Sara Faillaci, Vanity Fair 23/7/2014, 23 luglio 2014
LA PRIMA DELLA CLASSE PUO’ ANCHE SBAGLIARE
C’è un prima e un dopo nella vita di Marianna Madia, ministro per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione del governo Renzi. E, come scoprirete se andrete avanti a leggere, non è quello a cui state pensando. Anche se il suo nome è uno di quelli che ha più sorpreso della nuova squadra di governo: 33 anni, non renziana e, al momento della nomina a febbraio, incinta di 8 mesi.
Bionda, viso da madonna preraffaellita, da quando è entrata sulla scena politica a 27 anni, grazie a Veltroni che la volle candidata di rottura alle elezioni del 2008, si porta dietro l’etichetta di raccomandata. La passata relazione sentimentale con Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica, non ha aiutato. Finora lei è andata avanti, nonostante le polemiche, senza fare commenti e lasciando trapelare ben poche emozioni. Proprio nel momento della massima esposizione, quando è impegnata nella impresa – titanica? – di riformare la Pubblica amministrazione, ha deciso di rompere il silenzio.
Si aspettava di diventare ministro?
«No, non mi aspettavo nemmeno di essere nominata responsabile del lavoro nel Pd. Renzi mi ha chiamato, l’avevo incrociato poche volte, parlato in un paio di occasioni e sempre del tema lavoro».
Gli ha risposto subito sì?
«Tentennavo. Più che altro perché ero incinta e con a casa un altro bambino (Francesco, 2 anni, ndr). Ma lui su questo è stato categorico: “Non bisogna limitarsi per i figli”, e ha insistito ancora di più».
Un ministro donna, giovane e incinta. Sembra un’operazione di marketing.
«Ci si interrogava sull’opportunità di nominare una persona che, in un momento così difficile per il Paese, non avrebbe potuto dedicarsi completamente alla missione. Me lo sono chiesto anch’io. Alla fine ho accettato anche perché avvertivo la responsabilità di fare parte di un governo di rottura: non volevo sottrarmi proprio quando c’è in gioco la riuscita o la sconfitta di una nuova classe dirigente».
E la bambina?
«Sono tornata a lavorare sei giorni dopo un cesareo, ma non voglio far passare il messaggio che tutto si può fare né che non servono i mesi della maternità. È stata una scelta, un sacrificio che ho deciso in circostanze eccezionali. Se un messaggio deve esserci, vorrei che passasse il senso delle grandi difficoltà che incontrano le donne a gestire lavoro e famiglia insieme».
Ci racconti le sue.
«I miei figli mi mancano tantissimo, in casa regna il caos e sono fortunata, mia madre Mita si è votata alla causa e si è installata a casa mia. Mi ero ripromessa di allattare Margherita per sei mesi, come avevo fatto con Francesco, ma quando aveva due mesi, la settimana prima della riforma, per lo stress mi è andato via il latte».
Suo marito, il produttore cinematografico Mario Gianani, l’aiuta?
«È stato il primo a spingermi ad accettare l’incarico, il suo socio è Fausto Brizzi, nell’entourage renziano dalla prima ora. Aiuta come può, lavora molto anche lui, fare l’imprenditore oggi non è facile».
Come vi siete conosciuti?
«A Palermo a casa di amici comuni, un agosto di tre anni fa. Un colpo di fulmine totale: dopo pochi mesi aspettavamo Francesco, cercato, voluto».
Pare che alla Camera nessuno sapesse chi fosse il padre.
«Tutto alla luce del sole in realtà, certo molto veloce: non sono razionale da questo punto di vista, seguo l’istinto».
Si è sposata già madre. Come concilia questa scelta con la fede religiosa?
«Non sarebbe stato un problema per me avere un figlio e poi decidere di non sposarmi. Ho aspettato perché volevo ci consolidassimo come coppia, il matrimonio è un sacramento importante: volevo essere sicura della mia scelta».
È vero che è contro l’aborto?
