Enrico Franceschini, la Repubblica 24/7/2014, 24 luglio 2014
RAZZISMO, VIERA COME BOATENG
Era già capitato che, davanti a un insulto razzista, un giocatore dicesse basta, me ne vado: è successo a Kevin Prince Boateng. Ma questa volta è un’intera squadra ad abbandonare il campo per protesta, dopo gli epiteti razziali che hanno colpito uno di loro, e non sembrano esserci precedenti per un gesto di questo genere. Protagonista dell’episodio la squadra Primavera del Manchester City insieme al suo allenatore, Patrick Vieira, l’ex-centrocampista francese di origine senegalese di Inter, Juventus, Arsenal, che proprio nel City ha concluso la sua carriera di giocatore.
L’incidente è avvenuto in Croazia, durante un’amichevole tra gli juniores del club inglese e la squadra locale Hnk Rijeka (la città chiamata Fiume quando faceva parte dell’Italia fra le due guerre mondiali). Una gara estiva, senza trofei in palio, fra ragazzi, eppure tesa e fallosa fin dai primi minuti. Verso lo scadere del primo tempo un centrocampista del City, il francese Seko Fofana, riceve l’ennesimo improperio razzista da un giocatore avversario. Esasperato, Fofana, nato in Francia da genitori africani, reagisce rabbiosamente e viene espulso. Ma mentre l’arbitro gli sventola davanti il cartellino rosso, dalla panchina arriva Vieira, che entra in campo e ordina a tutti i suoi giocatori di abbandonare immediatamente il terreno di gioco. Al direttore di gara non resta che sospendere la partita e annullarla. Ma non finisce lì, perché dovrebbero esserci conseguenze: infatti il City ha presentato una formale nota di protesta a livello federale chiedendo alla federcalcio croata di intervenire.
Nel recente passato sono stati almeno quattro gli episodi che hanno visto giocatori del Manchester City diventare oggetto di offese razziste. Nel 2012 era toccato fra gli altri anche a Mario Balotelli, che allora giocava per i Citizens: anche in quella occasione ci furono insulti discriminatori, nel corso di una partita di Europa League disputata dalla squadra di Manchester in Portogallo, a Oporto. La stessa sorte è capitata a Yaya Tourè lo scorso anno, in occasione di un incontro di Champions League sul campo del Cska Mosca. Vi furono reclami e multe, ma in entrambi i casi si era continuato a giocare sino alla fine dei 90 minuti regolamentari, come niente fosse. Questa volta invece il City ha deciso di fermarsi. Potrebbe essere un monito per altri episodi simili in Premier League o in Champions: qualcosa che chiedono in tanti, indifferentemente dalle decisioni dell’arbitro, che siano i giocatori per primi a non tollerare più il razzismo.