Siamo un bel gruppo, mi alleno giocando con loro. Meno male che sono forti, altrimenti non ci divertiremmo insieme. Non ci sarebbe partita. Invece, se uno è forte può giocarsela con un professionista, almeno occasionalmente. La differenza si vede su campi come questo: con il vento, il pubblico, la tattica, la tensione».
Quello che stupisce lo spettatore medio è che basta una buca sbagliata per far perdere un titolo. E non basta arrivare in parità dopo 72 buche (4 partite da 18, in 4 giorni): si può perdere un playoff come capitò 19 anni fa a Costantino Rocca, beffato all’Open britannico dall’americano John Daly in uno spareggio che l’avrebbe reso il primo italiano a vincere l’Open. Quella partita si giocò a St. Andrews, in Scozia. Dove ci sarà l’Open britannico l’anno prossimo. E’ logorante essere la speranza italiana per una vittoria storica, nel golf? Come si vive con la tensione? Così: «Nel golf c’è tanta strategia dietro ogni colpo, tanto tempo per pensare. Inseguire è difficile ma non è facile neanche quando sei in testa: se non sbagli hai vinto, quindi l’unico che può perdere sei tu. La pressione è enorme. Il margine di errore è sempre molto molto grande nel golf, basta un angolo sbagliato di un grado con una mazza che viaggia a 160 km/h e la palla schizza di lato. Hai poche difese».
Ascesa e caduta
Manassero non si è stupito della prestazione pessima di Tiger Woods a Liverpool. Era il numero uno del mondo, probabilmente di tutti i tempi, ma adesso... «Tiger ha tanta gente attaccata, e appena sbaglia un colpo si sente un coro che fa un “ooooooooh” di delusione... Così è matematico che se non sei al 100% perdi feeling con la pallina. C’è chi chiede aiuto a motivatori e psicologi, ma attenzione a pensare positivo. Attenzione a mentire a se stessi, se non hai dentro la fiducia per fare un certo colpo non devi farlo. Anch’io sento la pressione, ma non ho paura di fare brutta figura. Di colpi balordi ne capitano tanti, ma non ho paura. Sbagli e il pubblico fa “ooooh”? Niente. La pressione è il bello del golf».
Il giorno dopo la chiusura dell’Open, Manassero è tornato di mattina presto alla buca 18 per una dimostrazione. L’ha giocata con in tasca l’iPhone, senza il suo caddy, su un campo deserto. Non aveva neanche fatto colazione. Eppure, due colpi perfetti, meglio dell’ultimo giro al torneo. «Non mi ero neanche scaldato, eppure a momenti faccio un eagle (due colpi, per arrivare in buca, in meno di quanti ce ne vorrebbero sulla carta, ndr ). Il golf non è una scienza esatta. Il più bravo di tutti in questa scienza inesatta, oggi, è Rory McIlroy. Ha appena vinto l’Open, ma sarebbe il più forte anche se fosse arrivato ultimo».
L’Italia
«Qui all’Open siamo arrivati in tre italiani tra i primi venti. C’è di che essere molto contenti, spero che tutti lo capiscano. Vincere è un obbiettivo, sempre, ma non un incubo. Mi capita di sognare il golf, è normale: una certa buca, una situazione... Ma niente di collegato alla partita di quel giorno o di quello successivo».
E’ milanista, è in forma, ha 21 anni: ma se Adriano Galliani gli chiedesse di mollare il golf e aggregarsi al Milan in ritiro avrebbe la risposta pronta. «Sarebbe bello, ma il golf è la mia vita. E poi a calcio sono meno bravo. Se, per ipotesi, fossi veramente molto forte a calcio? Dovrei pensarci bene, allora — ride — Ma alla fine sceglierei ancora il golf».