Roberta Carlini, Pagina99 19/7/2014, 19 luglio 2014
SI ACCOPPIANO SOLO TRA SIMILI. E LA SOCIETA’ SI INGESSA
Pretty woman non abita più qui. Ma neanche Bel Ami, né alcuno dei più famosi esemplari della seduzione e dell’amore che superano le barriere sociali, culturali, patrimoniali. Sempre di più ci si accoppia tra simili. Che si tratti di matrimonio o convivenza di fatto, poco cambia: nell’uno e nell’altro caso, il trend è univoco. Laureati con laureate, professionisti con professioniste, impiegati con impiegate. Cresce ovunque la tendenza a formare famiglia con persone che hanno la stessa istruzione.
Fanno mestieri simili, frequentano gli stessi ambienti, spesso hanno lo stesso posto di lavoro. Una tendenza evidentissima al top, con uomini di successo che sposano donne di successo, dai Clinton ai "Brangelina" ai Totti-Blasi, trasformando spesso in un successo al quadrato la loro unione – o joint venture, si potrebbe dire. Materia pregiata per i venditori di gossip sulla vita dorata del “top 1 per cento”. Ma studiata anche in ambienti ben lontani da rotocalchi e fanpage, sotto il nome di omogamia, la tendenza a sposarsi tra simili: fenomeno che sociologi ed economisti vedono in crescita, a tutti i livelli della scala sociale.
Dove troviamo coppie sempre più conformi, che si mescolano poco, alla faccia della globalizzazione e della società aperta: una tendenza che mette a rischio non solo l’immaginario dell’amore cieco e romantico, ma anche qualche altro mito della nostra modernità; per esempio, quello della mobilità sociale. Ossia la possibilità di spostarsi dalla propria classe di origine, o almeno di ridurre le distanze.
Coppie conformi
I matrimoni in Italia sono al loro minimo storico. Di recente l’Istat ha certificato il nuovo crollo; con il 3,3 per mille di coefficiente di nuzialità, abbiamo toccato il fondo. Non solo del numero di matrimoni in assoluto, ma anche in proporzione al numero di giovani calante.
Dunque, studiare solo i matrimoni per capire come si formano le coppie italiane sarebbe fuorviante. Per fortuna gli statistici vanno oltre le carte da bollo, e contano tutte le unioni tra uomini e donne (sulle altre, di dati ce ne sono ancora ben pochi). Andando a guardare tra i numeri più recenti, è possibile vedere alcune caratteristiche delle nuove coppie, in particolare indagando su quanto hanno studiato, e il lavoro che fanno i due partner. Prendiamo l’ultimo gruppo tracciato, quello delle persone nate dal ’77 al ’93: una generazione che è arrivata alla vita adulta, dunque anche alle scelte di coppia, a cavallo tra i due millenni. In questo grande gruppo, il 60,7% di uomini con una laurea è in coppia con una donna laureata; mentre se guardiamo i diplomati, è il 66,6% dei maschi a essere in coppia con una donna con lo stesso titolo. Per la generazione precedente (i nati tra il ’58 e il ’77), quella che i sociologi chiamano omogamia educativa, cioè il possesso dello stesso titolo di studio trai due partner, era minore: rispettivamente 53,1% per i laureati e 58,5% per i diplomati. E se andiamo ancora più indietro nel tempo e consideriamo le persone nate dal ’38 al ’57, vediamo che la percentuale di uomini laureati o diplomati che si sposava con donne della stessa condizione era sotto il 50%.
Non si tratta di cambiamenti da poco. Antonio Schizzerotto, sociologo studioso delle diseguaglianze e dei processi di mobilità sociale, invita a guardare bene dentro quelle cifre. «Non dimentichiamo che, nonostante i grandi passi in avanti, l’incidenza di laureati e laureate sulla popolazione è ancora esigua; di fronte a ciò, il tasso di omogamia è strepitoso». Cioè, donne e uomini che escono dall’università si trovano davanti una ristretta platea di candidati/candidate partner con laurea, ma in stragrande maggioranza è in quella rosa ristretta che scelgono. La stessa tendenza si vede a proposito di mestieri e professioni. Sempre guardando alla generazione che ha i piedi nel secolo scorso e la testa, negli anni 2000, prendiamo i mariti (o partner) che sono imprenditori, liberi professionisti o dirigenti: il 28,4% di loro è in coppia con una donna della stessa “classe”, imprenditrice, libera professionista o dirigente, anche se le donne appartenenti a questa categoria sono solo il 13,8% delle potenziali mogli o partner. Anche in questo caso, la tendenza a formare coppie simili è cresciuta nel tempo. Era al 21,6%per la generazione nata dal ’30 al ’37 (quella, per dire, di una sarta chiamata Marta che di lì a poco comincerà la sua ascesa sociale sposando il conte Marzotto, proprietario dell’omonima industria tessile), sale al 23,6% per la fascia dal’38 al ’57, e poi su fino al 28,1 (nati dal ’58 al ’77) e al 28,4 dell’ultima generazione censita.
