Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 23/7/2014, 23 luglio 2014
COSÌ SI GIOCAVA IN PARADISO
Ai tempi della Longobarda, sollevato di peso in omaggio a un’animalesca gratitudine da risultato raggiunto, Lino Banfi si lamentava dell’affettuosa morsa dei tifosi e pregava per ottenere sollievo: “Mi avete preso per un coglione”. Proprio come Oronzo Canà, Albano Guaraldi, presidente senza gloria del Bologna dal 2011, ha il culto delle parti basse in commedia e un ruolo preciso nella tragica parabola contemporanea. Un paio di settimane fa, dopo aver passato inverno e primavera svendendo i migliori del mazzo (Diamanti ai cinesi) e accumulando figurine multimansionali (consulenti tecnici, allenatori, bidoni a vario titolo) ha esposto il faccione rubicondo ai cronisti lamentando complotti a mezzo stampa: “Le mie risposte sono riportate in modo da farmi apparire invariabilmente coglione”.
La squadra è retrocessa in Serie B, si è iscritta per miracolo al campionato minore con una fideiussione cercata ovunque e piovuta all’ultimo istante per grazia ricevuta, ha perso per due palanche i giovani del futuro (Capello, di natali bolognesi), i reduci del Mondiale (il greco Lazaros, a Verona) e gli ombrelli dietro a cui ripararsi in caso di probabile tempesta. Zeman sarebbe stato perfetto, ma quando Zdenek ha annusato l’aria, dopo aver detto sì, ha preferito la Sardegna con boema giravolta. E così Guaraldi, con qualche patetico pizzino prestampato, letto ai giornalisti con emozione, vittimismo e percepibile stato confusionale, è andato all’ultima battaglia della sua reggenza con spirito turbato. Più scossi di lui sono i bolognesi che nel mancato aumento di capitale in autunno (ancora rinviato dopo l’ultimo Cda del 18 luglio) scorgono i prodromi dell’estromissione definitiva dalla festa, temono la cancellazione futura e di questo triste carnevale fuori stagione animato dal padrone venuto da Cento farebbero a meno. Pochi giorni fa in Piazza Maggiore erano a migliaia. Seduti sotto le stelle per vedere “Il cielo capovolto”, il romanzo per immagini di una squadra in maglia rossa e blu che 50 anni fa giocava in Paradiso e vinceva lo scudetto.
Era il ’64 e nel romanzesco spareggio romano contro l’Inter reduce dal trionfo in Coppa dei Campioni, Bernardini, Pascutti e “L’onorevole Giacomino”, Giacomo Bulgarelli, vennero eletti per plebiscito al governo della città. Erano anni in cui l’impossibile poteva accadere. Una volta ogni 10 anni (Cagliari, Verona, Sampdoria) l’alchimia tra ambiente, profeti in panchina, muscolose bandiere danzanti sul prato e fantasia restituiva un finale capace di evadere dalla trama già scritta. Il Bologna che tacitò l’avidità dei soliti noti, mise in fila Milan, Inter e Juventus, si scrollò le ombre del doping e pianse la morte del presidente Dall’Ara a pochi giorni dal trionfo, era un gruppo speciale guidato da un romano nato nel Rione Monti.
Fulvio Bernardini detto “sfilatino” ai bolognesi diede il pane e anche le rose. Organizzò lo sciopero della paura e fornì ai suoi il coraggio per tentare l’impresa nel torneo in cui segnavano Sivori e Hamrin. Di questa favola, del sogno di una città che giocava tra case e bettole preferendo dipanare le filosofie in osteria, ne “Il cielo capovolto” si occupa un bravo giornalista. Emilio Marrese lavora per La Repubblica. È nato a Napoli, ma ha vissuto a Bologna. Ha scritto un premiato libro (Rosa di fuoco) che molto deve alla passione per il mare di Barcellona e sulla nave dei suoi sogni infantili, tra un neologismo contemporaneo “guaraldeggiare” e un ricordo virato seppia, ha stipato i suoi eroi in mutande ridipingendo destino e prospettiva della Bologna che nel ’64 assistette incredula al prodigio. “Il cielo capovolto”, infatti, non si limita a illuminare costellazioni già scoperte (gol, memorabilie, nostalgismo), ma racconta quello scudetto attraverso una storia familiare a sua volta, come in una matrioska, racchiusa in quella dell’Italia che fu.
Grazie alla Cineteca di Bologna e ai filmati del Luce, passa sullo schermo un paese simile a quello di Joris Ivens. Forse ricco di storia, ma attaccato di preferenza al genio velleitario e alla tradizione. La donna che inventò i tortellini con la panna, Cesarina Masi. Un pensionato che spese tutto per impiantare un planetario in riva all’Adriatico. Il sindaco comunista, Dozza, improvvisato esperto di calcio. Schegge di passato che si abbracciano al presente di allora. Una bella idea. Un format (la regia è di Paolo Muran) che Marrese potrebbe estendere ad altre realtà in cui il pallone segnò il tempo in profondità.
Ne “Il cielo capovolto” ballano un padre e un figlio in viaggio verso la partita della loro vita, una figlia lasciata a casa a rimpiangere quel che potrà farsi soltanto raccontare, un tessuto cittadino fatto di vecchi e giovani consapevoli che il 7 giugno 1964 non sarebbe stato solo un altro giorno da strappare al calendario in vista dell’estate. In bianco e nero, con il dilettantesco divertimento della prima volta, scorrono i volti noti dei bolognesi (spogliati del loro ruolo, solo attori per Marrese) che a quel momento straordinario, in un’ascesa velocissima, legarono il proprio nome.
Gianni Morandi, Eraldo Pecci (zio Ermete, un barista pingue e credibile), Luca Carboni (che all’epoca dello scudetto aveva solo 2 anni, ma in una delle sue canzoni migliori cantava di maglie del Bologna indossate “7 giorni su 7”), il contestato arbitro del Maracanà Nicola Rizzoli, un altro analista del Mondiale brasiliano, Gabriele Romagnoli, e poi Carlo Lucarelli, Giorgio Comaschi e un ciuffo di calciatori titolati (Fogli, Pascutti, Pavinato, Perani, Cimpiel). Lucio Dalla canta: “Sembra solo ieri che la domenica ci si chiudeva in casa con la radio/ vedevamo le partite contro il muro/ non allo stadio” e il cielo è in linea con l’orizzonte. Senza ribaltamenti di fronte né capovolgimenti. Nella voce di Nicolò Carosio l’incredibile è una linea retta in un pomeriggio del ‘64. “In questo momento il Bologna è Campione d’Italia, la sua prova di oggi è stata così gagliarda e convincente che tutti gli sportivi si inchinano e la applaudono calorosamente”.
Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 23/7/2014