Silvia Nucini, Vanity Fair 23/7/2014, 23 luglio 2014
GRIGNANI: «E POI NON HO VISTO PIU’»
«Tu mi hai visto poco prima, lo ha visto come sono: una persona normale. Hai visto Francesca e i bambini, hai visto che era tutto a posto. Le cose non cambiano così, da un momento all’altro». Sento Gianluca Grignani all’indomani del processo per direttissima che ha convalidato il suo arresto per resistenza e lesioni nei confronti di due carabinieri. Non è in carcere, ma ha l’obbligo di firma tre volte alla settimana, in attesa che il 16 settembre si torni in aula con gli elementi intanto raccolti dalla difesa. Da Riccione, dove era in vacanza con moglie e 4 figli, e dove sono avvenuti i fatti che hanno portato al suo arresto, è tornato a San Colombano al Lambro, la casa di famiglia. Mentre siamo al telefono in casa c’è anche suo padre. «Non ci vedevamo da anni, ma è venuto perché si è preoccupato sentendo le notizie alla Tv», mi dice. Chissà che questa storia porti anche qualcosa di buono, butto lì. Non mi risponde.
Ha ragione: lo avevo visto il giorno prima, e mi era sembrato normale. Solo piuttosto in ansia per l’intervista, pratica a cui non era più avvezzo da qualche anno. E avevo visto la moglie Francesca e tre dei suoi figli: Giona, il più piccolo, cercava di buttarsi a nuotare nella piscina del Golf club con il pannolino.
«Avevo finito lo Xanax, che prendo per l’ansia. Non avevo la ricetta e non mi andava di girare per farmacie cercando chi me lo desse senza, perché a Riccione mi riconoscevano tutti. Però stavo male. Soprattutto non vedevo più niente. Mi succede sempre così quando sono troppo stressato: gli occhi non vedono più. Per calmarmi ho bevuto due birre, Francesca e i bambini erano usciti, c’era solo un amico. Le birre non sono servite a niente, non mi hanno calmato, continuavo a non vedere, allora ho detto a questo ragazzo di chiamare un mio amico carabiniere perché mi venisse a dare una mano. Ha chiamato, ma lui era fuori in pattuglia. Poi, non so perché, ha detto di venire ad altri carabinieri. Io non volevo andare con loro, non volevo che la gente mi vedesse in quella situazione, mi sono dimenato, uno di loro è caduto per terra. Gli ho chiesto scusa mille volte. Poi mi hanno portato in ospedale, sono stati tutti gentilissimi, ma io volevo parlare con mia moglie e i miei figli, per questo non mi calmavo».
Me l’aveva raccontato, quando ci siamo visti, che stava finendo lo Xanax, della sua ansia che negli ultimi tre anni si era fatta più cattiva, di come cercava di tenerla a bada con il farmaco e anche con lo yoga, ma senza farsi prendere dai fanatismi, «se no poi ti identifichi troppo con quello che fai, non sei più Grignani, ma sei Grignani-che-fa-yoga».
L’unica cosa con cui non ha paura di identificarsi è la musica: Grignani-che-fa-musica è un concetto che gli piace. Così come gli piace l’album che uscirà a settembre, A volte esagero, di cui mi ha parlato con orgoglio (il singolo che lo anticipa, Non voglio essere un fenomeno, è il terzo brano più trasmesso in radio) come se fosse la quadratura di un cerchio, un disco che racconta la fine di un processo di cambiamento («ho cambiato tutto: manager, commercialista, avvocato: mi stavano scappando le cose di mano, le ho riprese») che sente di aver fatto. «Io sono una persona normale, faccio musica. E per questo vorrei essere giudicato. Venite a un mio concerto e dite se vi piace o no quello che sentite. In questi giorni ho letto delle cose assurde: qualcuno ha tirato fuori i nomi di Jim Morrison e Kurt Cobain, gente che è morta a vent’anni. Io ne ho 42, non sono un maledetto, sono solo fatto così, come tanti».
Gli avevo fatto una domanda sul suo «essere fatto così», avevo messo insieme un processo di qualche anno fa in cui c’entrava la cocaina, il video girato al concerto in birreria di Omar Pedrini in cui si diceva che Grignani fosse troppo ubriaco per cantare («tre birre alla spina», mi spiegherà poi) e l’avevo chiamata con un altro nome: dipendenza. «Non ho nessuna dipendenza, scrivilo, che ho dei figli e non voglio che un domani leggano certe cose del loro padre. Quello che succede è che ogni tanto mi lascio andare, mi sfogo, succede a tanti. Ognuno ha la sua valvola: ho visto gente che si rovinava con il gioco, altri con le donne. Il meccanismo che ci sta dietro è lo stesso: il bisogno di sfogarsi. A volte la società mi comprime talmente tanto che ho delle reazioni, che sono giustificabili. In Inghilterra il venerdì tutti bevono nei pub, da noi non c’è un momento codificato, ce ne sono tanti. Alla società la droga, ogni droga, fa comodo. Negli anni Settanta veniva usata per liberarsi, adesso per destressarsi».
L’ansia e la noia sono i suoi peggiori nemici, e se la prima è di difficile risoluzione, per combattere la seconda ha una ricetta: spostarsi sempre. «Le mie cose sono tutte in vendita: le case, la macchina. Ho passato l’anno scorso vivendo in montagna a Ponte di Legno. In futuro chissà». Intanto casa è San Colombano, una casa molto bella da cui Grignani per anni non è uscito. «Ho avuto paura della gente, per molto tempo. Non sapevo come approcciarmi: l’episodio che dice tutto di me è quello in cui sono a un distributore di benzina, un tipo mi guarda fisso e io gli dico: che cazzo vuoi? E lui: ma tu sei Grignani! Mi sono messo le mani tra i capelli e gli ho chiesto scusa, mi ero dimenticato di essere uno che si poteva riconoscere».
Il nomadismo e quattro figli sono un po’ difficili da conciliare, «è complicato, ma si può fare. In generale spero di riuscire a seguire la mia idea di vita senza togliere spazio a loro. È il mio dovere e il mio obiettivo. Loro, i bambini, sono fondamentali, la loro semplice esistenza mi ha messo di fronte a chi sono, e a chi non sono. Sono la calamita dei miei pensieri, il freno che mi era necessario. Mi hanno completamente rubato la loro mamma, mia moglie. Spesso sono da solo. Ma sento che, questa, è una solitudine che mi ama».
Sentirsi amato è il suo buco nero, un po’ come tutti. Del rapporto difficile con la madre e il padre non ha mai fatto mistero. Nel nuovo album c’è una canzone che si intitola Madre «e l’ho cantata piangendo. Non mi sono mai sentito amato, non so se mi abbiano amato o meno. Non ho mai avuto nemmeno il coraggio di chiederlo: forse perché la risposta la conosco, ma la sensazione è un’altra. Credo che sia per riempire quel buco che ho dentro, per un atto di fiducia totale verso l’amore, che ho una moglie e quattro figli».