Giacomo Amadori, Libero 24/7/2014, 24 luglio 2014
GROSSI GUAI IN VISTA PER DE BENEDETTI DALL’AMIANTO DI IVREA
Mentre Silvio Berlusconi in questi giorni festeggia «commosso» l’uscita dal cosiddetto processo Ruby, il suo eterno rivale, l’ingegner Carlo De Benedetti, il Rockerduck o il Paperon de’ Paperoni (dipende dai punti di vista) del Gruppo Espresso-Repubblica, dorme, a livello giudiziario, sonni meno tranquilli. Nonostante l’ammirevole dedizione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio che cerca di tenergli alto ) il morale con qualche caffè mattutino. Sbaglia, però, chi immagina che i maggiori pericoli per De Benedetti provengano dall’inchiesta sulla centrale a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure (Savona), dove dirigenti e tecnici sono accusati di disastro ambientale e omicidio colposo (secondo la procura sarebbero 442 le morti causate dai fumi tossici tra il 2000 e il 2007). È vero infatti che la famiglia De Benedetti controlla il 39 per cento della centrale attraverso Sorgenia e Cir, ma a Savona l’ingegnere non è mai stato indagato, non avendo avuto ruoli dirigenziali nell’azienda ligure. Qui i danni, per lui, rischiano di essere esclusivamente economici. Le cose cambiano, e di molto, se si attraversano gli Appennini e ci si arrampica ai piedi delle Alpi, precisamente a Ivrea (Torino). Lassù De Benedetti è stato iscritto sul registro degli indagati per omicidio colposo e lesioni nel autunno del 2013. L’inchiesta riguarda 21 vittime dell’amianto, tutti ex lavoratori della Olivetti, società di cui De Benedetti è stato vicepresidente dal 1978 e presidente dal 1983 al 1996. Da novembre l’inchiesta è andata avanti senza scossoni e ora, per dirla con il gergo un po’ stereotipato della cronaca giudiziaria, «si attendono sviluppi». Traduciamo: a quanto risulta a Libero, l’ingegnere sarebbe in procinto di ricevere un avviso di chiusura indagini, prodromico alla richiesta di rinvio a giudizio. Nel nuovissimo palazzo della procura eporediese, guidata da un magistrato di lungo corso come Giuseppe Ferrando (era il pm del cosiddetto Cogne bis), i giornalisti locali attendono da settimane il deposito degli atti del procedimento contro due dozzine di ex dirigenti dell’Olivetti (erano 21 nel 2013, sono aumentati di due o tre unità durante le indagini). Tra questi anche Carlo De Benedetti, il fratello Franco (per 14 anni in Olivetti con vari incarichi, compreso quello di amministratore delegato) e l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera (ad dal 1992 al 1996). A settembre a tutti gli accusati verranno recapitati gli avvisi finali. «Si sono concluse le indagini e non è cambiata la situazione degli indagati» prova a riassumere un inquirente. Non ha modificato la loro posizione neppure la quarta e più importante consulenza, quella sulla cosiddetta catena di comando all’interno dell’azienda, richiesta per individuare con precisione chirurgica la ripartizione delle responsabilità all’interno dell’organigramma aziendale e in particolare la questione delle deleghe sulla sicurezza. «La consulenza non è stata “modificativa” (rispetto alle ipotesi dell’accusa nda)», ribadisce la fonte di Libero. «Né ci sono stati stralci o richieste di archiviazioni». Tecnicamente quelle potrebbero arrivare contestualmente all’invio dei cosiddetti 415 bis (avvisi di chiusura indagini), ma allo stato dell’arte, si prospetta per tutti il rischio di ricevere questi ultimi. Tale sembra essere la volontà della procura. «Non parlate di “volontà”. Non c’è nessun accanimento» assicurano dai nuovi uffici giudiziari. Per i magistrati si tratta di un’evoluzione fisiologica del procedimento, «in termini quasi matematici, sulla base di dati asettici». Dunque a inguaiare De Benedetti & c., almeno secondo l’accusa, non sarebbero dei teoremi, ma lo studio puntuale di deleghe e organigrammi: i lavoratori non conoscevano i rischi che correvano utilizzando talchi industriali a base di amianto o lavorando in capannoni e tunnel (mal) isolati con l’asbesto? Per la procura questo è successo perché chi avrebbe dovuto non li ha informati. E chi aveva questo compito? I vertici della Olivetti e in particolare i dirigenti individuati sulla base della ricostruzione fatta dai consulenti.
