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 2014  luglio 19 Sabato calendario

COME SONO I NOSTRI ORGANI TRA CLISMI E UTERI RAMINGHI


«L’utero si trova infatti tra la vescica e il retto: come bene immobiliare, il suo valore verrebbe sminuito di molto dalle condizioni di degrado del circondario». A forma di zucca o piriforme, quest’organo se ne va liberamente vagando per l’addome, disturbando anche le vie respiratorie e causando, così, l’isteria. O almeno così si pensava un tempo. L’apparato riproduttore femminile affascinò Nerone al punto che, causata la morte della madre, voleva vederne l’interno per «guardare il luogo donde egli proveniva», ed è una delle mete del viaggio nel corpo umano di Organi Vitali (Adelphi), l’ultimo libro del medico messicano Francisco González-Crussì, vincitore del premio Merck 2014 per l’unione tra scienza e letteratura. L’autore, professore emerito di patologia alla Northwestern University Feinberg School of Medicine, racconta di come, tra tentativi aberranti e scoperte geniali, la medicina sia diventata la scienza che conosciamo ora.
«Al giorno d’oggi esiste una dualità del malato, che da essere umano diventa una macchina da riparare», racconta González-Crussì davanti a una tazza di tè. «A partire dal fatto che diciamo “ho una malattia”, usando il verbo avere, è evidente che la percepiamo come una cosa separata da noi. Più la medicina ufficiale avanza, al passo di scoperte incredibili, più le persone scelgono di rivolgersi alla cosiddetta “medicina alternativa”. Conosciamo il corpo umano molto più di un tempo, ma non siamo felici. E la vita, si sa, è un difficile mestiere». Una trasformazione che ha cambiato la nostra percezione della medicina e ci ha resi pazienti peggiori. Secondo González-Crussì è il ruolo stesso del medico a essere cambiato. «Non esiste più la figura rassicurante da romanzo balzachiano, il dottore consigliere della famiglia, informato e deliziosamente cortese». Diagnosi e terapie sono ora condivise tra più esperti, e il paziente ha preso a considerarsi uno di loro.
«È in corso un empowerment del paziente. Viene lasciato solo, si prende responsabilità non sue e ha un nuovo tipo di complicità con il medico», spiega González-Crussì. «Vuole curare tutto, anche ciò che malattia non è. Se perdiamo i capelli ci sottoponiamo a un trapianto, non lo accettiamo più come naturale conseguenza del tempo che passa. Un bambino vivace diventa così iperattivo e va sedato. Un depresso deve essere stimolato, e chi è troppo basso deve assumere ormoni della crescita. È la “medicalizzazione” della vita», che il drammaturgo Jules Romains anticipò nel 1923 con la commedia.Knock, ovvero il trionfo della medicina. Riprendendo le parole del protagonista, «le persone che stanno bene sono malati che non lo sanno».
Ancora oggi la distorsione delle scoperte scientifiche genera miraggi di terapie miracolose. Cure alternative quanto inefficaci, se non pericolose, che fanno leva proprio su quel lato del paziente che, secondo González-Crussì, il medico moderno tralascia: quello emotivo, “umano”. Fortunatamente il tempo è servito a limare l’aspetto più metaforico della pratica medica, e oggi non rischiamo d’incappare in un moderno William Arbuthnot Lane, baronetto e chirurgo che riteneva inutile l’intestino crasso. Colectomizzava così chiunque gli passasse sotto ai ferri, convinto di liberarlo d’una inutile eredità, retaggio di progenitori erbivori che nell’uomo ha il solo disdicevole scopo di far ristagnare le feci. E di conseguenza una spaventosa quantità di batteri (almeno così pensava lui).
A un altro uomo di scienza disgustato dalla sporcizia intestinale, il biologo ucraino Il’ja Il’ic Mecnikov, dobbiamo invece i primi successi dello yogurt. Per prevenire la putrefazione del cibo nel colon, infatti, questi caldeggiava l’assunzione di batteri produttori di acido lattico, la specie Bacillus acidophilus. Non meno drastica delle colectomie entusiaste di Arbuthnot Lane è poi la vicenda di Alexis St. Martin, raccontata nel capitolo dedicato all’apparato digerente. Ferito all’addome da un colpo di moschetto, il giovane franco-canadese fu salvato dal medico William Beaumont, con il solo retaggio di una fessura che, dall’esterno, permetteva di guardare nello stomaco. Nel nome della riconoscenza che pensava gli fosse dovuta, il dottore cominciò così a usare St. Martin come cavia umana, infilando nel foro le più svariate tipologie di alimenti, legati a volte con uno spago per poterli estrarre e osservare a vari stadi del processo digestivo. L’esperimento più affascinante (ma non per il giovane Alexis) fu l’inserimento di sedici ostriche crude. Sempre curiosa ma meno invasiva fu invece la moda del clistere, cui Reinier de Graaf dedicò un intero trattato, il De clysteribus.
«Tra il diciassettesimo e diciottesimo secolo, in Europa, il clistere diventò la principale misura terapeutica. Ce n’erano per tutti i gusti: lenitivi, rinfrescanti, addirittura nutritivi! Prima di presenziare alle feste, le dame inghingherate si facevano un clistere, per sentirsi più belle e ritardare “le devastazioni dell’età”», racconta ridendo González-Crussì, che a scrivere Organi vitali dev’essersi divertito quanto il suo lettore che si destreggia tra clismi e uteri raminghi. Le stesse siringhe da clistere divennero oggetti d’arte: in porcellana, d’avorio, di madreperla e d’oro, esposte con orgoglio insieme agli accessori da toeletta, strumenti d’uso quotidiano per liberarsi del “nefando fardello”. «Sul Journal de la santé du roi Louis XIV, dov’era annotato del re ogni starnuto, leggiamo che il sovrano si è sottoposto, negli anni, a oltre tremila clisteri. Per non parlare della Delfina di Francia, cui fu somministrato il cosiddetto “lavativo” proprio mentre parlava con il re, con la cameriera Nanon Balbien che, discretamente, le sollevava le gonne inginocchiata alle sue spalle».
Tra aneddoti e vicende incredibili, come il dibattito sulla natura più o meno sacra del prepuzio di Gesù di Nazareth, l’intreccio tra letteratura e cultura scientifica permea ogni pagina di Organi vitali. «Mi viene in mente il testo Le due culture di Charles Percy Snow, che parla di questi due ambiti del sapere come di due binari, che vanno nella stessa direzione senza però incontrarsi mai», conclude González-Crussì. «A me piace fare da scambio ferroviario, ho sempre amato la letteratura e la ritengo uno strumento prezioso per avvicinare le persone alla cultura scientifica. Facilitare rincontro, con episodi divertenti e storie curiose, è fondamentale».