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 2014  luglio 25 Venerdì calendario

IL TRISTE RECORD DELL’OPERA DI ROMA: PRIMO TEATRO LIRICO IN LIQUIDAZIONE


ROMA — «A questo punto, non c’è altra strada che la chiusura del teatro». Così dice il sovrintendente dell’Opera di Roma Carlo Fuortes. L’ennesimo incontro di ieri con i sindacati «ribelli» (il diciannovesimo dall’inizio della trattativa) non è andato a buon fine: la Cgil e gli autonomi della Fials domani scioperano, salta la terza recita consecutiva di La Bohème. «Martedì all’ordine del giorno del Consiglio di amministrazione c’è la liquidazione coatta del teatro», dice il sovrintendente, «il gioco al massacro di una minoranza, configura un futuro incerto per centinaia di lavoratori che si sono impegnati per il risanamento».
Ci sono due precedenti all’estero, negli Anni 80 a Parigi e successivamente al Covent Garden di Londra. A memoria d’uomo, mai in Italia un teatro lirico ha chiuso da quando ha forma giuridica pubblica (nel lontano passato le sale erano nelle mani di impresari e palchettisti, i proprietari dei palchi, ora sono Fondazioni private con — al 90 per cento — denaro pubblico). C’è chi la vede come un’opportunità. Il sindaco Marino: «L’unica soluzione per proseguire verso il rilancio resta la liquidazione». A meno di un improvviso dietrofront sindacale, dai soci, ovvero ministero, Comune e Regione, sarà nominato un commissario liquidatore, «ma escludo che possa essere io, è un lavoro che non so fare, non mi piace e non mi interessa», spiega Fuortes. Sarà formato un nuovo organigramma, saranno selezionati una nuova orchestra, un nuovo coro. «La situazione paradossale — dice il sovrintendente — è che i conti sono sani, c’è un equilibrio di bilancio per il 2014, con 5 milioni di minori costi rispetto al 2013». Anno in cui il rosso è superiore a quello che si pensava: 12 milioni 700 mila euro, mentre il totale del deficit della passata gestione (conclusa con il licenziamento dell’ex sovrintendente) è di circa 33 milioni. La legge Bray parla chiaro: i teatri indebitati che chiedono aiuto allo Stato (Roma ha già avuto 5 milioni su una richiesta di 25) devono presentare un piano di risanamento. Altrimenti non c’è altra strada che la liquidazione.
I sindacati «ribelli» rimproverano al vertice del teatro che la platea di Caracalla (sede estiva) abbia una capienza di 4.000 e non di 5.000 posti, come si era promesso: ma tutti sanno che l’ultima parola è delle sovrintendenze archeologiche; poi si è parlato di «comportamenti antisindacali», ma il Tribunale del lavoro si è già pronunciato sulla validità del balletto su nastro magnetico, senza orchestra, in occasione di una precedente protesta. Fuortes ha raggiunto l’accordo con il 70 per cento dei lavoratori, aderenti a Cisl e Uil. «Il piano prevede zero mobilità, zero licenziamenti e lo stesso stipendio», ricorda il sovrintendente. Non è possibile ripristinare la vecchia pianta organica, di 631 dipendenti.
L’orchestra è tra le componenti più inquiete della rivolta. Il primo violino Vincenzo Bolognese ha detto: «Non chiedo più soldi, la mia motivazione è solo di natura artistica. Chiediamo concorsi regolari per ampliare gradualmente l’organico dell’orchestra fino alle 117 unità concordate anni fa». Attualmente sono 92. Le prime parti possono, come in tutti i teatri, avere una rotazione fino al 50 per cento delle produzioni. Così c’è (anche) tempo di studiare. Ma al teatro risulta che, dal primo gennaio al 30 giugno 2014, Bolognese abbia effettuato in totale 62 giornate lavorative (però lo stipendio, e i buoni pasto, sono valsi per 26 giorni mensili). Fuortes: «Ero sicuro che sarebbe prevalsa la ragionevolezza e la ragione, e l’interesse di ogni singolo lavoratore. L’atteggiamento dei due sindacati che protestano è irrazionale e illogico, non si capisce quale interesse difendano. L’unica cosa che mi viene da pensare è una battaglia di arroccamento che cerca di difendere un anacronistico modo di pensare alle relazioni sindacali e ai rapporti di potere».