Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 24 Giovedì calendario

SE IL COMPUTER FA LO SCRITTORE

L’avanzata dell’intelli­genza artificiale non conosce limiti: i pro­grammi informatici stanno invadendo an­che il territorio della creatività letteraria, che consideriamo tipicamente umano. Esistono ormai parecchi programmi di scrittura capaci di creare narrazioni più o meno lunghe e articolate, sulla cui bontà peraltro le opinioni divergono pa­recchio. Secondo la ditta NewNovelist, che costruisce software di scrittura, non esistono programmi capaci di scrivere un romanzo, ma ne esistono che aiuta­no l’autore a completarlo e a scriverlo «in modo corretto» (probabilmente secon­do i criteri commerciali correnti: un tot di intrigo, un tot di sesso, un tot di vio­lenza...). Lo scrittore Alastair Reynolds ri­tiene che non vi sia niente di più insen­sato che leggere un racconto scritto da un computer. Il primo libro stilato da un pro­gramma si deve al russo Aleksandr Prokopovic: scritto nel 2008, ricalca lo stile dello scrittore di culto giappo­nese Haruki Murakami ed è una va­riazione sul tema di Anna Kareni­na di Tolstoj. Ma Prokopovic am­mette che un programma non po­trà mai essere uno scrittore, così come Photoshop non potrà mai essere Raffaello.
Nel 2007 Philip Parker, professore della Insead, un’importante Busi­ness School internazionale, brevettò un software che finora ha scritto oltre duecentomila libri su argomenti sva­riatissimi: non certo capolavori lettera­ri, piuttosto compilazioni, rassegne e sommari, soprattutto di carattere econo­mico. Uno specialista ci metterebbe me­si a organizzare un materiale che il pro­gramma allestisce in una mezz’ora. Ma la tentazione di passare alla letteratura è forte, e Parker ha cominciato a speri­mentare un software che dovrebbe co­struire narrativa ’automatica’: esso con­sente di scegliere i personaggi, l’ambien­tazione, il genere e la trama e produce te­sti che vanno da un breve racconto a un romanzo vero e proprio. Insomma, sem­bra che se si può identificare una formu­la per la stesura di una narrazione, allora lo scrittore può essere sostituito da un al­goritmo.
Secondo le previsioni di Kris Hammond, entro il 2025 il 90% dei testi letti dal gran­de pubblico sarà generato da computer opportunamente programmati. Ham­mond ha tutti i titoli per lanciare questo pronostico, visto che è il fondatore di Nar­rative Science, un’azienda di Chicago che usa programmi di intelligenza artificiale per produrre, senza ulteriore intervento u­mano, scritti di vario contenuto. Per e­sempio, nell’ambi­to del gior­nalismo, il programma Quill analizza i da­ti raccolti su un certo tema, estrae e orga­nizza i fatti e i concetti principali e co­struisce un’opportuna struttura narrativa destinata a un pubblico interessato. I dati di partenza (cifre, grafici, tabelle) vengono tradotti in un testo inglese, molto più com­prensibile per gli umani. All’agenzia stam­pa Ap i ’robot scrivani’ stanno già sosti­tundo i giornalisti umani.
Una delle conseguenze di questo avvi­cendamento sarà, secondo Hammond, una crescita smisurata del numero di ar­ticoli pubblicati. Tramite l’informatica si possono seguire milioni di utenti, regi­strare le loro preferenze e usare queste informazioni per fornire a ciascuno le narrazioni che più gli piacciono. Ma le prospettive sono inquietanti. Infatti men­tre il quotidiano tradizionale offre una va­sta gamma di articoli, tra i quali ogni let­tore legge quelli che più gli interessano ma inevitabilmente dà un’occhiata an­che agli altri, se non altro leggendone i ti­toli, quando l’offerta fosse limitata ai te­mi di stretto interesse si creerebbero tan­ti mondi (monadi) d’informazione chiu­si e non comunicanti, che potrebbero accrescere la dipendenza e generare assuefazione nel lettore, come una droga informazionale. La potenza, la velocità e la duttilità di questi ro­bot scrivani produrrebbero quindi un fenomeno in controtendenza ri­spetto a quello della scrittura e del­la stampa, che nei secoli hanno con­tribuito alla diffusione di una cultu­ra tendenzialmente omogenea, pur nella varietà dei temi trattati.