Oggi alcuni degli accusati vivono o risultano risiedere all’estero (tra questi anche De Benedetti) e ciò ha creato non pochi problemi burocratici, soprattutto per le nuove regole che riguardano i procedimenti in contumacia, visto che nessuno può più essere processato «a sua insaputa». «Ma chi ha incaricato un avvocato di fiducia
ci ha tolto dall’imbarazzo, mostrando di essere a conoscenza dell’inchiesta» spiegano in procura. Con l’avviso di chiusura delle indagini le difese degli imputati avranno disposizione 20 giorni per depositare memorie o chiedere l’interrogatorio dei propri assistiti. A questo punto ci sarà l’udienza preliminare e l’indicazione di chi andrà a processo. In questa fase inizierà un’altra partita delicata: quella dei risarcimenti milionari per le 21 vittime dell’inchiesta Olivetti. Come nei processi per gli errori medici, assicurazioni e avvocati degli indagati, prima di iniziare a pagare, attenderanno di capire se l’inchiesta abbia fondamento e futuro. Un quesito a cui il gup darà una risposta inequivocabile. Di fronte a un eventuale rinvio a giudizio inizierà la corsa a evitare che le parti civili (le vittime) possano costituirsi nel processo per cercare di farsi liquidare cifre astronomiche. «Anche perché i giudici tengono conto di eventuali risarcimenti nella concessione delle attenuanti» precisa la fonte. Ma il problema per De Benedetti & c. non è solo il cosidetto «fascicolo madre» sulla Olivetti. In questi mesi ne sta germogliando un altro con almeno 10 nuovi casi di vittime dell’amianto. L’apertura dell’inchiesta bis si è resa necessaria per permettere ai magistrati di portare a termine il primo filone, tenendolo separato dai nuovi episodi, individuati anche grazie ai sindacati che hanno aperto sportelli di ascolto per lavoratori e famigliari. La Cgil il mese scorso ha organizzato un convegno sul tema dove ha illustrato i dati raccolti in sette mesi. Nella zona di Ivrea sarebbero state denunciate 36 nuove storie di malattie professionali legate all’amianto, trenta delle quali riguardanti ex lavoratori dell’Olivetti: 14 di questi hanno contratto il micidiale mesotelioma, 9 sono rimasti vittime di neoplasie polmonari. Tutti questi casi sono stati segnalati allo Spresal, il Servizio prevenzione e sicurezza sugli ambienti di lavoro della Asl, che nell’inchiesta ha funzioni di polizia giudiziaria. Alla Cgil ribadiscono che le commissioni ambiente dei consigli di fabbrica non sono mai state informate dei rischi che correvano gli operai e in particolare quelli che maneggiavano i talchi assassini. «Nessuno di noi sapeva che contenessero amianto» spiegano nella sede del sindacato due ex dipendenti, ora in forza al centro d’ascolto. E chi avrebbe dovuto rendere edotti gli operai di questo? «Ovviamente l’azienda, ma non l’ha fatto».
Tra le 21 vittime del primo procedimento c’è Ferruccio Dello Stritto. Ha fatto per 31 anni l’idraulico nei cunicoli Mariotti, circondato da enormi tubature che doveva rammendare con rotoli d’amianto. Ha lottato per quasi vent’anni contro le placche pleuriche, appeso a un ventilatore per superare le frequenti apnee respiratorie. Il 12 maggio è deceduto a causa di un infarto. Ora si attende la valutazione della procura che dovrà decidere se questa morte sia da ricollegarsi alla malattia professionale che aveva così pesantemente minato il suo fisico. A novembre Ferruccio aveva dichiarato a Libero: «De Benedetti indagato? Quei signori li voglio vedere tutti in prigione. Sono quelli come lui che hanno mandato a ramengo l’Olivetti e che mi hanno ridotto così».