«La 194 è un’ottima legge, se fosse applicata fino in fondo, bisogna mettere le donne nelle condizioni di non essere costrette ad abortire per ragioni economiche e sociali. Detto questo, chi sono io per dire a una donna, che lo sceglie, di non abortire?».
La fede le impedisce di essere favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso?
«Anche lì, vorrei che la smettessimo di perdere tempo nelle definizioni, e si andasse avanti nella sostanza, con i diritti».
E sull’eutanasia?
«Avendo vissuto esperienze personali, so che in queste situazioni hai solo bisogno di decidere nella comunità, ovvero con le persone che ami e i medici che ti stanno curando. Non penso sia lo Stato che debba imporre nulla».
Anche la seconda bambina è stata cercata?
«Margherita è arrivata, non ce l’aspettavamo così presto ma siamo stati felici».
Lei è figlia unica. Che bambina è stata?
«Molto amata dai genitori che si sono separati presto, avevo due anni. Si erano conosciuti a un corso di recitazione, subito dopo mio padre è stato scelto da Dino Risi per Caro papà, il film con Gassman, e ha vinto un premio a Cannes (Stefano Madia, migliore attore non protagonista nel 1979, ndr). Sull’onda di questo successo inaspettato, sono andati tutti e due venticinquenni e bellissimi sul tappeto rosso, si sono sposati e dopo un anno hanno avuto una bambina. Dopodiché si sono accorti che la vita non è solo questo».
Ha sofferto per questa separazione?
«No, sia mia madre sia mio padre hanno messo me al primo posto della loro vita. Andavano d’accordo e nessuno dei due si è risposato. Mia madre non ha mai lavorato, si è dedicata completamente a me. Mi hanno amata in maniera incondizionata, con il risultato che sono cresciuta con una grande sicurezza in me stessa».
Brava a scuola?
«Prima della classe, anche un po’ noiosa. I miei, per compensare il fatto che non fossero severi, mi hanno mandato allo Chateaubriand di Roma, liceo francese molto rigido. Mi trovai benissimo col loro metodo, ho grande senso del dovere».
Riusciva anche a divertirsi?
«Ho un problema strutturale: mi viene sonno alle nove e devo andare a dormire. Ricordo che andai a una festa, al liceo, e tornai con un trauma acustico. Ero fidanzata comunque, dai 16 ai 20 anni».
Ha avuto un legame anche con Giulio Napolitano, figlio di Giorgio.
«Durato qualche mese. Ci siamo conosciuti quando, dopo essermi laureata alla Sapienza in Scienze politiche con indirizzo Politica economica, collaboravo all’Arel, il centro studi fondato da Andreatta. L’elezione di suo padre al Quirinale nel 2006, quando avevo seguito Letta come sottosegretario di Prodi al governo, ci sorprese tutti e penso abbia inciso sulla fine della nostra storia che fino ad allora era stata vissuta con spontaneità».
Lei ha perso suo padre giovane.
«È morto a 49 anni, un tumore al pancreas fulminante se l’è portato via in cinque mesi. Avevo 24 anni, laureata da tre mesi, l’ho vissuta tutta, ho visto la forza con cui ha affrontato la malattia. Questa perdita segna il prima e il dopo nella mia vita. Hai la consapevolezza piena che, qualunque cosa bella ti possa capitare, la vivrai con questa cosa dentro che non ti lascerà più, e non potrai più essere bianco, pulito, leggero».
Suo padre è stato consigliere comunale del Pd con Veltroni. La passione per la politica l’ha ereditata da lui?
«No, mio padre era prima di tutto un giornalista. Dopo un po’ di anni da attore, era ripartito da dove la fantasia della vita, con il film di Risi, l’aveva strappato. Lavorava in Rai, però era sempre un precario, quindi fece causa all’azienda. In quel periodo gli fu proposto di candidarsi alle comunali nella lista civica di Veltroni ma era solo un riempilista, prese appena 300 voti – quelli dei parenti calabresi della mia famiglia materna –, eppure fu eletto. La politica attiva non gli è mai interessata».
In famiglia, destra o sinistra?