Ma ci sono altri problemi: tanto gran­de è la massa dei dati su cui sempre più si baseranno le narrazioni automatiche che sarà difficile verificare le fonti delle informazioni (già oggi si percepisce que­sta difficoltà quando si cercano notizie in rete). Inoltre un errore introdotto per ca­so o per malizia sarebbe difficile da indi­viduare e da estirpare e potrebbe propa­garsi senza controllo. Basterebbe una per­turbazione anche minima nei criteri di raccolta e di vaglio dei dati per fornire no­tizie che si discostassero più o meno dai fatti, rendendo problematica la nozione di verità. Le notizie distorte sarebbero poi raccolte da altre agenzie (anche queste informatizzate) e verrebbero registrate in internet, dove permarrebbero per un tempo indeterminato. Se dallo stesso fat­to fossero ricavate narrazioni diverse da diversi programmi, in rete potrebbero permanere versioni differenti dello stes­so evento e non sarebbe facile stabilire la versione ’corretta’, ammesso che ve ne fosse una.
La facilità con cui le intelligenze artificiali raccolgono ed elaborano i dati si con­trappone alla difficoltà che incontrano gli esseri umani nello svolgere lo stesso com­pito: l’evoluzione non ci ha preparato a questa funzione, per cui siamo obbligati a lasciarla alle macchine È una forma di ’delega tecnologica’ che si autoalimen­ta: più dati si accumulano nelle banche più si ricorre al software per gestirli, più software s’impiega più cresce la massa di dati che si possono trattare, in una sorta di circolo che si autoalimenta. Da questo vorticoso circuito informazionale gli es­seri umani – che pure ne sono o ne do­vrebbero essere gli utenti finali – sono sempre più esclusi: ormai tutto è affida­to alle macchine e gli uomini possono so­lo spillare i risultati delle elaborazioni.
Accade cioè nel campo dell’informazio­ne quello che avviene in altri settori, do­ve la complessità dei sistemi e i rischi de­rivanti da un guasto o da un intervento sbagliato o intempestivo prescrivono il controllo tramite computer. È il caso del pilota automatico negli aerei più veloci e della gestione dei grandi impianti chimi­ci, siderurgici e soprattutto nucleari. L’uo­mo non è necessario e non è sufficiente alla gestione di questi sistemi, e la dele­ga tecnologica si impone. Quando poi gli umani intervengono nella conduzione e nel controllo, si possono presentare con­seguenze drammatiche: si pensi al tragi­co incidente di Cernobyl’, provocato da u­na manovra manuale avventata. La lo­cuzione ’errore umano’ riassume questa situazione: se non volete guai, voi uma­ni dovete lasciar fare a noi macchine.
Infine, la facilità con cui le macchine ge­nerano articoli, racconti, romanzi e per­fino poesie, sta portando a una sovrap­produzione di testi tale da superare le ca­pacità di lettura degli esseri umani. Che ne sarà di questa massa di scritti? Chi la selezionerà? Chi la userà? E per quali fi­ni? Non si può escludere che prima o poi siano costruite macchine per leggere. Al­lora gli esseri umani, liberati dal compi­to gravoso di scrivere e da quello ancora più gravoso di leggere, potranno dedi­carsi ad altro, almeno finché non inter­verranno macchine capaci di far meglio di noi anche questo ’altro’. Esclusi così del tutto dal circuito dell’informazione, ci metteremo forse alla ricerca meno con­vulsa di un senso più alto.