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 2014  luglio 24 Giovedì calendario

TUTTA LA LAVA DEGLI ANNI SETTANTA

Gli anni ’70 in America, anzi I settanta, il Saggiatore 2014, pp. 255, 16,00, cominciano il 6 marzo 1970, quando una banda di terroristi che si erano battezzati Wheathermen dal verso d’una ballata di Bob Dylan (You don’t need a weatherman to know which way the wind blows, non serve un meteorologo per capire da che parte tira il vento) fa scoppiare una bomba nel Greenwich Village di New York. Gli anni ’60, col loro flower power e le estati dell’amore, sono finiti. Ronald Reagan, all’epoca governatore della California, si lascia andare a un famoso commento: «Se occorre un bagno di sangue, facciamolo e non pensiamoci più». Passano pochi giorni e «il 4 maggio, nel campus della Kent State University dell’Ohio, membri della Guardia nazionale aprono il fuoco contro studenti disarmati e ne uccidono quattro».
Comincia così I settanta, il grande memoir di Barry Miles, già autore d’un altro classico di storia della controcultura, London Calling, EDT 2012. Giornalista nella Londra dei Beatles, di Mary Quant e di Blow Up, animatore di riviste leggendarie, come Oz e International Time, periodico finanziato (tra gli altri) da Paul McCartney, Miles racconta i ’70, che trascorse tra l’America e l’Inghilterra, immerso fino al collo nella scena pop dell’epoca, come l’ultima carica dei movimenti giovanili e artistici.
Non erano solo tempi, scrive, di «sesso, droga e rock and roll». Fu anche l’epoca «di mode che nemmeno oggi nessuno si azzarda a riesumare». Furono gli anni del punk, delle rock band sadomaso, dei Clash e dei Sex Pistols, di Patti Smith, di Andy Wharol. Per Miles, che aveva accettato di mettere ordine nelle registrazioni su nastro delle poesie d’Allen Ginsberg, i settanta cominciarono nei dintorni di New York, dove il poeta aveva creato una «comune», anzi «un rifugio dalla città dove aiutare Peter (Orlovsky, suo vecchio amante) a mollare l’«anfe», Gregory Corso a smettere con l’eroina e, nelle sue fantasie, accogliere anche Jack Kerouac e disintossicarlo dall’alcol. L’obiettivo del Committee On Poetry, la fondazione di beneficenza di Allen proprietaria della fattoria, era aiutare i poeti, specie i sopravvissuti della Beat Generation».
Erano personaggi straordinari, anche se per lo più poco raccomandabili, come Herbert Huncke, che William Burroughs aveva preso a modello per uno dei personaggi della sua saga fantascientifica («Il prete, lo chiamavano»). «Huncke», scrive Miles, «era privo di qualsiasi scrupolo etico o morale. Potendo avrebbe rubato a chiunque, anche a un malato o un indigente. Anni prima, quando si prostituiva a Times Square, persino gli sbirri che di meschinità ne avevano viste parecchie lo chiamavano «il Verme» e capitava persino che lo cacciassero da Times Square con la forza. Se qualcuno lo trattava con rispetto o gentilezza, Huncke finiva sempre per approfittare di lui. Burroughs arrivò ad avere paura di sentire la sua voce piagnucolante al telefono, e quando si trasferì da New York al Kansas gli vietò di andare a trovarlo; Ginsberg, con la sua enorme tolleranza per la dissennatezza umana, continuò a frequentarlo».
Miles, qualche anno più tardi, riordinò anche l’archivio di Burroughs, prima a Londra, poi a New York. «Giravo armato a Città del Messico», raccontava l’autore del Pasto nudo, col suo bushido da malavitoso hollywoodiano. «A Città del Messico di punto in bianco rischi che qualcuno ti metta in un angolo e ti riempia di botte. Quando tiri fuori la pistola, spariscono nel buio_” Bill sorrise e fece un ampio gesto con la mano. “Una volta, mentre stavo entrando in un pissoir di Città del Messico arriva questo tizio che cerca di passarmi davanti sgomitando. A me è bastato_” Bill aprì la giacca e fece il gesto di afferrare la sua arma, sorridente, “e quello indietreggia. La miglior pisciata della mia vita, cazzo”».
Miles racconta anche la storia straordinaria di Wilhelm Reich, psicoanalista a Vienna con Sigmund Freud, cacciato dal partito comunista per le sue idee troppo avanzate a proposito di sex revolution, bruciato in effige dai nazisti e infine incarcerato negli Usa per aver commercializzato la «macchina orgonica», apparecchio per immagazzinare «orgoni» o energia sessuale e dare la caccia agli Ufo. Reich «era ossessionato dai dischi volanti, dall’energia atomica («la Radiazione dell’orgone mortale») e dallo stalinismo. Per dare credito alle sue idee e mantenere una certa reputazione di ricercatore, Reich applicava il metodo scientifico anche alle teorie più assurde, e conservava archivi minuziosamente documentati. Pubblicava le proprie scoperte all’interno di dossier dall’aria scientifica proprio come in un’epoca successiva avrebbe fatto Scientology. Sostenuto da un gruppo di seguaci, dotato di fondi sufficienti e isolato in un angolo di natura di grande bellezza, Reich garantì a se stesso e ai suoi discepoli il contesto perfetto in cui uscire di testa seguendo la logica»
Testimone oculare, «amico di tutti» come Kim nel grande romanzo di Kipling, Miles racconta con divertimento gli incontri, gli eccessi, le pazzie, le depressioni, il femminismo, gli ultimi fuochi della New Left con i terroristi bianchi e le Pantere nere, il punk e l’inizio del movimento gay, quando «una nazione intera usciva da dieci anni di guerra e si accingeva ad accogliere altri 4 anni di Nixon in boa di struzzo e andatura da checca». Quarant’anni dopo, sono diventati tempi inimmaginabili. Leggi Miles e sembra quasi che s’inventi tutto, che nessuna delle persone di cui parla, da Gregory Corso a Mick Jagger, da Patti Smith a Yoko Ono, sia mai esistita, se non in qualche capitolo inedito d’Alice in Wonderland. Eppure, vai a capire perché, vai a capire come, c’è stato un tempo in cui persino in Svizzera e in Lussemburgo «sembrava di stare sulla Grant Avenue di San Francisco o a St. Mark’s Place, New York. Ogni città, nei primi anni ’70, aveva una via degli hippy».
Diego Gabutti, ItaliaOggi 24/7/2014