Guido Santevecchi, Corriere della Sera 24/7/2014, 24 luglio 2014
PRIVATIZZAZIONI, PADOAN BATTEZZA L’ALLEANZA CON I CINESI SULL’ENERGIA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO — «Missione a Pechino per promuovere investimenti e partnership finanziarie e industriali. Grande attenzione, primi risultati a giorni». Ha scelto la forma ultra sintetica di un messaggio via Twitter il presidente della Cassa depositi e prestiti (Cdp) Franco Bassanini per esprimere soddisfazione dopo i primi contatti con i cinesi nel viaggio al seguito del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Da mesi è in corso la trattativa tra Cdp Reti (le grandi reti italiane di trasporto del gas e dell’elettricità e il gasdotto Tag) e la State Grid Corporation of China (il gruppo più grande al mondo del settore, che gestisce la rete elettrica in Cina) per la cessione di un 35 per cento della holding italiana nella quale sta per confluire la quota di controllo di Terna che si aggiunge a quella di Snam. L’amministratore delegato di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, ha indicato che il 35% della holding vale intorno ai 2,4 miliardi di euro. Per la Cina non sarebbe il primo ingresso nel mondo italiano dell’energia. A marzo People’s Bank of China ha fatto sapere di essere entrata come azionista in Eni ed Enel con una quota che supera di poco la soglia del 2% (che impone la comunicazione ufficiale). Poco prima il governo italiano aveva manifestato l’intenzione di procedere alla cessione di ulteriori quote di Eni ed Enel nel quadro del piano di privatizzazioni. Nell’attesa di sviluppi su questo fronte, Pechino sta puntando su Cdp Reti e c’è chi vi vede nel lungo periodo una strategia per fare dell’Italia il proprio hub del gas nel cuore dell’Europa.
Il piano italiano prevede la cessione di una quota complessiva del 49% a più di un investitore istituzionale, mantenendo il restante 51% e il controllo della governance. C’è un interessamento anche da parte degli australiani di Industry Funds Management. «Investimenti stranieri rilevanti per la crescita di nostre eccellenze industriali, lasciando il controllo in mani italiane: che vuoi di più?», ha concluso Bassanini con un altro tweet.
Padoan ieri ha cominciato il suo giro di incontri con i presidenti di tre grandi banche cinesi: Agricultural Bank of China, Industrial & Commercial Bank of China e Bank of China. Colloquio anche con il ministro delle Finanze di Pechino Lou Jiwei. «Non siamo qui per vendere un pezzo di questo o di quello, ma anzitutto per ricostruire una solida immagine internazionale dell’Italia — spiegano dallo staff del ministro —. Certo, non è un caso che ci sia con noi la Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario operativo dello Stato: la trattativa è molto avanzata, si può chiudere in tempi molto brevi». Padoan sottolinea che lo scopo politico è di dare continuità ai rapporti Italia-Cina dopo la missione a giugno del presidente del consiglio Renzi.
Oggi Padoan discuterà con Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca centrale cinese che a marzo ha pagato 2,1 miliardi di euro per il 2,102% di Eni e il 2,071% di Enel.
Perché questo interesse di Pechino per l’Italia? Spiega al «Corriere» Cui Hongjian, direttore del Dipartimento governativo di studi europei: «È una decisione commerciale, senza motivazioni politiche: con la crisi in Europa i vostri asset sono sottovalutati e rappresentano una buona occasione per la Cina. Il flusso degli investimenti cinesi ha avuto alti e bassi ma la tendenza è sempre stata in crescita. Negli anni scorsi il focus era sul settore finanziario, i titoli del debito, ma ora la linea è cambiata: si guarda con grande interesse alle industrie manifatturiere avanzate e alle infrastrutture. E poi, rispetto agli Stati Uniti, per noi l’Europa è un terreno più facile: la fiducia politica tra le parti è superiore. La visita del mese scorso di Renzi a Pechino ha creato un buon clima e in autunno da voi verrà il nostro premier Li Keqiang. Gli investimenti seguono regole commerciali, ma quando il clima politico è favorevole il passo è più semplice».
Nella bilancia commerciale però c’è un forte deficit per l’Italia nei confronti della Cina: circa 15 miliardi di euro l’anno scorso. Sul fronte degli investimenti la sproporzione è ancora più grave: anche qui circa 15 miliardi di investimenti italiani e solo un miliardo da parte cinese. Per correggere lo squilibrio il Sistema Italia si sta muovendo con cinque pacchetti di offerte che puntano sulla nostra tradizione e know-how: agroalimentare, protezione dell’ambiente, urbanizzazione e servizi sanitari, che sono poi le quattro sfide economiche e sociali che si trova di fronte il nuovo gruppo dirigente di Pechino in piena fase di riorientamento dell’economia da «fabbrica del mondo» a società dei consumi. Il quinto pacchetto di collaborazione è nel settore aerospaziale. Padoan domani prosegue la missione a Hong Kong, anche nella piazza finanziaria restituita da Londra alla Cina nel 1997 l’obiettivo è «sviluppare le condizioni che favoriscono gli investimenti pubblici e privati nel medio e lungo periodo».