Matrimoni&patrimoni
Tutti segnali del fatto che anche l’Italia partecipa in pieno a una tendenza visibile in quasi tutto il mondo sviluppato, in cui il matrimonio (o il suo sostituto) rafforza il patrimonio: proprio come nelle vecchie società agricole, con i matrimoni combinati a presidiare “la roba”, il benessere delle famiglie. Adesso un’ovvietà che le coppie si formino per amore e non per interesse, e che dalla nostra parte del mondo matrimoni e convivenze siano scelte compiute in libertà. Eppure, i numeri appena visti ci dicono che, sia pure per libera scelta, sempre meno si esce dal proprio ambiente.
Un’evoluzione che dipende da tanti fattori, il primo dei quali è nella rivoluzione femminile del secolo scorso: con più donne diplomate, laureate, occupate, le occasioni di matrimoni tra simili ai livelli medio-alti della società sono aumentate. «Se prima i medici sposavano le infermiere era anche perché c’erano poche donne medico», ha scritto qualche mese fa l’Economist in un servizio dedicato all’argomento. Di conseguenza, sono cambiate anche le occasioni di incontro e conoscenza, i posti in cui le coppie si formano. «Oggi, abbiamo due importanti mercati matrimoniali: la scuola e il posto di lavoro», dice Schizzerotto. Qui la parola “mercato” indica il luogo d’incontro, più che la contrattazione, lo scambio, Panare. Però il risvolto economico di tutto ciò non è indifferente: coppie di persone assai simili per istruzione e occupazione si rafforzano (o si indeboliscono), anche dal punto di vista dei redditi e dei patrimoni. E tutto ciò si risolve in un potente freno alla mobilità da uno scalino all’altro della nostra società: «La scelta del partner finisce per diventare un meccanismo di chiusura sociale. Adesso quasi conta di più con chi ti sposi che di chi sei figlio», conclude Schizzerotto.
Una prova contabile di tutto ciò arriva dagli Stati Uniti, con i dati del Census Bureau a testimoniare gli effetti dell’aumento del matrimonio tra simili sui redditi. Un gruppo di studiosi ha elaborato un bei po’ di dati e ha pubblicato le sue conclusioni, in un articolo sulla relazione tra omogamia e diseguaglianza dei redditi (Assortative Mating and Income inequality, numero di maggio dei working papers del National Bureau of Economie Research). Viene fuori che, dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi, non solo la tendenza a formare coppie simili è aumentata, ma anche che questo ha aumentato le diseguaglianze sociali. Una coppia costituita da due persone di bassa istruzione guadagnava nel ’60 il 77% del reddito medio nazionale: nel 2005 invece ne prendeva solo il 41%. Un crollo di 36 punti percentuali. Ma anche una coppia di diplomati ha perso terreno : era poco sopra la media nei ’60 (103%), adesso è all’83% del reddito medio. Invece, una coppia di laureati ha un reddito pari al 160% di quello medio, e al top del top, una coppia che ha aggiunto alle pareti dei rispettivi studi dei bei diplomi post-laurea, master e specializzazioni varie nelle scuole che contano, ha adesso un reddito più che doppio rispetto a quello medio.
La polarizzazione dei redditi e la crisi del ceto medio non è certo "colpa" dei matrimoni; ma, è la conclusione dello studio, la tendenza sempre più forte a sposarsi tra compagni di college o di ufficio la rafforza. Addio lieto fine di Flashdance, il padrone della fabbrica con l’operaia-ballerina: quelli erano gli anni ’80 del secolo scorso. In quello attuale, l’America corre in libreria a comprare il libro di Piketty che spiega come, nell’economia della rendita in cui siamo immersi, nessun merito e nessun talento potranno mai valere quanto le fortune ereditate o un buon matrimonio: ma quest’ultimo, come s’è visto, difficilmente rimescola le carte e le fortune.