«Quella di mio padre di destra, quella di mia madre democristiana. Papà era il “ribelle”, ma morì poco dopo essere diventato consigliere comunale. Veltroni, che avevo conosciuto al funerale, mi teneva d’occhio: alle elezioni del 2008 mi inserì in una lista protetta come candidata di rottura e arrivai alla Camera».
Esordio precoce, poi è un po’ sparita.
«Miriam Mafai mi consigliò di scegliere un argomento e chiudermi in una commissione parlamentare. Puntai sul lavoro, credo di aver fatto bene. Alle primarie 2012 il mio sforzo è stato riconosciuto e ho preso tantissimi voti».
Pupilla di Enrico Letta, poi di Veltroni, molto vicina a D’Alema, ha votato alle primarie del 2012 Bersani e ora è ministro con Renzi. Come ha fatto?
«C’è una parte di fortuna, non lo nego. E ho sempre colto le occasioni con naturalezza, tenendomi alla larga dalle riunioni delle correnti. Sono figlia dell’idea di partito di Veltroni nel 2008, quella di rompere gruppi e correnti nelle candidature. Ricordiamoci che un pezzo di rottura “alla Renzi” nel partito l’ha fatta Veltroni».
Eppure è stata vicina a D’Alema, fulcro della vecchia classe dirigente.
«Vicini di banco, alla Camera, per cinque anni. Non è una persona banale, mi ha trasmesso delle cose. Ma le uniche opportunità le ho avute da Veltroni e Renzi; in cinque anni da parlamentare sono stata una delle poche a non avere incarichi».
Parliamo di Renzi. Perché non l’ha votato alle primarie del 2012?
«Ho sbagliato. Non avevo capito quanto ci fosse bisogno di lui nel Paese. E ho risbagliato di recente, nel passaggio complicato con Letta: non ero convinta fosse la cosa giusta. Poi con i risultati delle Europee si è capito che la gente è con Renzi, è stato bravo ad avere la visione politica».
Va d’accordo con le altre ministre, per esempio la Boschi?
«Maria Elena, che non conoscevo, mi piace molto per il suo essere diretta e concreta, ci siamo capite subito».
La bellezza è ingombrante in politica?
«Sono una di quelle donne contente se un uomo fa un complimento sul mio aspetto».
Non sembra curarsene troppo, del suo aspetto, se posso permettermi.
«È vero, non ci dedico tempo. Non metto tacchi, mi piacciono sempre le stesse cose. Mia madre spesso fa shopping per me, ormai conosce anche i miei tristi gusti».
Per questo non le piace posare?
«Penso di non venire bene. Qualche anno fa ho avuto un terribile incidente d’auto. Mi sono rotta qualunque cosa, sono dovuta stare quattro mesi immobile a letto con un busto: una delle conseguenze è un leggero difetto all’occhio sinistro che nelle foto mi sembra sempre evidente».
Dicono che Renzi ha voluto una squadra di persone non troppo forti, per poter decidere tutto.
«La vedo in un modo diverso: è vero che lui è il regista, ma quando si devono fare delle riforme rivoluzionarie è importante non agire individualmente come ministri ma avere dietro una comunità politica forte e fare squadra. Certo, sostituire Emma Bonino con Federica Mogherini, per quanto preparata, è stato un rischio, ma osare è la specialità di Renzi».
Soddisfatta di come procede la riforma della Pubblica amministrazione?
«Ci sono forti resistenze e questo lo sapevamo, ma sono molto soddisfatta dell’inizio. So anche però che la vera riforma sta nell’attuazione delle leggi, che deve essere quotidiana ed efficace, solo così i cittadini ne potranno godere gli effetti».
Sta facendo la vita che sognava?
«Non ho mai sognato nulla, faccio quello che devo. La carriera politica è arrivata, non l’ho cercata».
Queste parole faranno arrabbiare ancora di più i suoi coetanei che lottano da anni per un posto di lavoro.
«So di essere stata fortunata. Ma la vita dà e toglie, e io questa lezione l’ho già imparata».